giorgio camisani
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domenica 28 dicembre 2008
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il mito di antoine doinel
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Siamo all’interno di una mitografia, dove un individuo, impossibilitato a vivere comunemente, ovvero con una rassegnata accettazione della vita, si ribella, irridendo il sistema che però, poi, si rifà di lui. Antoine è alla ricerca di un proprio stile, di movenze e atteggiamenti che siano suoi e soltanto suoi; egli si sta costruendo una personalità, secondo i principi esistenzialisti, e vuole realizzarsi seguendo i propri gusti e le proprie idee, in modo da distinguersi dagli altri e sentirsi superiore, al fine di essere se stesso. Gli effetti di questa ricerca sono di due tipi: da un lato comici e buffi, e dall’altro lirico- romantici.
Quello di Antoine è un percorso formativo, le sue vicende rientrano nella trama di una maturazione, che ha al suo centro il sentimento amoroso e la sensualità che l’accompagna.
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Siamo all’interno di una mitografia, dove un individuo, impossibilitato a vivere comunemente, ovvero con una rassegnata accettazione della vita, si ribella, irridendo il sistema che però, poi, si rifà di lui. Antoine è alla ricerca di un proprio stile, di movenze e atteggiamenti che siano suoi e soltanto suoi; egli si sta costruendo una personalità, secondo i principi esistenzialisti, e vuole realizzarsi seguendo i propri gusti e le proprie idee, in modo da distinguersi dagli altri e sentirsi superiore, al fine di essere se stesso. Gli effetti di questa ricerca sono di due tipi: da un lato comici e buffi, e dall’altro lirico- romantici.
Quello di Antoine è un percorso formativo, le sue vicende rientrano nella trama di una maturazione, che ha al suo centro il sentimento amoroso e la sensualità che l’accompagna. Il presupposto al bisogno d’amore che Antoine sente è la profonda solitudine, nella quale Antoine Doinel si ritrova sin dall’infanzia, all’epoca dei Quattrocento colpi. E’ una solitudine che contiene diffidenza e lontananza dall’altro e che ostacola Antoine nel rapporto con le donne, che lo respingono sessualmente, pur accogliendolo affettivamente, forse per compassione. In lui, comunque, permane sempre un’adesione alla vita, una fede nell’esistenza. Infatti non siamo dinnanzi ad un nichilista, al contrario Antoine sembra pronto ad amare ed è sempre in attesa di nuove svolte, nuovi cambiamenti e colpi di scena.
La sua timorosa e, contemporaneamente, sfacciata ricerca d’amore è dopo lunghi tormenti premiata e ciò avviene inaspettatamente, non gratuitamente, ma meritatamente, perché Antoine Doinel trasforma la banalità dell’esistenza in evento, valorizza l’esistente dotandolo di soggettività e sensatezza, nomina cose e persone ed in questo modo le fa esistere, nomina se stesso allo specchio e si fa esistere, in un tempo presente che è presa di coscienza e di possesso della propria vita, all’interno di una temporalità che, invece, fluisce, muta come un lungo sonno senza sogni.
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lorenzo ciofani
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sabato 23 agosto 2008
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baci sfiorati
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«Fabienne Tabard Fabienne Tabard Fabienne Tabard Fabienne Tabard Fabienne Tabard… Christine Darbon Christine Darbon Christine Darbon Christine Darbon Christine Darbon… Fabienne Tabard Fabienne Tabard Fabienne Tabard… Antoine Doinel Antoine Doinel Antoine Doinel Antoine Doinel…». È una scena memorabile quella che Jean Pierre Leaud regala davanti ad uno specchio esistenziale. Racchiude tutto l’essere Antoine Doinel. Quel suo vivere sempre in bilico, rimandare le decisioni perché non ancori maturi per prenderle, essere minati dal dubbio. I film con questo stralunato ed impacciato alieno sono quelli in cui François Truffaut indaga su se stesso, alla ricerca dei tempi perduti e per vedere a quale futuro (che poi è presente) si destina il suo alter ego.
