figliounico
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giovedì 16 marzo 2023
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l'isola che non si può abbandonare
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La scoperta dell’isola di Fårö come teatro naturale per mettere in scena i tormenti del suo animo avvenne per caso cercando un set per Come in uno specchio. Quattro attori e nessun’altro sull’isola deserta nella quale ambienterà altri film e dove si ritirerà a vivere fino alla morte. E’ il mondo chiuso di Bergman dominato da un solipsismo che si anima e diventa dramma nella relazione immaginaria tra le proiezioni del suo inconscio ed i ricordi di persone a lui care. E’ una dialettica interiore che prende forma nel dialogo fra personaggi che rappresentano il sé stesso attuale, David, il romanziere di successo, interpretato da Gunnar Björnstrand; lo stesso regista da adolescente, Minus, sofferente per l’impossibilità di comunicare con il padre, come Bergman con suo padre, severo pastore luterano; Karin, la giovane donna malata di mente, forse un ricordo infantile della madre di Bergman e delle sue crisi nervose.
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La scoperta dell’isola di Fårö come teatro naturale per mettere in scena i tormenti del suo animo avvenne per caso cercando un set per Come in uno specchio. Quattro attori e nessun’altro sull’isola deserta nella quale ambienterà altri film e dove si ritirerà a vivere fino alla morte. E’ il mondo chiuso di Bergman dominato da un solipsismo che si anima e diventa dramma nella relazione immaginaria tra le proiezioni del suo inconscio ed i ricordi di persone a lui care. E’ una dialettica interiore che prende forma nel dialogo fra personaggi che rappresentano il sé stesso attuale, David, il romanziere di successo, interpretato da Gunnar Björnstrand; lo stesso regista da adolescente, Minus, sofferente per l’impossibilità di comunicare con il padre, come Bergman con suo padre, severo pastore luterano; Karin, la giovane donna malata di mente, forse un ricordo infantile della madre di Bergman e delle sue crisi nervose. Il personaggio di Martin, Max von Sydow, invece è l’altro da sé, il mondo esterno della società, emblema del modo di pensare contemporaneo, il medico fiducioso nella scienza, l’uomo che crede nell’unica realtà accessibile ai sensi e spiegabile dalla ragione. La patologia di cui soffre la donna è soltanto il mezzo perché nella quotidianità di una famiglia borghese, nella apparente tranquillità di une menage a quattro, tra piccole beghe, gelosie di poco conto e il chiacchiericcio superficiale sul cibo o sui regali ricevuti, irrompa l’irrazionale, catapultando ognuno dei quattro personaggi in un mondo estraneo ed alieno nel quale ogni cosa appare priva di senso e nel quale è impossibile riconoscersi. Alla follia visionaria della donna, che crede di aver visto Dio prendere le sembianze di una creatura mostruosa, un enorme ragno nero che tenta di possederla, ognuno reagisce a suo modo e secondo la sua natura, la sua sensibilità, il suo carattere. Il padre trova conforto nella speranza che la presenza dell’amore tra gli uomini dimostri, pur nelle sue forme contraddittorie, l’esistenza di Dio, il dottore positivista si prepara a trasferirsi in città per assistere meglio la moglie che sarà ricoverata, il fratello si apre al nuovo mondo che gli si spalanca davanti, terribile e desolato, trovando un riferimento per orientarsi nell’oscurità del presente nelle parole di suo padre. Le ultime battute del film, pronunciate dal ragazzo meravigliato e felice al contempo di aver finalmente non soltanto chiacchierato ma parlato con suo padre, mostrano l’apertura di Bergman ad una possibile palingenesi attraverso rapporti umani autentici. Un primo passo per uscire dalla solitudine dell’isola, una doppia metafora che rappresenta sia la prigione rifugio del proprio animo, nel quale trova riparo l’io terrorizzato dalla vacuità del tutto, sia l’asfittico e repressivo nucleo familiare, isola che lo stesso Bergman abbandonerà da giovane per navigare nella vastità sconosciuta del mondo, per poi paradossalmente ricostruire in ogni set la propria isola personale, abitata dai fantasmi del passato e dai demoni interiori a cercare ciascuno le ragioni della propria esistenza, a esigere la propria impossibile verità, l’isola del proprio mondo interiore alla quale ritornerà per tutta la vita.
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onufrio
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martedì 9 giugno 2020
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alla ricerca di dio
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Analisi psicologica di quattro personaggi tormentati in cui spicca la malattia di Karen, schizofrenica da poco uscita da una clinica e costantemente inghiottita dal mostro interiore. Insieme a lei, il marito premuroso ma al tempo stesso rassegnato, il giovane fratello ed il padre. Ambientato nell'isola di Faro, in Svezia, è il primo film della trilogia di Bergman sul Silenzio di Dio. Oscar come miglior film straniero.
