xerox
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venerdì 28 gennaio 2022
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bellissimo film!
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Nel complesso di films che parlano dell'ultimo conflitto, e ovviamente in particolare della Shoah, "Train de vie" brilla di vivida luce propria. Impossibile non amare questo squinternatissimo gruppo di ebrei che si inventa un treno per fuggire dai nazisti. Esilarante l'impiegato delle ferrovie che viene "eletto" macchinista del treno e che comincia a leggere: "Come si conduce un treno".
La terribilità, il peso di quei tempi si sente, è sullo sfondo, arriva; ma questo indistruttibile gruppo di ebrei è troppo occupato a cercarsi una via futura verso la vita, per rassegnarsi a un presente di morte. Grandissimi complimenti al regista Mihaileanu per aver saputo reggere con perizia le vicende di questa comunità in fuga, e da non trascurare i bei dialoghi che costellano il film.
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Nel complesso di films che parlano dell'ultimo conflitto, e ovviamente in particolare della Shoah, "Train de vie" brilla di vivida luce propria. Impossibile non amare questo squinternatissimo gruppo di ebrei che si inventa un treno per fuggire dai nazisti. Esilarante l'impiegato delle ferrovie che viene "eletto" macchinista del treno e che comincia a leggere: "Come si conduce un treno".
La terribilità, il peso di quei tempi si sente, è sullo sfondo, arriva; ma questo indistruttibile gruppo di ebrei è troppo occupato a cercarsi una via futura verso la vita, per rassegnarsi a un presente di morte. Grandissimi complimenti al regista Mihaileanu per aver saputo reggere con perizia le vicende di questa comunità in fuga, e da non trascurare i bei dialoghi che costellano il film. La musica di Bregovic è un bellissimo collante delle storie, e anzi, in questo film, fa un tutt'uno con la storia. Bel film, veramente!
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noia1
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giovedì 19 marzo 2020
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viaggio in un sogno ad occhi aperti.
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Durante la Seconda Guerra Mondiale un villaggio ebreo sta per essere invaso dai nazisti, ne nascerà una folle fuga.
Il tema dell’Olocausto non è mai facile e i temi che costringe ad affrontare sono atroci, qui non manca niente, certo che la leggerezza con cui è affrontato lascia di stucco; ironia, ironia vera come può esserlo la più goliardica commedia leggera, immersa però nel contesto di quanto accaduto in quegli anni passati alla storia.
Viene descritta la società ebrea con tutti i suoi vizi e le sue contraddizioni, la caricatura di un’avarizia dinnanzi alla quale la tragedia nazista sembra solo l’ennesimo sassolino rispetto a millenni di quegli usi e costumi ormai facenti parte del DNA stesso dei protagonisti.
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Durante la Seconda Guerra Mondiale un villaggio ebreo sta per essere invaso dai nazisti, ne nascerà una folle fuga.
Il tema dell’Olocausto non è mai facile e i temi che costringe ad affrontare sono atroci, qui non manca niente, certo che la leggerezza con cui è affrontato lascia di stucco; ironia, ironia vera come può esserlo la più goliardica commedia leggera, immersa però nel contesto di quanto accaduto in quegli anni passati alla storia.
Viene descritta la società ebrea con tutti i suoi vizi e le sue contraddizioni, la caricatura di un’avarizia dinnanzi alla quale la tragedia nazista sembra solo l’ennesimo sassolino rispetto a millenni di quegli usi e costumi ormai facenti parte del DNA stesso dei protagonisti. L’umanità di un popolo rispetto alla freddezza di un’ideologia atroce e cieca, un popolo spesso disprezzato ma che, quando se ne va perché perseguitato, lascia un terribile vuoto, economico prima di tutto; non è soltanto la mancanza di un capro espiatorio ad intimorire i vicini con l’arrivo dei nazisti, è la perdita per la società del vero e proprio fulcro economico.