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«Fabienne Tabard Fabienne Tabard Fabienne Tabard Fabienne Tabard Fabienne Tabard… Christine Darbon Christine Darbon Christine Darbon Christine Darbon Christine Darbon… Fabienne Tabard Fabienne Tabard Fabienne Tabard… Antoine Doinel Antoine Doinel Antoine Doinel Antoine Doinel…». È una scena memorabile quella che Jean Pierre Leaud regala davanti ad uno specchio esistenziale. Racchiude tutto l’essere Antoine Doinel. Quel suo vivere sempre in bilico, rimandare le decisioni perché non ancori maturi per prenderle, essere minati dal dubbio. I film con questo stralunato ed impacciato alieno sono quelli in cui François Truffaut indaga su se stesso, alla ricerca dei tempi perduti e per vedere a quale futuro (che poi è presente) si destina il suo alter ego. Certo, dai tempo dei fulminanti “400 colpi” sono trascorsi quasi dieci anni, François è cresciuto e la deriva disperata di Doinel l’ha schivata orgogliosamente. Però è interessato a farlo vivere, quasi a donargli una nuova vita che si distacchi da lui. Inevitabilmente tuttavia Antoine è François e il terzo atto delle sue avventure si segnala ancora una volta come un racconto di formazione. Tutti i film della saga Doinel sono racconti di formazione, esprimono i turbamenti e le emozioni del personaggio (che poi è sintesi di una certa generazione) attraverso le esperienze del quotidiano. Stavolta François si concentra nel periodo della maturazione post-adolescenziale: Antoine è stato riformato dall’esercito («L’esercito è come il teatro: è un meraviglioso anacronismo»), viene accolto in casa di una ragazza verso la quale prova un sentimento che si avvicina all’amore (ma neanche lui sa cosa sia – o forse non vuole ammetterlo), viene preso come portiere in un albergo, quindi licenziato, assunto in una agenzia investigativa («Il nostro mestiere è fatto per un 10% di espirazione e un 90% di traspirazione»), dove non ne azzecca una finché non si invaghisce dell’elegante moglie di un facoltoso cliente. Come al solito nei film del ciclo doinielano, è un’analisi sulla vita e le sue peripezie, affrontata con gioiosa dolcezza. Difatti, tra tutti i film della saga, “Baci rubati” è il più gioioso e spensierato, a tratti perfino buffo – specie nella rappresentazione del lavoro di detective. Ed è da puntualizzare quest’aspetto semplice e gentile dell’opera: l’indizio sta nella dedica. Il film è dedicato alla Cinémathèque Française di Henry Langlois, tempio dei cinefili di una generazione. In che anno è stato girato “Baci rubati”? Nel 1968. No, dico, il 1968. In quell’anno dalla Cinémathèque fu cacciato via il suo amato direttore, Langlois, per motivi politici. Dunque la dedica che François gli rivolge all’inizio è un atto politico dovuto e sentito. E poi si ferma qui. E già, perché, detto in soldoni, della politica non gliene può fregar di meno. Sì, c’è Christine, impegnata nelle lotte studentesche e via dicendo, ma ad Antoine sembra non interessare (mentre a François proprio non tocca, ne prende solo atto ma si rende conto che non sono fatti suoi, che i suoi personaggi e le sue storie non possono essere “inquinate” dai fattori politici). Ciò che a Truffaut interessa è che si sappia del suo impegno per la Cinémathèque. “La mia patria è il cinema”, amava dire, e per esso egli si batte (tra l’altro c’è una gustosa citazione di Stanlio e Olio, i cui faccioni mascherano i visi di due bambini). “Baci rubati” è un film tenerissimo e delicato, che parla d’amore con grazia e sincerità, percorso dalle suggestioni creative e sognanti dell’età che si porta in scena. Quell’età romantica, in cui si è ancora accarezzati dalla dolce ala della giovinezza. In cui è lecito sbagliare – perché formativo. Che si immerge spontaneamente nelle noti soffuse e malinconiche di “Que reste-t’ll de non amours?” di Charles Trenet. Da incorniciare. Anche se, come direbbe Godard (con il quale Truffaut ha avuto un rapporto controverso), «è il margine che fa la pagina». Beh, anche qui il margine è splendido.
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mercuzio
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domenica 17 maggio 2009
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nodi che (ri)tornano.
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Un lento, commovente slapstick pare questa delicata commedia di Truffaut, incentrata su di una figura che cambia di continuo mestiere, "costume", che arriva a fare del cambiar mestiere/costume un ruolo nel quale fatica a identificarsi, e fuori dal quale i suoi abiti cambieranno ancora, fino a divenire quelli dello sposo promesso (l’avvenire). Penso a Keaton (Sherlock Holmes Jr.?), certo più a Chaplin, con tutti quei sorrisi, gli ammiccamenti in macchina, lasciati, sembra, dal regista un po’ all'arbitrio dell’attore/marionetta Jean Pierre Leaud, in questo che è forse il più "distratto" tra i film di un cineasta nato tra le pagine dei Cahiers Du Cinema sotto gli auspici di Bazin, protagonista di un’accanita stagione di caccia alla ricerca (impossibile?) di un linguaggio-cinema.
