Il colore viola

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Battaglia personale di una guerriera sentimentale. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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mercoledì 27 aprile 2016

IL COLORE VIOLA (USA, 1985) diretto da STEVEN SPIELBERG. Interpretato da WHOOPI GOLDBERG, DANNY GLOVER, MARGARET AVERY, OPRAH WINFREY, WILLARD E. PUGH, LAURENCE FISHBURNE, AKOSUA BUSIA, DESRETA JACKSON, ADOLPH CAESAR

Sud degli Stati Uniti, primi del Novecento: Celie e Nettie Harris sono due sorelle che vengono separate da un padre violento che ha abusato sessualmente della prima, facendole mettere al mondo due figli. Nettie è l’unica persona al mondo dalla quale Celie, ragazza ingenua ma comunque indipendente e battagliera, si sente amata, tant’è vero che la sorella le insegna a leggere e scrivere. Come già accennato, è un destino crudele a dividerle: Celie va in sposa a un uomo molto più anziano di lei, lo spietato Albert, che allontana Nettie dalla sua terra e impedendo a Celie di ricevere le lettere che lei le scrive assiduamente. Una volta divenuta adulta, Celie intreccia le sue vicende con quelle di Harpo, il figlio un po’ imbranato di Albert, e di sua moglie Sofia, donna prepotente che riesce a farsi sposare dall’uomo proprio in virtù del suo carattere forte. La lotta di Celie per ottenere il rispetto dei suoi diritti e per difendere la sua dignità di donna che cerca la libertà non è minimamente turbata dall’apparizione di Shug Avery, cantante e ballerina nonché ex fiamma di Albert. Sofia, per aver aggredito il sindaco del paese, istigata da Miss Millie, la di lui moglie altezzosa e vuota, finisce in prigione per otto anni, con l’unico risultato di diventare poi, una volta scarcerata, la cameriera di Miss Millie. Durante una cena alla presenza di Sofia, Harpo, Shug e il di lei marito benestante, Albert e suo padre, Celie, di fronte all’ennesimo tentativo del coniuge di trattenerla, lo maledice, rivelandogli di appoggiare la decisione di Shug di partire per Memphis portandosi con lei la donna, ormai conscia di essere sulla giusta strada per rendersi autonoma e capace di inseguire i suoi sogni di libertà. Rimasto solo, Albert vede la casa che va in rovina, ma inizia a provare un sincero pentimento per le cattiverie usate nei confronti di Celie: sceglie dunque di farle pervenire le lettere che le aveva precluse in passato, consentendole pertanto di incontrare i figli venuti appositamente dall’Africa. Celie scopre inoltre che il suo vero padre era il proprietario del terreno e della casa dove abitava e che li ha ereditati. Con Albert che osserva da lontano, Celie si ricongiunge con la sua famiglia. Soggetto liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Alice Walker. Incentrato sui temi del razzismo, degli abusi sessuali e del coraggio di donne stuprate, rivela la sua natura di edificante racconto di formazione imperniando il discorso sull’importanza necessaria della libertà, sulla crescita interiore dei personaggi (non soltanto femminili, per quanto l’attenzione rimanga preponderante su di esse), sul rifiuto della demagogia nella descrizione di un ambiente mai troppo politicizzato e sull’adozione di un registro espressivo che privilegia i dialoghi e l’utilità della parola. Spielberg non esiterà poi, in futuro, a rimettere mano alle battaglie civiliste dei neri per la rivalsa conquistatrice di diritti troppo a lungo negati, ad esempio in film come Amistad (1997)e Lincoln (2013), i quali, come appunto The Color Purple, mettono in piedi un abbinamento fra recitazione straordinaria e immagini suggestive per mostrare, senza la ricerca ossessiva dell’ottimismo o di un finale consolatorio, come non sia mai troppo tardi per imparare dagli errori e rifarsi delle violenze, fisiche e psicologiche, subite nel corso di un’esistenza dalla quale rimane comunque ancora molto materiale significativo da estrarre. La carta vincente è la stupefacente W. Goldberg, al suo debutto cinematografico, che trasforma un’apparente performance monocorde in un’impresa meravigliosa, ritratto efficace non solo di una combattente incapace di arrendersi, ma anche di due macro-elementi (epoca ed epopea) sviscerati profondamente dal cinema dei bianchi e che non basteranno mai per compensare l’immenso apporto di una (come chiamarla?) "classe" di esseri umani la cui eguaglianza morale è sempre stata negata e avversata. Ottime interpretazioni anche da parte del repertorio maschile, soprattutto per merito di D. Glover e di W. E. Pugh, mentre dal lato opposto brillano fortemente le prove di O. Winfrey (un piglio e una decisione notevoli, candidata all’Oscar) e di A. Busia (affetto allo stato puro ed altruismo di una magnifica genuinità). Un titolo magari non azzeccato al massimo, ma comunque funzionale per agganciarsi al tema onirico di un ricordo d’infanzia: i campi di viole nei quali Celie e Nettie corrono e si divertono, ignare delle sofferenze che cominceranno a patire di lì a poco, ma pronte, presto o tardi, a far fronte ad avversità che tuttavia non saranno sufficienti per un abbandono definitivo. Chi lo accusa di discendere troppe volte nel mélo baroccheggiante, presta eccessiva attenzione al suo sfrenato anti-maschilismo piccolo-borghese, e non considera il tocco eccezionale di poesia sociale e umanitaria che si nasconde dietro l’aleatoria nuvola di razzismo, e anche al di là del perbenismo moralistico rappresentato dai personaggi negativi della pellicola: il suo significato abbraccia i confini stessi della socializzazione, insieme alla fede cristiana (testimoniata in particolar modo dal diario che Celie tiene con regolare quotidianità, rivolgendosi direttamente a Dio) e al paradigma dell’ambiente circostante che modella e plasma gli individui che lo abitano (Celie rinuncia a vendicarsi brutalmente delle angherie subite perché sa che una rivincita indolore per gli altri e avvantaggiante per lei le servirebbe molto di più per agguantare le speranze tanto agognate e affermare una volontà di abnegazione ed emancipazione). Goldberg vincitrice del Golden Globe, alla cerimonia del 1986, come miglior attrice in un film drammatico. 98 milioni di dollari d’incasso negli USA. Girato fra il giugno e l’agosto 1985.

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