Hardball

Non c'è da scommettere su Conor O'Neill. La sua vita è piena di "under" e povera di "over". La scommessa è l'unica vertigine capace di scuotere intere giornate passate nei bar, pregando per un canestro da tre punti. Gli stessi che allibratori e strozzini, stanchi dei suoi debiti, gli procurano sulla fronte. L' ultima disperata occasione arriva da un amico benefattore che gli propone 500 dollari alla settimana per allenare una squadra di bambini che giocano a baseball. Giocatori per fuga più che per svago, sono piccoli abitanti di un quartiere popolare di Chicago in cui piovono proiettili e mai carezze, piangono madri e scompaiono padri. Così il campo da gioco diventa un banco di scuola in cui i giovani imparano l'affetto e i grandi rinegoziano la propria identità.
Hardball è un film che sembra rispettare i pronostici della commedia sportiva statunitense. Il gruppo come campo fertile per i valori, il baseball come seconda occasione, lo sport da intendere come percorso di crescita. Brian Robbins (già passato per lo sport movie con Varsity Blues) cerca di stravolgere le aspettative delineando un fuori campo che passa dal manifesto sociale per sfociare nell'amara denuncia.
Il meglio lo offrono i piccoli Kekambas che non vengono oscurati dallo spesato Reeves, ma al contrario lo tengono quasi per mano nella ricerca di un'identità nel suo personaggio. La morale dell'arricchimento umano che emerge dall'innato entusiasmo dei più piccoli non è banale, ma sincero e semplice come tutto il film. Se l'importante non è vincere, Hardball partecipa benissimo. 

Keanu è un ragazzotto senza arte né parte, e deve soldi a un sacco di gente. L'unica possibilità che gli si presenta è quella di allenare una squadretta di baseball formata da ragazzi lontanissimi dal professionismo. Ma anche un'occasione tanto modesta può valere come prova di carattere. È stato il primo film uscito subito dopo l'11 settembre in America. La suggestione positiva lo ha portato a un insperato immediato successo.