Tutto a posto e niente in ordine

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Un film di Lina Wertmüller. Con Luigi Diberti, Eros Pagni, Giuliana Calandra, Lina Polito, Nino Bergamini.
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Commedia, durata 93 min. - Italia 1974. MYMONETRO Tutto a posto e niente in ordine * * * - - valutazione media: 3,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un film sulla vita da emigrante in città Valutazione 4 stelle su cinque

di blackandwhite


Feedback: 1012 | altri commenti e recensioni di blackandwhite
lunedì 30 aprile 2018

E' tutto a posto ma niente in ordine nelle città. La vita di città sembra essere organizzata ma in realtà quest'ordine creato dall'uomo non esiste in natura e non è affatto conveniente. La promessa ricchezza non è per tutti... i poveri di città sono ancora più poveri dei poveri di campagna. Lo spazio non è sufficiente per tutti, mentre le campagne sono vuote.
 
Niente più si può fare con calma e vuol dire che non si riesce a fare niente di pensato e niente d'importante. Tutto si paga col denaro, tutto si vende. L'amore non c'è più. Ci sono soltanto "lavoro e soldi, soldi e lavoro", come afferma ad un certo punto uno dei protagonisti. S'invertono i ruoli. Le donne diventano uomini e gli uomini donne. Qualcuno tenta pure la prostituzione maschile, mentre quella femminile è un fatto del tutto normale. Anche l'amicizia non c'è più. Trionfa l'individualismo, l'egoismo.  La gente è tutta stressata e frivola, qualcuno diventa prepotente e razzista, qualcun altro esoso, disumano. Il clima competitivo mette gli uomini uno contro l'altro e spesso è una lotta autodistruttice tra poveri.
 
Sembra tutto a posto, ma in realtà è una pazzia collettiva. Si lavora di più, si guadagna di più, ma si spende anche di più, sia perché molte delle cose che magari la natura fornisce gratis o con poco lavoro laddove non c'è la natura vengono a costare di più. E poi c'è il consumismo che invoglia a spendere in modo frivolo acquistando anche quello che non è affatto necessario, martellati dalla pubblicità e invidiosi di chi fa altrettanto. Così non si riesce mai ad avere abbastanza soldi per mettere su famiglia con sicurezza, in una casa indipendente. Fare figli qui costa molto di più e questo costringe molte donne povere all'aborto contro la loro volontà.
 
Quindi nessun vantaggio per i proletari a emigrare e andare a vivere in città. La realtà è che ci guadagnano solo i ricchi, i proprietari, i padroni. A meno di... non fare il ladro e difatti in città ce ne sono molti di più che nelle campagne.  Chi è privo di scrupoli e in cerca di soldi facili in un ambiente anonimo come quello delle metropoli può trovare la sua realizzazione: dove nessuno ti conosce puoi rubare senza il deterrente della recriminazione sociale.  L'uomo è privato della libertà, del tempo libero, della natura, che se lasciata fare e non imprigionata dal cemento produce da sé il cibo.  E' come una galera, anche se è senza sbarre e per il fatto di essere grande non lo sembra.
 
Così Lina Wertmuller ci racconta, spesso con trasparente ironia, a volte con scene di grande suggestione e crudezza, come quella finale con telecamera rotante, della terribile alienazione umana dei nostri tempi: le grandi città, motore del capitalismo. Eppure anche in un inferno come questo, sembra accendersi un barlume di speranza, di riconciliazione tra le classi sociali, ma è solo un fuoco fatuo: resta un muro invalicabile d'incomprensione tra il mondo dei ricchi e quello dei poveri. I ricchi, quelli che finanziano la politica fascista e reazionaria, e i poveri, che se osano ribellarsi al loro stato di lavoratori schiavi, vengono perseguitati e peggiora ancora di più la loro condizione.
 
E così non cambia niente: il proletariato non osa ribellarsi, tranne sporadici episodi, e rimane, e spesso s'aggrava, il forte divario economico tipico della società capitalista. Una spirale che avvolge tutti e travaglia le vite della povera gente impedendo il raggiungimento della felicità naturale, che prima era un traguardo a portata di mano per ogni uomo, a misura delle sue stesse forze, ma in città è diventata oramai impossibile.

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