Barcelona

Un film di Whit Stillman. Con Taylor Nichols, Chris Eigeman, Tushka Bergen, Mira Sorvino, Pep Munné Commedia, durata 95 min. - USA 1994. - Sony Pictures Italia uscita giovedì 30 marzo 1995.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

“Pittura di genere, popolare specialmente nel diciottesimo secolo, che ritrae un gruppo di persone di mondo.” È la definizione fornita da The American Heritage Dictionary per quei quadri che le etichette dei musei chiamano conversation pieces. Proviamo a prendere in prestito la definizione e applichiamola a un tipo di film che - da quelli di Rohmer a La timida di Christian Vincent, da La mia cena con André a Clerks - sembra in effetti costituire un genere a parte, i “conversation movies”: quelli nei quali il grande scHermo concentra e quintessenzializza il racconto cinematografico più nella conversazione, nello scambio verbale tra i personaggi, nel gioco mondano legato alla parola, nell’esercizio della dialettica, che negli eventi.
Di questo “genere” Whit Stillman si era dimostrato un piccolo maestro con Metropolitan, che dipanava le pene sociali e sentimentali di un gruppo di cuccioli yuppie tra i salotti (dei loro genitori) di Park Avenue e le case agli Hamptons. Con Barcelona, a distanza di cinque anni, Stillman segue gli stessi personaggi, o dei loro parenti prossimi, solo un po’ cresciuti e da poco inseriti nel mondo vero, quello in cui ci si guadagna da vivere e ci si sconti-a con la realtà: e li colloca a Barcellona, città che conosce benissimo per esserci vissuto e averci incontrato la ragazza diventata poi sua moglie. E anche questa volta usa come elemento rivelatore un occhio estraneo, un outsider: in Metropolitan il ragazzo povero, qui un giovane ufficiale della marina degli Stati Uniti, doppiamente diverso per origine e per ideologia al mondo che lo circonda nella città catalana “nell’ultimo decennio della guerra fredda”.
Taylor Nichols (il filosofo apocalittico di Metropolitan) e Chris Eigemah (lo snobbone Nick dello stesso film) sono rispettivamente un giovane executive di una società americana con sede a Barcellona e suo cugino, un ufficialetto non tanto gentiluomo - rubacchia, racconta balle - che dovrebbe, dice lui, preparare nella città catalana l’arrivo della Sesta Flotta, e in realtà riesce solo ad attizzare un profondo sentimento antiamericano nel gruppetto in cui si muove. Ted vive in solitudine, legge la Bibbia ballando al suono di Pennsylvania 65000 e ha deciso di non rincorrere più la bellezza femminile, che dà solo delusioni: ma del giro di avvenenti ragazze spagnole poliglotte che si muove attorno ai due cugini finisce per innamorarsi della più bella, Montserrat, a sua volta fidanzata con un giornalista tanto antiamericano quanto disinvolto nel diffondere notizie approssimative. E la sua spiccia filosofia giornalistica, assieme agli umori estremisti di un paese nel quale è appena esploso il senso di libertà del dopo-Franco, innescano un incidente che solo il lieto fine non rende tragico.
Allo scoccare della prima mezz’ora di amori e chiacchiere si può temere che il nuovo “conversation piece” di Whit Stillman non ce la faccia a decollare. Ma d’un tratto i pezzi di questa versione contemporanea degli “innocenti all’estero’ jamesiani cominciano a comporre il disegno di un divertimento brillante e arguto, ironico e autoironico, nei confronti del mito americano almeno quanto lo ~ nei confronti di qualche catalano troppo furbo E le conversazioni continuamente interrotte, in cui si parla di bamburger, di ideali e di imperialismo culturale, di strategie amorose e di anticomunismo, formano alla fine un ritratto generazionale transatlantico grottescamente autentico - e certamente autobiografìco.
Stillman, meno spontaneamente ispirato forse, ma sicuramente molto più padrone dei suoi mezzi che ai tempi di Metropolitan, cura splendidamente la confezione, e il bravissimo direttore della fotografia John Thomas bagna la città di luci meravigliose, scegliendo quinte, punti, monumenti di singolare bellezza. Mentre le ragazze di Barcellona si esibiscono in tutta la loro grazia e la loro intelligenza, offrendo agli amici yankee una perfetta conversazione In inglese a cui - inevitabilmente - il doppiaggio non riesce a restituire i sapori e lo spirito dell’originale.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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Irene Bignardi
Uscita nelle sale
giovedì 30 marzo 1995
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