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Un lento, commovente slapstick pare questa delicata commedia di Truffaut, incentrata su di una figura che cambia di continuo mestiere, "costume", che arriva a fare del cambiar mestiere/costume un ruolo nel quale fatica a identificarsi, e fuori dal quale i suoi abiti cambieranno ancora, fino a divenire quelli dello sposo promesso (l’avvenire). Penso a Keaton (Sherlock Holmes Jr.?), certo più a Chaplin, con tutti quei sorrisi, gli ammiccamenti in macchina, lasciati, sembra, dal regista un po’ all'arbitrio dell’attore/marionetta Jean Pierre Leaud, in questo che è forse il più "distratto" tra i film di un cineasta nato tra le pagine dei Cahiers Du Cinema sotto gli auspici di Bazin, protagonista di un’accanita stagione di caccia alla ricerca (impossibile?) di un linguaggio-cinema. Distratto perché le riprese coincisero con l' inaspettato licenziamento di Henri Langlois dalla direzione della Cinématheque Française, evento al quale seguirono lunghi scontri col governo e le forze dell'ordine prima che tutto tornasse com'era, o meglio, prima che tutto cambiasse: il maggio parigino fioriva silenzioso. Il noto avvitamento cinematografico, autoreferenziale, sembra rallentare, o se vogliamo, subisce nel suo avvitarsi le interferenze di quel "quotidiano" mobilitato, rivoluzionario, che Truffaut capeggiò affiancato dai GodardResnaisRivetteRayMaraisCarnè.., corpo unico, voce compatta del mondo-cinema contro la traumatica dissolvenza della Francia di De Gaulle.
Il film è una commedia del "chi è chi?", "cosa è cosa?", "chi sono/sarò?" fuori dalla caserma (De Gaulle), dalle illusorie letture (Balzac), da deludenti incontri con fredde prostitute (irreggimentate, sorvegliate, “legalizzate”: l’amico Godard negli anni '60 "sembra" non occuparsi d'altro), al di là delle insicurezze di una ragazza che tutti abbiamo temuto una poco di buono perché pedinata da quel "pazzo" che le si dichiara nel finale. E se JPL, come tutti gli altri interpreti, non è l'indefinito presente della Francia (Truffaut non ha mai mescolato cinema e politica, l'impegno "lo faceva ridere" dice chi l'ha conosciuto...), forse lo sarà del cinema, ma non nel senso di una mancanza di forma, ma di una difficoltà a mantenere fluido quel costante, magmatico divenire che il miglior cinema francese ha sempre inseguito sin dai “critici” albori della Nouvelle Vague.
E anche se al protagonista sono negati gli iperbolici "successi" dei Lloyd, Keaton, Chaplin, il finale dirada le ombre iniziali (l'interno di un carcere militare) con un assolato esterno, dopo una promessa suggellata con un cavatappi e una passeggiata mano nella mano che profuma di avvenire, qualunque esso sia.
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stefano capasso
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lunedì 4 agosto 2014
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la ricerca della stabilità
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Antoine viene riformato dall'esercito dove si era arruolato in seguito alla delusione dell'amore non corrisposto da Christine. I due giovani si ritrovano, ma Christine continua a essere ambigua verso le attenzioni di Antoine. Quando comincia a lavorare come investigatore privato, Antoine ha nuovi interessi nuove attenzioni femminili, ed in genere nuovi importanti esperienze. Christine sente che sta perdendo l'interesse esclusivo del ragazzo e decide di rompere gli indugi.
Film di alto livello del maestro Truffaut, sostenuto da una costruzione narrativa articolata ed intrigante che mantiene una suspance costante mentre racconta con delicatezza, nel suo tipico stile grottesco, inquietudini e sentimenti dei protagonisti.
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Antoine viene riformato dall'esercito dove si era arruolato in seguito alla delusione dell'amore non corrisposto da Christine. I due giovani si ritrovano, ma Christine continua a essere ambigua verso le attenzioni di Antoine. Quando comincia a lavorare come investigatore privato, Antoine ha nuovi interessi nuove attenzioni femminili, ed in genere nuovi importanti esperienze. Christine sente che sta perdendo l'interesse esclusivo del ragazzo e decide di rompere gli indugi.