Nessun tema viene messo da parte, come ad esempio la fallacità delle idee politiche senza una vera e propria comprensione del contesto in cui ci si trova o le distinzioni di casta che – seppur fittizie – insinuano l’animo come un germe: si ha un dito e ci si prende il braccio; le conseguenze poi di questo razzismo insensato che spinge due popoli reietti ad unirsi in fratellanza come gli zingari e gli ebrei, popoli questi ben poco simili l’uno con l’altro. L’insensatezza poi della guerra che non ha eroi, come i partigiani che nel loro dignitosissimo compito però finiscono per litigare indecisi sull’uccisione del tale o del tal altro, merita lui di morire? e l’altro? chi è il nemico?
La regia poi è pienamente all’altezza, non è il cinepanettone che brucia ogni tema nel “Se, vabbé”, si sa cosa inquadrare e soprattutto come seguirlo fino alla fine della scena; nei momenti tesi il montaggio è serrato e in quelli più corali la telecamera vola tra i presenti facendoti quasi provar la sensazione di star lì, una regia sicura e con polso, che diviene ardita a tratti e soprattutto senza spocchia: rispetta sempre l’andamento del film.
Un finale poi che porta inevitabilmente alla realtà; in mezzo all’ironia tipicamente ebrea a volte concedendosi parodistiche discese nell’umorismo ebreo più tipico e volutamente anticinematografico, c’è un vero e proprio pensiero. Vien da pensare, mai è accomodante riflettere su qualcosa, non fa solo ridere, non è una semplice cronaca, per questo è imperdibile.
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antoniopagano
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mercoledì 14 febbraio 2018
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dio ha il senso dell’umorismo ?
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«C’era una volta un piccolo shtetl …»: questo incipit dà subito al film la sua chiave favolistica, per quel “c’era una volta” e per chi pronuncia la frase, Schlomo (Lionel Abelanski), il matto visionario, lo scemo del villaggio. Nel 1941 un villaggio ebreo (shtetl) dell’Europa orientale sotto il tallone nazista è minacciato dall’arrivo dei tedeschi che deporterebbero tutti nei campi di sterminio. Schlomo suggerisce una via d’uscita degna de “La lettera rubata” di Edgar Allan Poe: cosa c’è di meglio che fingersi deportati per sottrarsi alla deportazione? Sotto la guida del Rabbino (Clément Harari) e dei maggiorenti della comunità, viene allestito un treno di fortuna, con il quale gli abitanti lasciano il villaggio dividendosi tra finti deportati, con una minoranza improvvisamente convertita al comunismo, e finti nazisti che li scortano.
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«C’era una volta un piccolo shtetl …»: questo incipit dà subito al film la sua chiave favolistica, per quel “c’era una volta” e per chi pronuncia la frase, Schlomo (Lionel Abelanski), il matto visionario, lo scemo del villaggio. Nel 1941 un villaggio ebreo (shtetl) dell’Europa orientale sotto il tallone nazista è minacciato dall’arrivo dei tedeschi che deporterebbero tutti nei campi di sterminio. Schlomo suggerisce una via d’uscita degna de “La lettera rubata” di Edgar Allan Poe: cosa c’è di meglio che fingersi deportati per sottrarsi alla deportazione? Sotto la guida del Rabbino (Clément Harari) e dei maggiorenti della comunità, viene allestito un treno di fortuna, con il quale gli abitanti lasciano il villaggio dividendosi tra finti deportati, con una minoranza improvvisamente convertita al comunismo, e finti nazisti che li scortano. Il piano è di attraversare l’Europa in direzione est, riparare in Russia per mettersi in salvo e da lì raggiungere la Terra Santa per iniziare una nuova vita.
Non c’è da perdere una sola battuta dei ricchissimi e incalzanti dialoghi, condotti sul filo di un irresistibile umorismo yiddish al quale tutte le voci collaborano, con situazioni comiche acuite dalla immedesimazione dei personaggi nei loro ruoli (nazisti e deportati ebrei e comunisti): ritroviamo in questa grottesca identificazione “per contatto” qualcosa dello Zelig di Woody Allen e del resto lo stesso Allen ha costruito il suo umorismo sui paradossi che derivano dalla tradizione popolare ebraica. Si tratta di quell’umorismo sapiente che interseca la realtà e la interpreta in modo lapidario senza regalare nulla alla banalità del patetico.
