stefano
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martedì 21 febbraio 2006
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"lascia perdere, jake: è chinatown!"
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Jake Gittes (Jack Nicholson, indimenticabile con il suo consueto ghigno e il cerotto sul naso) è un detective privato cinico e senza scrupoli nell’assolata e torrida Los Angeles degli Anni ’30, che ricorda da vicino Philip Marlowe e Sam Spade per la brutalità dei suoi modi e per il suo sardonico senso dell’umorismo. Assunto per indagare su quello che sembra un banale caso di infedeltà coniugale, Jake si renderà ben presto conto di essere stato raggirato, e finirà per restare coinvolto in un’intricatissima serie di complotti, omicidi e doppi giochi, tra corruzione politica e torbidi segreti familiari. Suo malgrado, il detective deciderà di indagare per conto proprio sulle oscure vicende nelle quali è stato trascinato, con la renitente collaborazione di un’affascinante signora dell’alta società, Evelyn Mulwray (una splendida Faye Dunaway).
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Jake Gittes (Jack Nicholson, indimenticabile con il suo consueto ghigno e il cerotto sul naso) è un detective privato cinico e senza scrupoli nell’assolata e torrida Los Angeles degli Anni ’30, che ricorda da vicino Philip Marlowe e Sam Spade per la brutalità dei suoi modi e per il suo sardonico senso dell’umorismo. Assunto per indagare su quello che sembra un banale caso di infedeltà coniugale, Jake si renderà ben presto conto di essere stato raggirato, e finirà per restare coinvolto in un’intricatissima serie di complotti, omicidi e doppi giochi, tra corruzione politica e torbidi segreti familiari. Suo malgrado, il detective deciderà di indagare per conto proprio sulle oscure vicende nelle quali è stato trascinato, con la renitente collaborazione di un’affascinante signora dell’alta società, Evelyn Mulwray (una splendida Faye Dunaway). Realizzato nel 1974, “Chinatown” ha tutti gli ingredienti di un classico del genere noir: una trama complicatissima quasi quanto quella de “Il grande sonno”, la magistrale regia di Roman Polanski, l’eccellente sceneggiatura di Robert Towne, la magnifica colonna sonora di Jerry Goldsmith, un finale memorabile che lascia il segno, e soprattutto due protagonisti perfetti: il sensazionale Jack Nicholson, in uno dei migliori ruoli della sua carriera, e la bellissima Faye Dunaway, enigmatica e sfuggente come ogni femme fatale che si rispetti. Senza dimenticare il mitico John Huston, nel ruolo breve ma indelebile dell’ambiguo milionario Noah Cross, uno dei più formidabili “cattivi” nella storia del cinema. Tutti questi ingredienti contribuiscono a fare di “Chinatown” un capolavoro senza tempo, un autentico gioiello del cinema degli Anni ’70, premiato con l’Oscar per la miglior sceneggiatura e con 4 Golden Globes, incluso quello come miglior film. Un classico che con il passare degli anni non ha perso un grammo della sua forza e della sua cupa poesia, capace di tenerti incollato alla poltrona dal primo all’ultimo minuto, e che non può mancare dalla videoteca di tutti i giovani cinefili e di tutti coloro abbastanza grandi da aver avuto la fortuna di vederlo al cinema all’epoca della sua uscita.
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beppe baiocchi
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mercoledì 22 maggio 2013
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il noir perfetto
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Los Angeles, 1937. Jack Gittes (Jack Nicholson) è un investigatore privato, viene assunto da una facoltosa donna per scoprire l'infedeltà del marito. A seguito di questa indagine, Gittes si troverà immischiato in un turbinio di vicende, omicidi, corruzione che hanno come filo conduttore la costruzione di una diga per sopperire alla siccità che sta colpendo la città. Non credo sia doveroso svelare qualcosa di più della trama poichè è preferibile lasciarsi trasportare da una storia come un vero giallo, scoprendo gli indizi pian piano grazie anche alla perfetta sceneggiatura di Robert Towne. Ogni situazione infatti che nel film accade non è messa lì casualmente ma sono tutti piccoli tasselli che serviranno al protagonista (ma anche allo spettatore) per scoprire cosa c'è di losco in questa Los Angeles.