Film di alto livello del maestro Truffaut, sostenuto da una costruzione narrativa articolata ed intrigante che mantiene una suspance costante mentre racconta con delicatezza, nel suo tipico stile grottesco, inquietudini e sentimenti dei protagonisti. Ambientato nell’ epoca dei grandi cambiamenti e delle contestazioni giovanili, che si intuiscono sullo sfondo, riflette sul senso di stabilità necessario a tutti e che in quel periodo è messo fortemente in discussione. E Antoine giovane immaturo, compirà il suo percorso evolutivo, che lo porterà finalmente ad un rapporto maturo con Christine, stabile o meno non è dato sapere. E' necessario agire per mettere in atto i propri desideri per uscire dalla stasi che blocca, per timore, le esperienze della vita.
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arual66
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venerdì 14 agosto 2015
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la dolcezza e le inquietudini di un piccolo uomo
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Una perla, non troppo appariscente, ma raffinata e splendente potrebbe essere una metafora per descrivere questo capitolo della "saga" di Antoine Doinel. Con "Baci rubati" Truffaut realizza un piccolo spaccato che in realtà e' la storia di una vita, di un traguardo, di un passaggio. Leaud e' come al solito divertente e tenero nel suo ruolo di eterno spiantato, tutto mani tra i capelli e goffaggine. Dopo un periodo passato nell'esercito, torna a casa sperando di poter fare davvero "l'amore alle cinque" ma qualcosa fra lui e la fidanzata si e' spezzato, tanto che arrivato a casa sua si ritrova a dover cenare soltanto con i genitori di lei. Il resto del film e' una panoramica sulle peripezie di Antoine alle prese con il lavoro, le donne, e , alla fine, la donna che sembrerebbe quella giusta per lui.
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Una perla, non troppo appariscente, ma raffinata e splendente potrebbe essere una metafora per descrivere questo capitolo della "saga" di Antoine Doinel. Con "Baci rubati" Truffaut realizza un piccolo spaccato che in realtà e' la storia di una vita, di un traguardo, di un passaggio. Leaud e' come al solito divertente e tenero nel suo ruolo di eterno spiantato, tutto mani tra i capelli e goffaggine. Dopo un periodo passato nell'esercito, torna a casa sperando di poter fare davvero "l'amore alle cinque" ma qualcosa fra lui e la fidanzata si e' spezzato, tanto che arrivato a casa sua si ritrova a dover cenare soltanto con i genitori di lei. Il resto del film e' una panoramica sulle peripezie di Antoine alle prese con il lavoro, le donne, e , alla fine, la donna che sembrerebbe quella giusta per lui. Romantico, irriverente, tecnicamente ineccepibile. Per chi ogni volta si stupisce della delicata saggezza con la quale Truffaut tratta l'amore.
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stefano capasso
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sabato 21 dicembre 2019
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crescita degli individui
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Antoine viene riformato dal servizio militare a causa della sua instabilità caratteriale. Appena libero corre a cercare Christine, con la quale porta avanti da tempo un rapporto conflittuale, ma per l’ennesima volta i due non riescono a comprendersi. Antone comincia a cambiare diversi lavori, tutti conclusi per la sua scarsa attenzione, e allo stesso tempo sperimenta diversi tipi di attrazioni amorose
Truffaut chiude la sua trilogia sul personaggio raccontando questa storia dolce, malinconica e intrisa di ironia sottile. Il percorso del giovane protagonista, e con lui quello della protagonista, è quello tipico della crescita esistenziale. Occorrono prove e tentativi perché le esperienze raccolte consentano quello step esistenziale che porta ad una nuova fase della vita.
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Antoine viene riformato dal servizio militare a causa della sua instabilità caratteriale. Appena libero corre a cercare Christine, con la quale porta avanti da tempo un rapporto conflittuale, ma per l’ennesima volta i due non riescono a comprendersi. Antone comincia a cambiare diversi lavori, tutti conclusi per la sua scarsa attenzione, e allo stesso tempo sperimenta diversi tipi di attrazioni amorose
Truffaut chiude la sua trilogia sul personaggio raccontando questa storia dolce, malinconica e intrisa di ironia sottile. Il percorso del giovane protagonista, e con lui quello della protagonista, è quello tipico della crescita esistenziale. Occorrono prove e tentativi perché le esperienze raccolte consentano quello step esistenziale che porta ad una nuova fase della vita. Un film in cui lo spettatore è portato a seguire simpateticamente le azioni dei personaggi e con una buona dose di suspance
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dounia
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martedì 4 ottobre 2011
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il percorso della vita
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Racconta la storia di un giovane che si congeda dall'esercito. Torna dalla fidanzata che aveva e cerca un lavoro. Le fa capire che la vuole per sè, ma lei non ci sta. Cambia parecchi lavori: portiere d'albergo, investigatore privato, commesso in un negozio di scarpe, operaio delle SOS. Il suo rapporto affettivo con la ragazza si scioglie e le dice che non lo vuole più. Ha varie esperienze con le donne, ma poi torna da lei e insieme pensano d'intraprendere il percorso della vita. Le sue vicende lo aiutano ad arricchire l'esistenza, dove si sente un niente, lo fanno sentire più maturo per affrontare un rapporto d'amore a cui teneva e gli fanno vedere l'essenziale del vivere. Alla ragazza non offre un mondo più ricco di denaro, ma di se stesso e lei sembra che lo accetti.