A fronte di tanta leggerezza il tema della storia è il rapporto tra l’uomo e Dio, dove l’uomo è identificabile nella fede del Rabbino e della sua comunità e Dio nell’innocenza del sogno di Schlomo. Sarà proprio il matto Schlomo, che voleva fare il rabbino ma «quel posto era già preso», a rivelare a tutti l’umanità di Dio, a pronunciare quella preghiera che tutti sentiranno come atto di riconciliazione e verità rispetto alla finzione: «Dio forse ha creato l’uomo, ma l’uomo, il figlio di Dio, ha creato Dio solo per inventare sé stesso». Dio esiste attraverso i sogni degli uomini («… sognavi, avevi un Dio …») e questi sogni, come quello immaginifico di Schlomo, sono necessari per recuperare una dimensione umana quando l’abbiamo smarrita.
Tanti gli avvenimenti nel corso dell’incredibile viaggio, compreso l’incontro e la fusione con un gruppo di zingari anch’essi in fuga dai rastrellamenti nazisti. Affascinati dalla musica dell’orchestra mista zigano-yiddish e rattristati dallo smarrimento finale di Schlomo, ci chiediamo se le grandi tragedie come la Shoàh abbiano un senso. Fortunato il Rabbino che, davanti all’incertezza del presente, si consola con un «Dio capirà».
Questo film è un capolavoro.
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sisto razzino
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mercoledì 19 giugno 2013
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''qualche volta mi chiedo se sei un po' sadico''
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Affrontare l'argomento Shoah, non è mai semplice, data la portata storica e drammatica dell'argomento. Riuscire a farlo in modo da far ridere e far muovere a ritmo di musica gli spettatori è impresa assai ardua e Radu Mihaileanu ci riesce incredibilmente. Con questo film lascia tutti a bocca aperta, senza fiato, un po' per il ritmo sincopato della storia, un po' come quando un paesaggio inaspettato ci si presenta come un epifania. Per farlo ricorre alle radici primordiali della commedia, che in sé dovrebbe sempre avere nascosta una chiave più tragica della tragedia stessa. Grazie alle sue radici rumene ed ebraiche e sicuramente alla lettura della Arendt, dirige una vera battaglia contro l'oblio, soprattutto volendo celebrare la cultura yiddish dell'Europa dell'est spazzata via dal nazismo e definitivamente cancellata dalla deriva comunista.
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Affrontare l'argomento Shoah, non è mai semplice, data la portata storica e drammatica dell'argomento. Riuscire a farlo in modo da far ridere e far muovere a ritmo di musica gli spettatori è impresa assai ardua e Radu Mihaileanu ci riesce incredibilmente. Con questo film lascia tutti a bocca aperta, senza fiato, un po' per il ritmo sincopato della storia, un po' come quando un paesaggio inaspettato ci si presenta come un epifania. Per farlo ricorre alle radici primordiali della commedia, che in sé dovrebbe sempre avere nascosta una chiave più tragica della tragedia stessa. Grazie alle sue radici rumene ed ebraiche e sicuramente alla lettura della Arendt, dirige una vera battaglia contro l'oblio, soprattutto volendo celebrare la cultura yiddish dell'Europa dell'est spazzata via dal nazismo e definitivamente cancellata dalla deriva comunista. La guerra è il motore dell'arte per diversi teorici, ed a mio avviso questo film è scosso continuamente dall'opporsi di forze contrastanti , comunisti e nazisti, credenti ed atei, ebrei e zingari, amore e odio e così via. Tutto avviene nel microcosmo dello shetl, la piccola comunità ebraica che affronta mille peripezie nel film, tutto a su di un treno,che è metafora perfetta del viaggio del popolo ebraico storicamente alla ricerca di un posto dove poter stare, della fuga dalla follia nazista cui solo grazie a l'idea di un folle ( in questo caso Shlomo, lo scemo del villaggio) si può sperare di fuggire. E' proprio il treno l'attore protagonista di questa