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il befe
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domenica 22 febbraio 2015
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capolavoro
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uno dei migliori di bergman
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luigi chierico
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mercoledì 18 giugno 2014
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per riflettere
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In ogni Arte ci sono artisti che hanno lasciato capolavori,in eredità all’umanità, rimanendo vivi nella Storia. A volo di rondine: Michelangelo della Pietà, Leonardo da Vinci della Gioconda,Omero dell’Odissea,Verdi dell’Aida,Dante della Divina Commedia, Shakespeare dell’Amleto.Il Cinema è stato definito la “Settima Musa” e in questa Arte eccelle,tra pochi altri,Ingmar Bergman. I suoi film devono intendersi vere e proprie opere d’arte, da “Il posto delle fragole” al “Settimo sigillo”, senza voler far torto a nessuno dei tanti altri film, oltre 40. Come ogni opera d’arte non conosce tempo, epoca e spazio,è destinata all’umanità per sempre. Sono queste considerazioni a farmi dire due parole su questo capolavoro.
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In ogni Arte ci sono artisti che hanno lasciato capolavori,in eredità all’umanità, rimanendo vivi nella Storia. A volo di rondine: Michelangelo della Pietà, Leonardo da Vinci della Gioconda,Omero dell’Odissea,Verdi dell’Aida,Dante della Divina Commedia, Shakespeare dell’Amleto.Il Cinema è stato definito la “Settima Musa” e in questa Arte eccelle,tra pochi altri,Ingmar Bergman. I suoi film devono intendersi vere e proprie opere d’arte, da “Il posto delle fragole” al “Settimo sigillo”, senza voler far torto a nessuno dei tanti altri film, oltre 40. Come ogni opera d’arte non conosce tempo, epoca e spazio,è destinata all’umanità per sempre. Sono queste considerazioni a farmi dire due parole su questo capolavoro.
Per realizzarli Ingmar Bergman si è avvalso sempre di bravissimi artisti, oltre agli interpreti di questo film; Harriet Andersson, Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, per citarne qualche altro: iBibi Andersson, Max von Sydow, Ingrid Thulin,Victor Sjöström, Gunna Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, Gunnel Lindblom, Bengt Ekerot, Bibi Andersson,Liv Ullmann.
Il tema dominante della sua vasta opera è la presenza ed esistenza di Dio, un dilemma che lo ha logorato per concludere sempre positivamente. Certo se avessimo le prove inconfutabili non se ne parlerebbe più, chi oggi discute più se è possibile affidare le parole ad un cellulare perché siano ascoltate all’altro capo del mondo?
Dio ci chiede di avere Fede non di pretendere prove, sebbene le si possono trovare in tutto il creato. Creato da chi e come?
Altro tema è la Famiglia, i rapporti con i figli, con i genitori, tra coniugi, tra fratelli, che tocca il suo apice nel film a colori “Fanny e Alexander”, tra gli ultimi che ha diretto prima di morire ad 89 anni, con la partecipazione di Harriet Andersson , qui nella parte di Karin, come in “L’ìmmagine allo specchio” è presente Gunnar Björnstrand,qui nella parte di David,
Per commentare“Come in uno specchio”,tra l’altro premiato con l’oscar come migliore film straniero,occorre tanto spazio che non si ha in questa sede.
Peraltro è compito dei critici e non di uno spettatore amante del Cinema.
Inutile raccontare la storia che affligge i quattro personaggi:la schizofrenica Karin moglie del dott. Martin (Max von Sydow), figlia dello scrittore David e sorella di Minus. La malata è Karin, ma a ben vedere lo sono tutti, chiusi e circondati da un egoismo e da una cecità,“Costretti dalla vita a vivere nella realtà”.Il giovane Minus sfogandosi con la sorella Karin, sulla incomunicabilità, dirà: “Se solo una volta potessi parlare con papà, ma lui è così chiuso nel suo mondo, anche lui!” Guardarsi dentro come in uno specchio! Ma non si vede una realtà distorta? Non si legge a rovescio? Non si vede a destra quel che è a sinistra? Ed è così nelle acque del lago dove suocero e genero, specchiandosi,vanno a pescare e a confidarsi. Ed ecco che l’incomprensione tra i quattro personaggi non solo non si appiana ma porta all’esasperazione, quindi al ritorno alla casa di cura di dove Karin è partita. Proprio Karin che sogna di incontrare “Dio che scende dalla montagna attraverso il bosco tenebroso”, le tenebre che avvolgono la nostra vita fatta di incertezze che non ci fanno vedere la Verità.“Siamo così indifesi a volte. Come bambini che si sono perduti in luoghi deserti”.