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Los Angeles, 1937. Jack Gittes (Jack Nicholson) è un investigatore privato, viene assunto da una facoltosa donna per scoprire l'infedeltà del marito. A seguito di questa indagine, Gittes si troverà immischiato in un turbinio di vicende, omicidi, corruzione che hanno come filo conduttore la costruzione di una diga per sopperire alla siccità che sta colpendo la città. Non credo sia doveroso svelare qualcosa di più della trama poichè è preferibile lasciarsi trasportare da una storia come un vero giallo, scoprendo gli indizi pian piano grazie anche alla perfetta sceneggiatura di Robert Towne. Ogni situazione infatti che nel film accade non è messa lì casualmente ma sono tutti piccoli tasselli che serviranno al protagonista (ma anche allo spettatore) per scoprire cosa c'è di losco in questa Los Angeles.
Difatti quello che Polanski vuole mostrare con questo maestoso noir è che non tutto è ciò che sembra, è una continua ricerca della verità , del ribaltare questo meccanismo, tutto però nella versione nichilista e pessimista del regista. Un Polasnksi che avendo fatto proprio il genere horror si butta su questo giallo dalle tinte molto hard-boiled facendo propri gli stilemi classici del genere ma con un tocco magistrale e personale alla regia, riuscendo inoltre con le sue inquadrature a far cogliere importanti particolari. Gli attori poi... Jack Nicholson è una garanzia, questo si sa, ma in questa pellicola riesce a dare veramente il massimo, basta uno sguardo per comprendere i suoi sentimenti, prestante nelle scene d'azione, rappresenta un uomo spocchioso e sicuro di se ma incorruttibile e testardo pronto a mettere la ricerca a ciò che c'è di marcio nella vicenda sopra ogni cosa. La controparte femminile invece è Faye Dunaway che pochi anni dopo avrebbe vinto un Oscar per Quinto Potere, credo che basti come presentazione.
Una ricerca diversa del Male quella del regista, che si annida dietro la facciata, un male profondo legato soprattuto alla moneta, una critica alla "politica", una critica al capitalismo. Un messaggio forte valido più che mai nei giorni nostri.
Un film davvero imperdibile
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rmarci 05
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venerdì 19 aprile 2019
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un perfetto noir su corruzione e drammi familiari
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Roman Polanski mescola sapientemente le atmosfere tipiche del noir con una trama che sembra essere degna del maestro Alfred Hitchcock, caratterizzata da un'intrigo che ruota attorno al suo disincantato protagonista e che si trasforma in un vortice di interessi politici, corruzione, tradimenti e drammi familiari, con un'esplicita critica ai primi aspetti e un'amara riflessione sugli ultimi due, intesi come eventi capaci di sconvolgere la vita familiare e di segnare inesorabilmente la vita di una persona. L'affascinante personaggio dell'investigatore, interpretato da un magnifico Jack Nicholson, nonostante possa apparire come il protagonista, è solo utilizzato dal regista come un punto di vista per raccontare una storia struggente e intrigante, dalla struttura complessa il cui messaggio viene trasmesso in modo efficace e molto potente, quasi disarmante: la corruzione, il ricatto e lo scandalo sono tutti elementi che portano ad una serie di eventi dalla preoccupante potenza distruttiva.
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Roman Polanski mescola sapientemente le atmosfere tipiche del noir con una trama che sembra essere degna del maestro Alfred Hitchcock, caratterizzata da un'intrigo che ruota attorno al suo disincantato protagonista e che si trasforma in un vortice di interessi politici, corruzione, tradimenti e drammi familiari, con un'esplicita critica ai primi aspetti e un'amara riflessione sugli ultimi due, intesi come eventi capaci di sconvolgere la vita familiare e di segnare inesorabilmente la vita di una persona. L'affascinante personaggio dell'investigatore, interpretato da un magnifico Jack Nicholson, nonostante possa apparire come il protagonista, è solo utilizzato dal regista come un punto di vista per raccontare una storia struggente e intrigante, dalla struttura complessa il cui messaggio viene trasmesso in modo efficace e molto potente, quasi disarmante: la corruzione, il ricatto e lo scandalo sono tutti elementi che portano ad una serie di eventi dalla preoccupante potenza distruttiva. L'ottima fotografia, i costumi eccellenti e la scenografia immersiva rendono questo film affascinante anche dal punto di vista visivo, senza però scadere nel manierismo compiaciuto. Gli unici difetti sono l'inutile relazione tra l'investigatore e la vedova e alcune lungaggini nella sceneggiatura (ricca di ottimi dialoghi): peccato. 4.5 stelle su 5.
