Le favole, anche quelle per bambini, non sono quasi mai serene ed innocenti. Pensate a Cappuccetto Rosso, Cenerentola, Hansel e Gretel, popolate di misteriosi ed inquietanti personaggi impregnati di cattiveria.
Gli Uccelli, uscito tre anni dopo Psycho, un tempo creativo relativamente lungo per Hitchcock e motivato anche dalle difficolta’ tecniche della produzione, contiene tutti i caratteri tipici sia del suo cinema che della favole. L’attrice bionda e bella, in realta’ molto piu’ forte e volitiva di quanto l’apparenza suggerisca, il tono inizialmente lieve, quasi da commedia con i divertenti battibecchi fra i due protagonisti, l’immancabile cameo di Hitch, la strada costiera e le argute citazioni di film precedenti, qui Il Club dei 39 e Caccia al Ladro fra gli altri, si aggiungono al male inspiegabile e all’impotenza dei personaggi delle favole piu’ lugrubi.
Eppure il film, liberamente tratto da un racconto di Daphne du Maurier, scrittrice che gia’ il maestro inglese aveva utilizzata come fonte di Rebecca e de La Taverna della Giamaica, presenta un carattere sperimentale ed una sofisticazione filosofica che nessun altro film di Hitchcock possiede. Fin dai titoli di testa, che rimandano alle illusioni ottiche espressionistiche degli uccelli di Escher, Gli Uccelli preannuncia un’inquietudine introspettiva che viene solo, in retrospettiva, aumentata dal simpatico siparietto in cui Mitch (un anonimo Rod Taylor) incontra e duetta verbalmente con Melanie (Tippi Hedren al suo esordio cinematografico) all’inizio del film. La scelta registica di non utilizzare alcuna colonna sonora, con l’unica musica consistente nei pochi accordi che Melanie suona al pianoforte e nella filastrocca cantata dai bambini a scuola, la rinuncia ai titoli di coda ed ad un vero finale compiuto, i sofisticati effetti speciali utilizzati per gli attacchi degli uccelli, che tutto sommato hanno retto bene il tempo e la digitalizzazione, la dilatazione dei tempi con cui il regista sfida il pubblico, come nell’emblematica scena dei corvi al campo giochi della scuola, gli inspiegabili e imprevedibili comportamenti degli uccelli, il rovesciamento dei ruoli, con gli umani costretti dagli attacchi e dalla paura nelle gabbie, di volta in volta case, auto, locali pubblici, cabine telefoniche ma sostanzialmente coincidenti con le gabbie mentali costruite dal terrore instillato dalla perversione dell’ordine naturale a cui ciascuno e’ abituato e si aspetta, fanno de Gli Uccelli un film oltremodo complesso da vedere ed ancora piu’ da capire, difficile da catalogare, nel guado fra orrore e giallo, e che infatti non ottenne un grosso successo, ne’ di critica ne’ di pubblico. Solo recentemente il primo film di Hitchcok prodotto e distributo dalla Universal e’ stato giustamente rivalutato come uno dei migliori del regista e probabilmente il suo ultimo capolavoro, nonche’ concettualmente un antesignano dell’analisi dei malesseri e dei mostri interni della psiche umana.
Un film che rimane impresso nella mente del pubblico piu’ attento, nonostante gli interpreti siano mediocri, con l’eccezione di un’intensa Jessica Tandy nel ruolo della madre di Mitch e di una bravissima Suzanne Pleshette nel ruolo di Annie, vittima sacrificale sia di Mitch che degli uccelli. I successivi film di Alfred Hitchcock infatti, ancorche’ ben fatti e gradevoli, non aggiungeranno nulla alla filmografia e poetica di uno dei piu’ importanti registi del XX secolo.
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