pellicola, a lui sono riservate la maggior parte delle inquadrature ed è su di esso che sviluppano le vicende più esilaranti e i maggiori momenti di tensione.Non bisogna soffermarsi troppo sulle accuse a Benigni per essersi molto ispirato a questo film nel concepire ''La vita è bella'', altrimenti perderebbe di rilievo l'importanza di Mihaileanu,che oltre a realizzare un film spettacolare, si fa carico dell'eredità della cultura ebraica all'interno del cinema, facendosi strada tra nomi quali Charlie Chaplin, Mel Brooks, Woody Allen. Questo incredibile affresco storico è dotato di una forza prorompente, sicuramente anche grazie alla sapiente colonna sonora di Goran Bregovic, che finito il connubio con Kusturica, a cui sicuramente deve molta parte della sua fama, da voce a questa commedia drammatica che a tratti tocca il musical, soprattutto quando ci si trova ad assistere a vere e proprie''battles'' musicali tra gli zingari e gli ebrei. Un tentativo riuscito di prendersi una vacanza rigenerante dall'immagine terribile dei treni di deportazione per i campi di concentramento nazisti, l'illusione cinematografica, come più tardi farà Tarantino con ''Bastardi senza gloria'',forse è un bel mezzo per riscattare e condannare ancora una volta tutti i genocidi e le dittature che hanno violentato ed ucciso intere culture.Inevitabile il nostro pensiero corre ad una frase demodè un po' sessantottina:''Vi seppelliremo con una risata!''
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great steven
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venerdì 15 febbraio 2013
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un treno di deportati fittizio li salverà tutti!
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TRAIN DE VIE – UN TRANO PER VIVERE (1998)
Diretto da RADU MIHAILEANU. Interpretato da LIONEL ABELANSKI – RUFUS – CLÉMENT HARARI – MICHEL MULLER – AGATHE DE LA FONTAINE – BRUNO ABRAHAM-KREMER – JOHAN LEYSEN – GAD ELMAHEL
Durante gli anni della seconda guerra mondiale, un villaggio ebraico dell'Europa orientale è minacciato dall’occupazione nazista. Il matto del paese, Shlomo, consiglia, per sfuggire al pericolo della deportazione, di inscenare un finto trasporto degli abitanti a bordo di un grande treno. Bisognerà far credere che il mezzo è diretto in un lager quando invece dovrà condurre i paesani in Palestina.
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TRAIN DE VIE – UN TRANO PER VIVERE (1998)
Diretto da RADU MIHAILEANU. Interpretato da LIONEL ABELANSKI – RUFUS – CLÉMENT HARARI – MICHEL MULLER – AGATHE DE LA FONTAINE – BRUNO ABRAHAM-KREMER – JOHAN LEYSEN – GAD ELMAHEL
Durante gli anni della seconda guerra mondiale, un villaggio ebraico dell'Europa orientale è minacciato dall’occupazione nazista. Il matto del paese, Shlomo, consiglia, per sfuggire al pericolo della deportazione, di inscenare un finto trasporto degli abitanti a bordo di un grande treno. Bisognerà far credere che il mezzo è diretto in un lager quando invece dovrà condurre i paesani in Palestina. Tra i numerosi personaggi da interpretare nella pantomima, vi sono le SS, i deportati e ovviamente il macchinista. La recita procede bene finché non sorgono tensioni e contrasti all'interno del popolo già in viaggio, soprattutto a causa di questioni politico-ideologiche. Ma, nonostante l'aggiunta poco provvidenziale di numerosi ostacoli (posti di blocco nazisti lungo il percorso, bombaroli vaganti, un tentativo di fuga da parte dei paesani convertitisi al comunismo), l'avventura finirà bene. Il film – una coproduzione franco-belga-rumena, e girato a Bucarest – si apre con la voce narrante di Shlomo (L. Abelanski, doppiato da Massimo Popolizio) in un bosco e si chiude con l'immagine dello stesso in un campo di concentramento, con tanto di divisa da carcerato. Contrariamente a quanto potrebbero suggerire le apparenze, non è un finale che sottrae verità al significato del film: non importa