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luca scialò
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sabato 16 gennaio 2010
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un giallo dal finale amaro
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Film "giallo" che scorre lento ed implacabile come un tango argentino. Un investigatore privato, ex poliziotto, J.J. Gittes, da quello che sembra un banale caso di tradimento extraconiugale finisce con lo scoprire un sistema di corruzione e illegalità messo in piedi dal magnate Noah Cross. Quest'ultimo, uomo di potere senza scrupoli, è pronto a fare fuori chiunque gli ostacoli i suoi diabolici e lucrosi progetti. Finale amaro.
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l''uomodellasala
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giovedì 15 giugno 2017
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un capolavoro sottovalutato
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Roman ci regala uno dei film più belli della storia del cinema ma sconosciuto ai più. la trama non potrebbe essere più geniale, un neo-noir che parte da un piccolo mistero per poi finire in un complotto diabolico passando per tanti colpi di scena. l'apparato tecnico è formidabile, grazie a lui finiamo in ua San Francisco onirica e oscura: la fotografia è strraordinaria, la colonna sonora è formidabile e sopratutto le scenografie danno una ricostruzione perfetta. gli attori danno delle prove stupende: Nicholson meritava l'oscar, Fay non è da meno, Huston si trova perfettamente a suo agio nell'insolita veste di attore. il finale poi: qualcosa di scioccante, in cui i cattivi vincono e gli eroi tornano a casa a mani vuote.
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Roman ci regala uno dei film più belli della storia del cinema ma sconosciuto ai più. la trama non potrebbe essere più geniale, un neo-noir che parte da un piccolo mistero per poi finire in un complotto diabolico passando per tanti colpi di scena. l'apparato tecnico è formidabile, grazie a lui finiamo in ua San Francisco onirica e oscura: la fotografia è strraordinaria, la colonna sonora è formidabile e sopratutto le scenografie danno una ricostruzione perfetta. gli attori danno delle prove stupende: Nicholson meritava l'oscar, Fay non è da meno, Huston si trova perfettamente a suo agio nell'insolita veste di attore. il finale poi: qualcosa di scioccante, in cui i cattivi vincono e gli eroi tornano a casa a mani vuote. un omaggio al genere noir da guardare, con l'unico difetto di essere uscito nello stesso anno del Padrino-parte II, cosa che l'ha gettato ingiusatamente nell'ombra.
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[+] sottovalutato?!?
(di emaspac)
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francesco2
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lunedì 17 gennaio 2011
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tutto il mondo è chinatown?
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(Ri) crea , negli anni'70, in cui è nato chi sta scrivendo ma chi gli sono stati descritti come epoca di transizione, un decennio di depressione (almeno economica) come quello degli
anni'30 (Ma i protagonisti, nota da ignorante, non vestono troppo moderno?) E' un atmosfera conturbata e conturbante (E'un caso che Veltroni, nello scrivere sul film, abbia citato Chandler?), in cui lo stesso protagonista può venir redarguito dal barbiere per la sua ambigua(?) moralità, che si nutre di spunti all'apparenza insipidi ma che in realtà lasciano il segno, come la scogliera dove il ragaino di madrelingua spagnola parla con Nicholson. Non è torrido ma torbido, come sarà sedici anni dopo un film di cui ci ricordiamo troppo poco, "Il posto caldo" di dennis Hopper.