Se vuoi andare al cinema non per divertirsi ma per ascoltare, pensare e riflettere, vedere i chiari e grigi del bianco e nero, questo è il tuo film,sempre attuale.chibar22@libero.it
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luca scial�
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mercoledì 4 settembre 2013
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una vacanza che tocca tutti i nervi scoperti
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Un padre vedovo con i suoi due figli e il genero passano un weekend nella loro casa su un'isola. Una vacanza che presto porta alla luce tutti i loro problemi. Un capofamiglia freddo e distaccato sempre fuori per lavoro; una figlia malata terminale che ha delle allucinazioni; il figlio omosessuale che non riesce ad avere un dialogo col padre. Quell'isoletta inizialmente paradisiaca si trasforma in un inferno.
Bergman propone tanti temi cari a lui: il rapporto difficile con Dio, le inquietudini del vivere, il pensiero della morte, ambientazioni cupe o raggianti a seconda dell'umore dei suoi protagonisti. Vinse l'Oscar come film straniero nel 1962.
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salvo
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sabato 3 marzo 2012
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un tranquillo week-end di ...angoscia.
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Un tranquillo week-end di umana paura, potremmo definirlo.
Poco più di ventiquattro ore di una breve ...vacanza da incubo dei quattro membri di una benestante famiglia svedese, su un'isoletta ventosa del Mar Baltico.
Potrebbe essere Faro.
Ritmato dalla Suite n. 2 in re minore per violoncello (E.B. Bengtsson) di J.S. Bach, è un quartetto di figure che inaugura “il cinema da camera” di I. Bergman.
In pratica ricollegando questo singolare esempio, insieme gli altri due successivi, del cinema di Bergman al movimento della cd. Kammerspielfilm, sorto nel 1921 come reazione al primo espressionismo per iniziativa del scenarista Karl Mayer e del regista Lupu-Pick.
Ed apre anche la cd. “trilogia di Dio” o dell'”assenza di Dio” o “religiosa”.
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Un tranquillo week-end di umana paura, potremmo definirlo.
Poco più di ventiquattro ore di una breve ...vacanza da incubo dei quattro membri di una benestante famiglia svedese, su un'isoletta ventosa del Mar Baltico.
Potrebbe essere Faro.
Ritmato dalla Suite n. 2 in re minore per violoncello (E.B. Bengtsson) di J.S. Bach, è un quartetto di figure che inaugura “il cinema da camera” di I. Bergman.
In pratica ricollegando questo singolare esempio, insieme gli altri due successivi, del cinema di Bergman al movimento della cd. Kammerspielfilm, sorto nel 1921 come reazione al primo espressionismo per iniziativa del scenarista Karl Mayer e del regista Lupu-Pick.
Ed apre anche la cd. “trilogia di Dio” o dell'”assenza di Dio” o “religiosa”.
Proseguita, appunto, con “Luci d'inverno” e “Il silenzio”.
I perni del film, anzi, le pietre angolari sono sostanzialmente e formalmente due.
1) Da una parte c'è Karin, unico personaggio femminile (sappiamo come nei confronti dei suoi personaggi femminili Bergman appare sempre quanto meno comprensivo, se non addirittura indulgente), ma anche personaggio monolitico, enigmatico, difficile da comprendere appieno, profondo e fragile, armato solo del suo corpo e della sua lucida pazzia; alla spasmodica ricerca della guarigione e di Dio (che crede di vedere addirittura in un ragno nero che cerca di possederla);
alla ricerca di un vero rapporto col padre scrittore, freddo e austero, che la fa caso letterario, sfruttando la sua malattia e facendola oggetto dei suoi lavori;
alla ricerca di un rapporto solido e, finalmente, credibile col marito medico, pure dolce ed affettuoso;
alla ricerca di un vero rapporto tra sorella e fratello con Minus, che non sia solo famigliare e familiare, o solo sentimentale, ma sia addirittura fisico, quindi ai limiti dell'incestuoso.
Dall'altra parte i tre personaggi maschili: come al solito poco trasparenti, poco chiari (o lo sono fin troppo?), poco leali, in una parola poco positivi.Ovviamente, ognuno visto attraverso i suoi problematici rapporti con Karin. Rispettivamente: moglie, figlia, sorella.
A testimonianza ulteriore di una presunta misantropia di Bergman, molte volte invocata da alcuni critici.
"È un inventario prima della svendita.