se la storia raccontata dal protagonista sia vera o falsa, conta piuttosto il fatto che essa è un espediente ironico e sdrammatizzante per narrare la tragicità dell'Olocausto. Fare la parodia della Shoah: un soggetto indubbiamente rischioso, una materia potenzialmente esplosiva come le bombe che nel sottofinale serrano lo scalcinato treno fra due fuochi, quand'esso è già giunto a destinazione. Eppure la sceneggiatura ha saputo costruire un film comico gradevolissimo, con interpretazioni più che pregevoli, che fa ridere in modo spontaneo e naturale senza offendere niente e nessuno ed evitando un sottofondo politico troppo pesante. Tutt'altro: la pellicola di R. Mihăileanu (regista, sceneggiatore e produttore rumeno nato nel 1958) si permette anche di ridicolizzare le varie ideologie insieme ai personaggi che le propinano o le personificano, e che si scontrano proprio per causa di quest'ultime. La simpatia della storia non va quindi agli improvvisati parlatori od esecutori delle teorie (come Yossi, l'imbranato ragazzone filo-marxista), ma è rivolta piuttosto a chi crede nei sentimenti puri e incontaminati (Esther, la ragazza coi capelli castani e lo stesso Shlomo, altruista, pacifico e dotato di grande intuito e sensibilità, benché unanimemente deriso). Mordechai (Rufus) è senza ombra di dubbio una delle colonne del film, il personaggio più comico perché fortemente autoironico e quello che riesce in modo più divertente a far luce sull'assurdità del comportamento nazista. Vanno apprezzati anche il rabbino dalla barba bianca di Harari, personaggio riccamente sfaccettato, e il simpatico insegnante di tedesco (Mordechai dice: «I tedeschi lo sanno che facciamo la parodia della loro lingua? Non saranno mica in guerra per questo?!»). Il momento più lirico del film viene raggiunto durante la processione religiosa all'aria aperta nel campo verde, in cui Shlomo afferma che l'uomo ha inventato Dio per poter inventare sé stesso. Un'opera con pochissimi eguali nella storia del cinema, originale, dissacrante e coerente con la morale che non dimentica di fornire agli spettatori. Premio Fipresci a Venezia 1998, e David di Donatello al miglior film straniero. Per il doppiaggio, i dialoghi furono tradotti in italiano da Moni Ovadia, drammaturgo e attore teatrale di discendenza semita.
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soranospartano
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venerdì 1 febbraio 2013
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shoah: un altro punto di vista
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Un film davvero eccezzionale che secondo la mia opinione riesce a suscitare nel cuore di chi lo guarda una profonda riflessione sul significato che ha avuto la shoah. Sono molteplici le scene commoventi, che tendono a sovrapporsi a scene di umorismo ebraico che credo servano a sdrammatizzare quei momenti di timore.
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folsom
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giovedì 5 aprile 2012
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chi è dio chi siamo noi??
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Train de vie,la storia di un piccolo villaggio Ebreo della romania che per sfuggire all'imminente arrivo dei nazisti,decide di organizzare a sua volta un treno composto dagli abitanti stessi,con finti deportati e finti ufficiali nazisti a condurlo.Obbiettivo del treno della vita,portari tutti sani e salvi in Terra Santa.Ottimo film,che viaggia intorno all'idea della fuga alla voglia di fuggire,prende in giro la guerra e i nazisti e tutte le contraddizioni della seconda guerra mondiale,senza però far dimenticare il dramma vissuto dagli Ebrei e dai popoli europei in quel periodo,pieno di momenti esilaranti e divertenti,Train de Vie è una fiaba sull'impossibile che si avvera e sui sogni di un popolo che per troppo ha vissuto oppresso e discriminato.