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(Ri) crea , negli anni'70, in cui è nato chi sta scrivendo ma chi gli sono stati descritti come epoca di transizione, un decennio di depressione (almeno economica) come quello degli
anni'30 (Ma i protagonisti, nota da ignorante, non vestono troppo moderno?) E' un atmosfera conturbata e conturbante (E'un caso che Veltroni, nello scrivere sul film, abbia citato Chandler?), in cui lo stesso protagonista può venir redarguito dal barbiere per la sua ambigua(?) moralità, che si nutre di spunti all'apparenza insipidi ma che in realtà lasciano il segno, come la scogliera dove il ragaino di madrelingua spagnola parla con Nicholson. Non è torrido ma torbido, come sarà sedici anni dopo un film di cui ci ricordiamo troppo poco, "Il posto caldo" di dennis Hopper. Sotto la sua aria spavalda, Nicholson si porta dietro un grande peso citato (Chissa perché) nel titolo, come se, probabilmente, secondo Polanski ogni luogo sia una potenziale o reale "Chinatown", la (Non) isola dell'ingiustizia. In un futuro più o meno prossimo, vedremo il poliziotto complessato di "Guardia sdel corpo", i delitti capitali di "Seven", altro film dal finale amarissimo. (Ri) avremo "King Kong", anzi ne(RI) avremo due, con una scena madre finale che coinvolge tuta la folla. Ma i primi due film che ho menzionato, secondo me, sono inferiori a questo, anche se il personaggio del padre-padrone (Sono generoso) è fin troppo una macchietta, l'atmosfera ambigua e glaciale della prima parte porta (Gioco di parole) delle premesse che non sempre verranno rispettate. Ma "Chinatown" è, appunto, una piccola realtà che purtroppo si può estenderea tutto il mondo, dove paga chi magari non è innocentissimo ma è vittima della vita più che di sé stesso, e Nicholson partito per risolvere un intreccio che sembrava determinato da motivi economici, ha finito per tornare da dove se ne era andato: quel luogo pazzo che è il mondo. Sembra, senza averlo letto, di citare ciò che ho sentito dell'(Ultra) pessimista Chandlòler. Appunto.
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brundlefly
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sabato 15 ottobre 2011
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lacrime
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Un appassionato del pioniere della letteratura americana Raymond Chandler, la cui mente partorì nel 1939 il detective Philip Marlowe, troverà ogni ingrediente adatto a far rientrare questo film tra i grandi capolavori. L'intera pellicola è costellata da argute e mai scontate battute di spirito, personaggi particolarmente carismatici e, last but not least, la sempre accattivante metropoli losangelina degli anni '40.
Vera protagonista, dopo il grandioso (qui e ovunque) Jack Nicholson, è la trama, sporca e corrotta all'inverosimile che avvolge inesorabilmente le sue spire attorno al detective privato J. Gittes (Nicholson) per le due ore di durata della pellicola fino ad avvilupparlo definitivamente con l'ultima seqenza, definibile amara solo eufemisticamente.
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Un appassionato del pioniere della letteratura americana Raymond Chandler, la cui mente partorì nel 1939 il detective Philip Marlowe, troverà ogni ingrediente adatto a far rientrare questo film tra i grandi capolavori. L'intera pellicola è costellata da argute e mai scontate battute di spirito, personaggi particolarmente carismatici e, last but not least, la sempre accattivante metropoli losangelina degli anni '40.
Vera protagonista, dopo il grandioso (qui e ovunque) Jack Nicholson, è la trama, sporca e corrotta all'inverosimile che avvolge inesorabilmente le sue spire attorno al detective privato J. Gittes (Nicholson) per le due ore di durata della pellicola fino ad avvilupparlo definitivamente con l'ultima seqenza, definibile amara solo eufemisticamente.
Chinatown, la location per l'ultima scena e per il passato di Gittes, è solo un pretesto, come lo è anche la celebre frase, ultima battuta del film :"Lascia perdere Jake, è Chinatown"; L'ambientare i ciak finali a Chinatown è un modo per dare senso alla condotta immorale dei personaggi (dai poliziotti corrotti al magnate incestuoso), un modo per classificare e confinare il male per poi allontanarvisi più velocemente possibile lavandosene le mani.
Nessun personaggio, oltre a Gittes, sembra capire che a Chinatown ha luogo SOLO la conclusione di questa danza macabra ma la musica che l'ha accompagnata è stata suonata a Los Angeles, cioè nel mondo in cui i personaggi (e noi stessi) vivono.
Amaro inoltre è il ripetersi della massima "...fare il meno possibile..." solo al termine della vicenda si comprende quanto la frase sia intrisa di significato e il detective Gittes lo testerà di persona.
Sembra che a questo mondo sia impossibile combattere per una giusta causa ma Gittes, anche se perdente, rimarrà per sempre nel mio cuore, romantico paladino e uomo di buon gusto.
