Apocalypse Now

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Calvario dell'Apocalisse tra i boschi del Vietnam. Valutazione 5 stelle su cinque

di Great Steven


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mercoledì 9 luglio 2014

APOCALYPSE NOW (USA, 1979) diretto da FRANCIS FORD COPPOLA. Interpretato da MARTIN SHEEN – MARLON BRANDO – ROBERT DUVALL – FREDERIC FORREST – DENNIS HOPPER – LAURENCE FISHBURNE – HARRISON FORD § Siamo in Vietnam, e per la precisione a Saigon, durante il terzo anno di guerra: al capitano Willard dei servizi speciali viene affidato il compito di risalire un fiume della Cambogia per raggiungere il cupo e maestoso colonnello Kurtz che sta combattendo una sua feroce e sanguinosa guerra personale ed eliminarlo. Willard comincia il viaggio in compagnia di un plotone di squinternati furibondi e si trova a percorrere tutti i gironi dell’inferno, attraversando in linea retta la foresta tropicale e vedendone di tutti i colori fra sofferenze, mutilazioni, privazioni, stenti, mancamenti, lacune, dimenticanze, dolori, violenze e scelleratezze. Quasi nulla è comprensibile: gli attacchi con gli elicotteri accompagnati dalle composizioni musicali di Richard Wagner, un ufficiale che fa surf sotto i bombardamenti, battaglie all’insegna del napalm, che rendono la scena affine a quella di una Disneyland allucinata. Lo zelante e irriducibile capitano trova Kurtz in un incontro che Coppola carica di toni epici e misteriosi: Brando, monumento più che mai, fotografato nella penombra, sembra qualcosa soltanto appena simile ad un essere umano, apparentemente avvicinabile ma senza alcuna certezza. Kurtz spiega la sua filosofia: occorre uccidere, distruggere e amputare, anche donne e fanciulli, se la causa è coerente. In pratica il colonnello giustifica i propri delitti in onore della difesa patriottica. È dunque un eroe o un pazzo scatenato? Willard porta a termine la sua missione e lo uccide, per poi tornarsene indietro libero da tutti i fardelli di cui il viaggio l’aveva sovraccaricato. Il film è ispirato a distanza al romanzo Cuore di tenebra di Joseph Conrad, è sceneggiato magistralmente (con nerboruta secchezza e perfetta serietà) da John Milius ed è meravigliosamente fotografato dall’eccellente Vittorio Storaro, direttore di lungo corso che ha lavorato a molte altre pellicole straniere, non solo statunitensi. Abbiamo a che fare con quello che probabilmente si innalza a film più visionario e anfetaminico sul Vietnam, trasformato in mito. Delirante, esagerato, diseguale, pieno di sequenze eccezionali, alquanto discusso dai critici e talvolta decadentistico nella sua ostentata energia stilistica. F. F. Coppola è senza dubbio il regista che ha segnato gli anni Settanta (Oscar per Il padrino e questo film), con la sua regia capace di raccontare con mestiere, nonostante qualche virtuosismo che appesantisce un po’ l’atmosfera. Negli autori che cominciavano a girare allora e che sarebbero diventati leggendari (quali Ridley Scott e Michael Cimino), la sua lezione sarebbe stata un riferimento imprescindibile. Senza pretendere di convertire i destini del mondo, il regista si impegna in un ragionamento sul bene e sul male e sulla loro ossessiva relatività. Un uomo a cui viene offerta la possibilità di esercitare un potere sempre superiore può non riuscire a frenarsi in tempo e a individuare il limite che divide la propria anima ancestrale, amorale e veemente da quella civile, perdendo di vista la probabilità di convivere con gli altri, se sono più deboli. Naturalmente non fu casuale che questa filosofia da pazzoidi venisse applicata a quella sciagurata guerra che aveva sconvolto e annichilito tutti gli aspetti della morale americana. Kurtz, illudendosi di essere onnipotente, aveva perso di vista il proprio limite umano. Doveva essere tolto di mezzo definitivamente. Il film verrà ricordato come una pietra miliare del cinema internazionale per lo straordinario budget (40 milioni di dollari), per la problematica lavorazione nelle Filippine e per il boicottaggio da parte delle autorità statunitensi, che ovviamente non apprezzavano il veicolo negativo e disperato con cui Coppola narrava la guerra. Anche dopo trentacinque anni, Apocalypse Now assurge a manifesto plausibile di quella vicenda e come pellicola dagli eccelsi valori confermati. Una parola di più va spesa per le incredibili interpretazioni che coronano un’opera già di per sé ricca e magnificamente completa: Sheen è un ufficiale tetro, ombroso, combattuto interiormente dalle proprie passioni e incertezze, costantemente preso tra due fuochi e deciso sempre a prendere la giusta decisione per non infierire sui diritti altrui e sulle umane instabilità; Brando (ripreso sempre in condizioni di semi-oscurità per nascondere il suo vistoso aumento di peso) è un tenebroso e minaccioso colonnello impazzito che applica la sua pericolosa e tremenda teoria di vita alle situazioni di una quotidiana miseria (o miserabile quotidianità) che confonde e stravolge le emozioni e le sicurezze umane, facendo svolgere agli scorrimenti di sangue e agli inutili assassinii un ruolo di primo piano che porta sempre  a conseguenze diabolicamente tragiche; Duvall è un capitano non impensierito dalle circostanze bellicose e belliciste, che si dedica ai propri interessi senza preoccupazioni e considera il conflitto militare come una grandissima occasione per ostentare esibizionismi particolareggiati, azzardate mosse spericolate e spettacoli di violentissima carenza e portata; Hopper è un fotografo esposto alla soggezione effettuata dal potere che incute il timore reverenziale (c’è di mezzo anche un non troppo inappropriato discorso sociologico) e che si lascia invadere dal rispetto incondizionato e servile che conduce ad obbedire agli ordini di un’entità considerata superiore e impalpabile; Fishburne (all’epoca appena sedicenne) è il classico (ma non troppo, per evitare banalità recitative) ragazzo che s’avvicina con spacconeria e spavalderia alla guerra per mostrare esibizioni di presunta virilità che poi si traduce – o meglio, si commuta – in esposizione delle proprie paure e fragilità totalmente ammissibili ma che traghettano il soggetto inesperto e avventato ad una fine drammatica (tanto è vero che il personaggio muore sotto i proiettili del fuoco nemico). Meno spazio, invece, per H. Ford (appare solo nella scena iniziale nell’ufficio amministrativo), che due anni prima si era fatto splendidamente notare con Guerre stellari e due anni dopo avrebbe consolidato e consacrato definitivamente la propria popolarità grazie al capitolo iniziale delle avventure dell’archeologo Indiana Jones. Meritatissima Palma d’oro al Festival di Cannes a pari merito con Il tamburo di latta, ma neppure un Oscar giunse ad allietare la tanto sperata gragnola di riconoscimenti che il film prometteva speranzosamente. Nel 2001 Coppola ripropose il film in una versione fortemente innovativa, che intitolò Apocalypse Now – Redux, arricchita di cinquantaquattro minuti di scene inedite, ma specialmente con un nuovo finale,e  che fece naturalmente diffondere per le sale cinematografiche.    

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