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Train de vie,la storia di un piccolo villaggio Ebreo della romania che per sfuggire all'imminente arrivo dei nazisti,decide di organizzare a sua volta un treno composto dagli abitanti stessi,con finti deportati e finti ufficiali nazisti a condurlo.Obbiettivo del treno della vita,portari tutti sani e salvi in Terra Santa.Ottimo film,che viaggia intorno all'idea della fuga alla voglia di fuggire,prende in giro la guerra e i nazisti e tutte le contraddizioni della seconda guerra mondiale,senza però far dimenticare il dramma vissuto dagli Ebrei e dai popoli europei in quel periodo,pieno di momenti esilaranti e divertenti,Train de Vie è una fiaba sull'impossibile che si avvera e sui sogni di un popolo che per troppo ha vissuto oppresso e discriminato.Bello vedere il mondo dagli occhi di Shlomo,il pazzo del villaggio,(ideatore del piano)che porta tutti con sè in questa folle impresa,semplice fantastico il monologo è sull'esistenza di dio su chi esso e su chi sia l'uomo creato a sua immagine.Film poco conosciuto ai più ma consigliato a tutti.
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burton99
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sabato 28 gennaio 2012
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commedia sul nazismo che diverte ma non solo
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Non è un capolavoro assoluto questo "Train de vie", ma è sicuramente uno dei titoli più riusciti del 1998. Infatti, è una commedia a volte satirica, a volte drammatica, a volte metaforica, che guarda al nazismo in mdo divertente e sicuramente originale. Si sente lo stile del regista Radu Mihaileanu, che da un'impronbta riconoscibile a un film che ancora oggi affascina. Colonna sonora strutturata su canti e danza popolari ebree e dialoghi italiani di Moni Ovadia. Un buon film, che guarda al nazismo come metafora cinematografica e teatrale (la messa in scena del treno), ma aggiunge elementi sociali, culturali e politici legati all'epoca della Seconda Guerra Mondiale. L'ho visto durante il Giorno della Memoria, e quindi sono riuscito ancora di più ad apprezzarlo.
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andre89lost
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venerdì 25 novembre 2011
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davvero carino
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Un piccolo gioiello per riflettere col sorriso sul tema dell'Olocausto. A tratti davvero demenziale. Bellissimo il finale, inaspettato ma tremendamente vero.
Voto: 8
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shanks
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giovedì 10 novembre 2011
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la musica per correre in punta di piedi
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Da sempre capace di spostare gli equilibri umani, la musica è la base su cui poggia la pellicola dell'ottimo Mihaileanu. Le note sprigionate dai fuggitivi creano emozioni, affinità tra diverse culture e volano alte, verso quel confine lontano e irraggiungibile fisicamente, ma cosi vicino metaforicamente. Se poi aggiungiamo una conoscenza profonda delle origini mai patetica e fine a se stessa, ci rendiamo conto di come, il regista rumeno, possa permettersi il lusso di usare un linguaggio graffiante anche in temi "pesanti" di questo e di altri film a venire.
E cosi rimangono scopiti nella roccia quei dialoghi fulminanti tra abitanti, le idee e i monologhi del pazzo, i grattacapi di quel meraviglioso personaggio del rabbino.
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Da sempre capace di spostare gli equilibri umani, la musica è la base su cui poggia la pellicola dell'ottimo Mihaileanu. Le note sprigionate dai fuggitivi creano emozioni, affinità tra diverse culture e volano alte, verso quel confine lontano e irraggiungibile fisicamente, ma cosi vicino metaforicamente. Se poi aggiungiamo una conoscenza profonda delle origini mai patetica e fine a se stessa, ci rendiamo conto di come, il regista rumeno, possa permettersi il lusso di usare un linguaggio graffiante anche in temi "pesanti" di questo e di altri film a venire.
E cosi rimangono scopiti nella roccia quei dialoghi fulminanti tra abitanti, le idee e i monologhi del pazzo, i grattacapi di quel meraviglioso personaggio del rabbino.
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