Di 11 nomination all'Oscar ne ottenne solo 1 per la migliore sceneggiatura.
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elgatoloco
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mercoledì 29 marzo 2017
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film straordinario, tipicamente"polanskiano"
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Nicholson, Dunaway, Huston(che qui è il"vilain", l'"hjio de puta", per dirla in latinoamericano più che in castigliano puro, con tutte le contrazioni e le variazioni previste...)in questo"Chinatown"di Polanski che rimane un grandissimo film, anche per chi preferisca(di poco, però, come anche chi scrive)il Polanski fantastico, "dark", di "Rosemary's Baby"ma anche quello fantastico-"quieto" di"Who?". Trama, se vogliamo, à la Chandler, dove intrighi e corruzione sono alla base del film, con sviluppi imprevisti ad ogni"tornante", con una fotografia che alterna la luminosità all'oscurità, sottolienendo i contrasti forti e inequivocabili, dove poi, però, ogni nuovo sviluppo nega quanto si era ritenuto di capire da quanto viene prima.
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Nicholson, Dunaway, Huston(che qui è il"vilain", l'"hjio de puta", per dirla in latinoamericano più che in castigliano puro, con tutte le contrazioni e le variazioni previste...)in questo"Chinatown"di Polanski che rimane un grandissimo film, anche per chi preferisca(di poco, però, come anche chi scrive)il Polanski fantastico, "dark", di "Rosemary's Baby"ma anche quello fantastico-"quieto" di"Who?". Trama, se vogliamo, à la Chandler, dove intrighi e corruzione sono alla base del film, con sviluppi imprevisti ad ogni"tornante", con una fotografia che alterna la luminosità all'oscurità, sottolienendo i contrasti forti e inequivocabili, dove poi, però, ogni nuovo sviluppo nega quanto si era ritenuto di capire da quanto viene prima... Un gioco al massacro totale, anche quando è avvertibile sottilmente(parlo qui, ovviamente, della parte iniziale del film), in maniera , diciamo pure"soft", ma che poi si rivela per quanto è in realtà, ossia terribile...Nessuna enfasi sull'ambientazione, appunto"chandleriana"(pieni anni Trenta del Novecento, 1937 per la precisione...), costumi e scene efficaci quanto non "esibiti", pregnanti, dove l'ambientazione è parte del "tutto"filmico ma, ovviamente, non lo esaurisce... Film decisamente onnivoro, totalizzante, dove, a proposito della detection/investigazione, nei canoni migliori del"thriller"ma anche proprio della ricerca filmica di Polanski"nulla è come sembra"("Who?", sempre e comunque mi sembra proprio un proclama, un"manifesto"), dove i primi indizi vengono subito e continuamente erosi, messi in crisi da quanto segue, con una "logica"(?)impeccabile, senza scampo, in qualche misura. Da considerare con molta attenzione, anche perché, al di là del sequel firmato come regista da Nicholson, che peraltro non conosco e ritengo sia stato proposto raramente, comunque non spesso, gli esiti del film non si sono visti"massicciamente". Da rivalutare e riscoprire-riproporre, direi, continuamente, per esaminarne(vale per tutto Polanski, per la sua opera omnia)ogni sequenza. El Gato
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great steven
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giovedì 11 maggio 2017
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una ventata di novità nel noir poliziesco.
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CHINATOWN (USA, 1974) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da JACK NICHOLSON, FAYE DUNAWAY, JOHN HUSTON, BURT YOUNG, BRUCE GLOVER
Nell’assolata e deserta Los Angeles del 1937, al detective privato Jacob Gittes si rivolge una donna che si spaccia per la signora Muwlray, moglie del più importante proprietario idrogeologico della metropoli, chiedendogli di indagare su un suo presunto tradimento coniugale.
