L'amico americano

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Un film di Wim Wenders. Con Bruno Ganz, Dennis Hopper, Lisa Kreuzer, Nicholas Ray, Samuel Fuller.
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Titolo originale Der amerikanische Freund. Giallo, durata 125 min. - Germania, Francia 1977. - VM 14 - MYMONETRO L'amico americano * * * - - valutazione media: 3,32 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Tre metropoli e due omicidi Valutazione 4 stelle su cinque

di vanessa zarastro


Feedback: 34043 | altri commenti e recensioni di vanessa zarastro
venerdì 13 luglio 2018

In questa estate romana molte sale cinematografiche propongono delle rassegne: ogni giorno proiettano un film diverso già uscito, dando la possibilità a chi non l’abbia visto di recuperarne la visione o di rivederlo a distanza di tempo. È appunto il caso di “Der amerikanische Freund”, uno splendido film di Wim Wenders, il primo forse che è destinato a un pubblico più commerciale dei suoi precedenti.
Infatti ha un po’ la struttura del noir americano; la storia è tratta da uno dei racconti di Patricia Highsmith da cui sono stati tratti almeno altri tre film: “Plein soleil” diretto da René Clément nel 1960 e “Il talento di Mr. Ripley” di Anthony Minghella del 1999 - con Alain Delon, e nella parte di Tom Ripley il primo e Matt Damon il secondo - sono tratti dallo stesso romanzo e “Ripley’s Game” di Liliana Cavani del 2002 – con protagonista John Malkovich - dallo stesso de “L’amico americano”.
Nel film di Wenders il ruolo principale è di Jonathan Zimmermann, un corniciaio di origine svizzera, malato di leucemia e impersonato da Bruno Ganz, che si trova incastrato in un affare di malavita, costretto a uccidere su commissione per tentare nuove cure e per lasciare soldi alla famiglia nel caso le eventuali terapie non funzionassero. La sua triste storia s’intreccia con quella di Tom Ripley, un mercante americano di quadri, un po’ truffaldino che vive un po’ a New York e un po’ ad Amburgo. Da un primo incontro scontroso a un’asta di quadri tra i due nascerà una certa curiosità reciproca grazie prevalentemente all’insistenza di Tom Ripley. Depresso il primo, estroverso e vitale (almeno apparentemente) il secondo. Di fatto Ripley è in cerca di una sua vera identità, il forte senso di solitudine lo porta a parlare al registratore. Ho trovato di estremo interesse come il regista fa crescere un’amicizia maschile: piano piano, tra una bevuta e una chiacchera al bar, dopo qualche parola scambiata sulla bellezza del lavoro artigianale. Erano gli anni della riscossa femminista, le donne finalmente avevo iniziato a parlare tra loro, fuoriuscendo dalle famiglie e incontrandosi nei piccoli gruppi dove socializzavano e confrontavano le loro esperienze. L’occhio di bue di quel periodo era quindi concentrato sul mondo femminile, quindi Wenders ha avuto una particolare sensibilità (e coraggio) per parlare delle modalità di incontro del maschile.
Alla fine Ripley, invece di vendicarsi per un suo atteggiamento scortese, aiuterà Jonathan a uscir fuori dalle maglie della criminalità. Purtroppo sarà troppo tardi perché la malattia del corniciaio avrà il sopravvento.
Ma la vera protagonista del film, come in molti di Wim Wenders, è la città, o meglio le tre città nelle quali si svolge la vicenda. Amburgo con il suo porto è una vecchia signora. Il villone Novecentesco in stile palladino nel quale vive Tom probabilmente è uno di quelli che i ricchi industriali del secolo scorso si facevano costruire appositamente. New York è rappresentata ovviamente da Manhattan che essendo un’isola è contornata anche lei dal mare (o dal fiume Hudson). Probabilmente la contrapposizione tra vecchio e nuovo mondo sottolinea pur nelle analogie, la distanza che c’è tra i due protagonisti. Parigi invece è un posto neutro ed è tutta in costruzione. Infatti, la grande Parigi che abbiamo imparato a conoscere, si è sviluppata prevalentemente negli anni ’80 sotto François Mitterrand che fu Presidente nei due mandati dal 1981 al 1996. Basti pensare che les Halles, il mercato con i padiglioni in ghisa, furono smantellati nel 1971, che il Centre George Pompidou sarà inaugurato nel 1977 e tutta la costruzione del Forum sarà terminata solo nel 1979.
Robby Müller, direttore della fotografia s’inventa i kino-fows, i tubi fluorescenti utilizzati per i colori dei film. Nelle riprese di Parigi, dove peraltro il regista ha vissuto e studiato pittura, Wenders si è ispirato alla fotografia di Storaro del film di Bernardo Bertolucci “L’ultimo tango a Parigi” del 1972 che sposta la macchina da presa dall’alto verso il basso.

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