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La Terra futura non sarà un giardino, e non più un filo d’erba riuscirà a farsi strada fra le crepe del cemento. L’unica memoria della natura culla dell’uomo sarà custodita negli orti botanici orbitanti intorno al pianeta. Ma per chi nascerà fra i grattacieli e crescerà con cibi sintetici, che significato potranno mai avere? Nessuno, e non evocheranno alcun sentimento poetico: saranno soltanto un grosso dispendio di denaro e una perdita di tempo. Così gli umani decideranno di disintegrare le cupole orbitanti… Solo Lowell Freeman (Bruce Dern) si ribellerà, lanciandosi, dopo aver ucciso i suoi colleghi, in una disperata corsa silenziosa sempre più lontano dal sole, in compagnia di due robot: ad uno di essi rimarrà il compito di vigilare sugli ultimi resti della natura che fu. Un po’ didascalico e un po’ ingenuo, è però un film sincero come pochi. A dargli un’anima, soprattutto nei momenti più difficili, ci pensano anche le musiche, composte da Peter Schickele e cantate da Joan Baez (i brani Silent Running e Rejoice in the Sun). Nell’edizione italiana, persone ignobili hanno spostato il titolo verso un inesistente legame con 2001: Odissea nello spazio (se non nel fatto che il qui regista Douglas Trumbull era lì il responsabile degli effetti speciali). E non solo il titolo: la voce narrante, al principio della storia, allude a un monolito fra Giove e Saturno mai menzionato nella versione originale, e più avanti si sente persino la voce di HAL 9000!
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