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CHINATOWN (USA, 1974) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da JACK NICHOLSON, FAYE DUNAWAY, JOHN HUSTON, BURT YOUNG, BRUCE GLOVER
Nell’assolata e deserta Los Angeles del 1937, al detective privato Jacob Gittes si rivolge una donna che si spaccia per la signora Muwlray, moglie del più importante proprietario idrogeologico della metropoli, chiedendogli di indagare su un suo presunto tradimento coniugale. Occupandosi di un caso assai (ma solo in apparenza) più banale dei suoi canoni abituali, Jake arriva invece a conoscere la vera Evelyne Muwlray (nata Cross; l’altra donna non era che una prostituta pagata da una fondazione di cui Jake conosce il losco presidente), dark lady in piena regola, che lo trascina nel vortice di uno scandalo pubblico di corruzione che ruota intorno alla morte di Hollis Muwlray, trovato annegato in un canale di scolo. Ma si tratta di un accidente o di un omicidio architettato? Jake non può saperlo fintantoché non raccoglie sufficienti prove che lo portano ad incontrare di persona il terribile Noah Cross, socio alla pari di Hollis nella gestione delle risorse idriche che approvvigionano la città del bene primario. I rischi dell’impresa non sono da sottovalutare: Jake viene ferito al naso da un ghignante sorvegliante nano, disvela la presenza di una misteriosa ragazzina che potrebbe esser stata l’amante di Hollis, depreda incartamenti dagli archivi catastali e fa luce, uno per uno, su tutti gli aspetti oscuri di una storia tanto misteriosa quanto potenzialmente esplosiva, con gli agricoltori degli aranceti che protestano per la scarsità idrica e i progettisti di una diga che, a parole, sostengono di ridare l’acqua alla città, ma poi la scaricano nell’oceano, favorendo la desertificazione e rimpinguando le proprie casse. Ma il bandolo della matassa sta tutto nell’animo della tormentata Evelyn: la signora Muwlray ha sempre creduto fino all’ultimo nelle integerrime intenzioni del marito, ma nulla poté fare per impedire al padre di assassinarlo… dopo che il pericolosissimo e pazzo capitalista ebbe concluso due affari che gli stavano particolarmente a cuore: sottrarre al socio tutti i segreti per l’ottimo funzionamento della ditta e violentare la figlia, dando così vita alla sua figlia-sorella, la ragazzina che si credeva la concubina del defunto Hollis. Nel mettere a nudo una situazione di corruzione così sfracellata e madornale e una vicenda privata tanto sconvolgente, Jake rischia l’arresto per favoreggiamento, sottrazione di prove ed estorsione, ed è pronto a farsi ammanettare dal suo ex collega Lou Escobar (importante fu il periodo di Jake Gittes come poliziotto a Chinatown, poi archiviato per delusioni professionali), ma accade l’irreparabile: Evelyne e Catherine (così si chiama la ragazzina) sono più che mai decise a varcare la frontiera e non tornar mai più negli Stati Uniti. Escobar spara un colpo, ma Jake lo neutralizza; non può invece farlo col suo collega Walsh, che ferisce a morte Evelyn. Ormai sconfitto e avendo veduto il frutto del suo duro (anche se non onesto fino in fondo) lavoro, a Jake viene concessa la libertà di tornarsene a casa e stendere un velo pietoso su Chinatown. Permeato di un umorismo caustico e al tempo stesso sardonico, ricco di trovate geniali (l’occhio della Dunaway di cui Nicholson si accorge un istante prima del loro unico rapporto amoroso e che poi sarà quello da cui oltrepasserà il proiettile letale) e giustamente proiettato verso un finale amaro e destabilizzante, fece, senza lasciarsi andare ad esercizi di nostalgica archeologia, scuola nella rivisitazione del cinema nero americano. È, in fin dei conti, un noir con tutte le carte in regola: l’investigatore privato ex poliziotto, cinico, disincantato ma tutto sommato anche idealista e coraggioso; la femme fatale che manovra i fili di una vita dietro cui è però nascosto un dramma inconfessabile la cui venuta alla luce le provocherà un nuovo trauma ancora più sfibrante; il finanziere vegliardo che non si fa scrupoli né nell’incesto né nella rapida, violenta eliminazione fisica di un concorrente che ne sa più di lui in idrogeologia e dunque necessita delle sue conoscenze, una volta messe in pratica, per appropriarsi d’ogni cosa che rientri nel bacino d’utenza del suo mastodontico potere; l’agente promosso a tenente, che cova astio e insolenza nei riguardi del protagonista, ma pur essendo sempre sul punto di commettere una scorrettezza o un atto avventato contro di lui, glieli risparmia puntualmente