Solaris |
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Un film di Andrei Tarkovsky.
Con Natalya Bondarchuk, Donatas Banionis, Yuri Charvet, Jüri Järvet, Vladislav Dvorzhetskiy.
continua»
Titolo originale Soljaris.
Fantascienza,
durata 165 min.
- URSS 1971.
MYMONETRO
Solaris
valutazione media:
4,04
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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martedì 19 aprile 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Solaris segna il passaggio del regista Tarkovskij da una tematica prettamente storica a una fantascientifica, che tuttavia non si configura come lo spettatore potrebbe aspettarsi. Qui non vi sono alieni, incrociatori stellari o armi laser, ma un tema filosofico piuttosto impegnativo e ricorrente lungo tutta la pellicola, condensabile nella seguente domanda: qual è il significato dell’essere umano? Il protagonista, uno psicologo, viene inviato forte della sua fede nella scienza e nella ragione a comprendere cosa stia avvenendo nella stazione spaziale fluttuante nell’oceano del pianeta Solaris. In questo luogo, però, ben presto si accorgerà che la realtà non è necessariamente quella percepita con gli occhi, e andrà incontro a esperienze che non credeva minimamente possibili. La sua salute mentale subirà un declino sempre più veloce e inarrestabile, con le stesse pareti e corridoi della struttura a fungere da gabbia stritolante e soffocante. Non vi è un modo chiaro atto a uscire da tale situazione, e non è un caso che i suoi compagni di viaggio decidano di guidarlo lungo tale via in due maniere antitetiche: uno gli consiglia di reagire appellandosi alla scienza e al “confronto/scontro” con l’entità immateriale che sembra permeare il pianeta, l’altro suggerisce invece di abbandonarsi al semplice fatto che l’uomo non possa pretendere di conoscere il cosmo e le altre eventuali forme di vita, quando non comprende nemmeno se stesso. Di conseguenza, secondo il dottor Snaut l’ideale sarebbe “avere meno navi spaziali per esplorare e più specchi in cui riflettersi”. In questo terzo lungometraggio Andrei Tarkovskij esprime un pessimismo piuttosto forte, mettendo lo spettatore con le spalle al muro (si veda, per esempio, la scioccante scena finale del ritorno sulla Terra), nonostante per un attimo dia l’impressione che anche di fronte a tali difficoltà e sofferenze una stilla di vita possa comunque esserci. Si prenda a dimostrazione l’inquadratura sempre più ravvicinata della piantina posta nella cabina del protagonista e cresciuta in quelle condizioni avverse (spazio e scatola di metallo). Ma, purtroppo, il regista pare comunque suggerirci il fatto che una volta che un essere umano riesce a liberarsi di un’ossessione che gli affollava la mente, ecco che dietro l’angolo ne appare immediatamente un’altra pronta a riempire quel vuoto appena formatosi. Il tutto in un ciclo senza fine e senza opportunità alcuna di sfuggirne proprio perché, per citare una frase di Friedrich Nietzsche, “se scruti a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te”.
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