Luna Papa

Un film di Bakhtyar Khudojnazarov. Con Chulpan Khamatova, Moritz Bleibtreu, Merab Ninidze, Ato Mukhamedshanov Commedia, durata 106 min. - Russia, Germania, Australia 1999.
   
   
   

Roberto Nepoti

La Repubblica

Si può essere più kusturichiani di Emir Kusturica? Apparentemente sì a giudicare da Luna Papa, presentato l'anno scorso a Venezia e a Alpe Adria Cinema di Trieste, un film scritto e diretto da Bakhtjar Khudoinazarov, giovane regista tagiko già premiato nel 1993 con il Leone d'argento. In un villaggio dell'Asia ex-sovietica posato sulle rive di un lago, la giovanissima Mamlakat si ritrova incinta dopo una notte di luna piena. Il papà potrebbe essere un attore venuto a recitare l' Otello e già ripartito con la sua piccola compagnia, uno straniero che l'ha accarezzata nel sogno di diventare attrice raccontandole di essere amico di Tom Cruise. Il villaggio mormora contro la ragazza, che sarebbe dell'idea di liberarsi del bambino (ma noi sappiamo subito che non lo farà, per la buona ragione che è proprio il nascituro a raccontarci la storia). È di parere diverso suo padre, il collerico Safar, il quale decide di partire a caccia di nozze riparatrici portandosi dietro la disonorata e Nasreddin, il figlio scemo reduce dalla guerra in Afghanistan. E via verso Samarcanda e Bukhara, traversando una terra di nessuno che sembra il Far West e in cui circolano banditi, reduci armati e pericolosi, imbroglioni di ogni genere. Tutti corrono e si agitano un sacco, proprio come nei film di Kusturica; dietro la patina alla Emir, però, fanno capolino riferimenti alla tradizione cinematografica autoctona, come il realismo fiabesco di un Paradjanov o quello del georgiano Abuladze. Affiorano, qui e là, ruderi come cattedrali nel deserto, con effetti scenografici sorprendenti. Meno sorprendente l'epilogo, dove una casa tira fuori l'elica e prende il volo con effetto parecchio artificiale. E qui viene fuori, per lo spettatore occidentale, il problema di un film come Luna Papa: volta a volta affascinante o irritante, ma sostanzialmente difficile da decifrare quando si conosce troppo poco la cultura che lo genera. In questi casi finisci per spendere termini di circostanza come "onirico", "fiabesco" o "arcano", senza avere mai la certezza se il film nasca soltanto da un immaginario diverso dal tuo o non ti prenda, anche, un po' in giro.
Da La Repubblica, 11 marzo 2000


di Roberto Nepoti, 11 marzo 2000

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