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Racconta la storia di un giovane che si congeda dall'esercito. Torna dalla fidanzata che aveva e cerca un lavoro. Le fa capire che la vuole per sè, ma lei non ci sta. Cambia parecchi lavori: portiere d'albergo, investigatore privato, commesso in un negozio di scarpe, operaio delle SOS. Il suo rapporto affettivo con la ragazza si scioglie e le dice che non lo vuole più. Ha varie esperienze con le donne, ma poi torna da lei e insieme pensano d'intraprendere il percorso della vita. Le sue vicende lo aiutano ad arricchire l'esistenza, dove si sente un niente, lo fanno sentire più maturo per affrontare un rapporto d'amore a cui teneva e gli fanno vedere l'essenziale del vivere. Alla ragazza non offre un mondo più ricco di denaro, ma di se stesso e lei sembra che lo accetti. Il film è una riflessione sull'esistenza e sui vari significati per cui si vive. Sembra semplice, lineare, ma ha una sua profondità che sta proprio nel valutare i diversi momenti che si vivono. L'attore, oltre a presentare la sua storia, fa vedere tante storie, tante situazioni che lo arrichiscono e lo fanno crescere dentro di sè. Ogni persona dovrebbe guardarsi dentro per conoscersi e prendere visione di ciò che fa.
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francesco2
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sabato 11 giugno 2011
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gli anni non più in tasca
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Un regista forse un pò sopravvalutato, ma capace come pochi di girare un film-documentario molto intenso nel suo apparente distacco, sull'infanzia di un giovane particolare e che evita il "Bon sauvage" di Rousseau, ci regala un affresco sull'amore visto, ma qui è un complimento, secondo la prospettiva di certi "Bambini cresciuti", che qui però non va inteso come ironia malevola in quanto sinonimo di freschezza nell'atto (?) di innamorarsi: non a caso, secondo chi scrive, il personaggio più riuscito è il prestigiatore, colui che anche molto grande non perde la capacità di illudere, né forse quella di illudersi.
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Un regista forse un pò sopravvalutato, ma capace come pochi di girare un film-documentario molto intenso nel suo apparente distacco, sull'infanzia di un giovane particolare e che evita il "Bon sauvage" di Rousseau, ci regala un affresco sull'amore visto, ma qui è un complimento, secondo la prospettiva di certi "Bambini cresciuti", che qui però non va inteso come ironia malevola in quanto sinonimo di freschezza nell'atto (?) di innamorarsi: non a caso, secondo chi scrive, il personaggio più riuscito è il prestigiatore, colui che anche molto grande non perde la capacità di illudere, né forse quella di illudersi. Si potrebbe pensare, se questo protagonista non fosse stato già presente in altri film di Truffaut, sia uno dei bambini degli "anni in tasca", magari quello che -Mi pare- cade forse bruscamente, ma (se la) ride anziché lamentarsi per il dolore. O forse no, perché questo giovane non se la ride, soffre e gioisce in silenzio: a volte sembra lì per caso, come "Forrest Gump" o il protagonista del "Solitaire", romanzo di Ionesco.
Il film strada facendo insinua il sospetto che l'eleganza e la leggerezza iniziale, quella dell'"Investigatore (Quasi come il regista si immedesimi in lui, protagonista che indaga[!]ui sentimenti umani), lascino spazio ad un esercizio di stile. Ma per cambiare almeno parzialmente opinione, basta notare la morte di uno dei personaggi, sottolineata decisamente bene senza "Ridondanze". Perché? Forse perché (Azzardo) così si hiude una fase della vita del giovane, che è tornato a fare il lavoro precedente, non perché ha fallito ma perché non ritiene più quell(Utile) arricchimento interiore idoneo alle proprie prospettive.
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