dovendo ammettere a viva forza che l’ex collega aveva colto nel segno, svolgendo il proprio lavoro con un acume, una sfrontatezza e una perseveranza insospettabili, per quello che rimane comunque un subalterno. Nel grande labirinto di doppi giochi, servi del potere, raggiri, corruzioni dilaganti, bisogni disattesi e magnati spadroneggianti, è difficile individuare un vincitore. Il personaggio di Gittes viene sicuramente ripristinato, ma la sua riabilitazione è penalizzata dall’errore di credere eccessivamente nel suo idealismo, il che gli spiattella di fronte la realtà cruda dei fatti e non gli consente un pieno raggiungimento dell’utopia sperata. Nicholson se la cava benissimo finalmente in un ruolo meno psicopatico delle sue usuali corde, e lo affianca una Dunaway ormai fuori dall’aura di sex-symbol venticinquenne con la sua dama dell’aristocrazia che ostenta sicurezza e padronanza di sé per mascherare il dolore straziante che è pure personificato in carne e ossa dall’abuso paterno verso di lei. Polanski seppe scegliersi saggiamente un antagonista con connessi e controfiocchi come Huston: l’attore-regista si trasforma in un vecchio bue duro a crepare, un burattinaio malvagio e calcolatore che non si limita a bramare smaniosamente la pecunia, ma la ottiene sacrificando amici e nemici che gli capita di incontrare sul proprio percorso immancabilmente in salita e in divenire. E il quartiere cinese? È un topos in cui viene raccolto il lerciume morale che alberga negli animi dei personaggi, la fucina di espiazione dei vizi, della corruzione, del malessere, di quello stesso "mal di vivere" contro il quale si cerca affannosamente una ragione, un rimedio, un palliativo. A modo suo, è anche un’opera ecologica: il giardino dei Muwlray in cui l’acqua salata danneggia l’erba e in cui Gittes ritrova gli occhiali dell’uomo su cui indagava fanno riaffiorare il tema ambientalistico, e Los Angeles, città californiana stretta fra il Pacifico e la faglia di Sant’Andrea, non può certo dirsi nuova a questi scontri solitamente bilaterali di cultori dell’ambiente che muovono in una direzione o nell’altra, coi rispettivi propositi costruttivi o destrutturanti. Il vero eroe del film resta tuttavia Robert Towne, e una volta tanto un Oscar alla sceneggiatura è stato meritato senza strascichi né riserve: va tutto alla sua dovizia di particolari, al suo talento di narratore eccezionale e alla sua capacità di costruire intrecci che somigliano ad incastri societari, per come inscenano storie quanto mai formidabili e seducenti.
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l''uomodellasala
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giovedì 15 giugno 2017
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un capolavoro sottovalutato
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Roman ci regala uno dei film più belli della storia del cinema ma sconosciuto ai più. la trama non potrebbe essere più geniale, un neo-noir che parte da un piccolo mistero per poi finire in un complotto diabolico passando per tanti colpi di scena. l'apparato tecnico è formidabile, grazie a lui finiamo in ua San Francisco onirica e oscura: la fotografia è strraordinaria, la colonna sonora è formidabile e sopratutto le scenografie danno una ricostruzione perfetta. gli attori danno delle prove stupende: Nicholson meritava l'oscar, Fay non è da meno, Huston si trova perfettamente a suo agio nell'insolita veste di attore. il finale poi: qualcosa di scioccante, in cui i cattivi vincono e gli eroi tornano a casa a mani vuote.
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Roman ci regala uno dei film più belli della storia del cinema ma sconosciuto ai più. la trama non potrebbe essere più geniale, un neo-noir che parte da un piccolo mistero per poi finire in un complotto diabolico passando per tanti colpi di scena. l'apparato tecnico è formidabile, grazie a lui finiamo in ua San Francisco onirica e oscura: la fotografia è strraordinaria, la colonna sonora è formidabile e sopratutto le scenografie danno una ricostruzione perfetta. gli attori danno delle prove stupende: Nicholson meritava l'oscar, Fay non è da meno, Huston si trova perfettamente a suo agio nell'insolita veste di attore. il finale poi: qualcosa di scioccante, in cui i cattivi vincono e gli eroi tornano a casa a mani vuote. un omaggio al genere noir da guardare, con l'unico difetto di essere uscito nello stesso anno del Padrino-parte II, cosa che l'ha gettato ingiusatamente nell'ombra.
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