... la mia intenzione era di descrivere un caso di isterismo religioso” (Ingmar Bergman nel suo libro-diario Immagini
Uno dei film più angosciosi e sconvolgenti sulla follia.
Ancora una volta co-artefice del capolavoro bergmaniano Sven Nyquist e la sua meravigliosa fotografia in bianco&nero, ma a ...colori.
Oscar 1962 per il miglior film straniero.
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blackredblues
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venerdì 16 settembre 2011
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c'erano il bianco e il nero. e poi venne il grigio
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Troviamo (in nuce) molti temi cari a Bergman. Donna/bambina, affetta da schizofrenia, dissolve i suoi contorni in un incubo che si fà realtà ed una realtà che si fà incubo. Partecipi del suo delirio, anche se meno consapevoli di ciò (so che potrebbe sembrare paradossale ma credo sia così): il fratello, il marito ed il padre. L'ambientazione è quella di un'isola, la spiaggia, il mare, finestre e tende che celano l'inesprimibile (così ben espresso!) prorpio come in un altro grande film del regista quale è Persona (quest'ultimo però è più sintetico ed audace nello sperimentare, scevro di manierismo).
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Troviamo (in nuce) molti temi cari a Bergman. Donna/bambina, affetta da schizofrenia, dissolve i suoi contorni in un incubo che si fà realtà ed una realtà che si fà incubo. Partecipi del suo delirio, anche se meno consapevoli di ciò (so che potrebbe sembrare paradossale ma credo sia così): il fratello, il marito ed il padre. L'ambientazione è quella di un'isola, la spiaggia, il mare, finestre e tende che celano l'inesprimibile (così ben espresso!) prorpio come in un altro grande film del regista quale è Persona (quest'ultimo però è più sintetico ed audace nello sperimentare, scevro di manierismo).
La rassegnazione di un padre con gli occhi freddi come quelli di una ragno troppo impegnato a cercare un'egoistica e onanistica realizzazione letteraria, un marito medico ormai relegato al ruolo di spiacevole intralcio che le impedisce di vivere il delirio in modo 'sano' e totalizzante. Infine un fratello molto giovane, carico di incertezze e spinto da una forte curiosità per un sesso non ancora agito con una controparte. Per ovviare a questa e probabilmente ad altre voglie familiari si presterà la schizofrenica Karin adossandosi lucidamente il peso del gesto. Una volta andata via dall'isola non rimarà che una 'nuova scomoda realtà' in cui padre e figlio saranno lasciati soli con se stessi.
La fotografia ed il bianco e nero (e grigio) sono artisticamente esaltanti ma sempre finalizzati al racconto di una dimensione emotiva.
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eugenio
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domenica 27 giugno 2010
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inferni
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Primo film della trilogia sulla ricerca di Dio, cui seguiranno "Luci d'inverno" e "Il Silenzio", "Come in uno specchio" costituisce la summa del pensiero di Bergman sui grandi nodi della vita: la malattia, l'unità familiare, il fine dell'arte, il raggiungimento dell'infinito e della trascendenza, il senso del dolore.
Non solo tematiche archetipe; il film, rivela una forte matrice autobiografica che emerge sin dal titolo: lo specchio,infatti, rappresenta per antonomasia la maschera, l'apparenza, quel senso di doppiezza, caro alle tradizioni espressioniste, che ha sempre riscontrato in se' il regista.
Il suo alter ego,che ha le parvenze di Gunnar Bjornstrand, rappresenta un padre intellettuale, poeta che ha sacrificato l'aspetto personale della sua esistenza, l'amore per la poesia e l'arte, ai suoi due figli, Minus e Karin.
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Primo film della trilogia sulla ricerca di Dio, cui seguiranno "Luci d'inverno" e "Il Silenzio", "Come in uno specchio" costituisce la summa del pensiero di Bergman sui grandi nodi della vita: la malattia, l'unità familiare, il fine dell'arte, il raggiungimento dell'infinito e della trascendenza, il senso del dolore.
Non solo tematiche archetipe; il film, rivela una forte matrice autobiografica che emerge sin dal titolo: lo specchio,infatti, rappresenta per antonomasia la maschera, l'apparenza, quel senso di doppiezza, caro alle tradizioni espressioniste, che ha sempre riscontrato in se' il regista.
Il suo alter ego,che ha le parvenze di Gunnar Bjornstrand, rappresenta un padre intellettuale, poeta che ha sacrificato l'aspetto personale della sua esistenza, l'amore per la poesia e l'arte, ai suoi due figli, Minus e Karin. Ed è proprio sulla figura di quest'ultima,interpretata da una bravissima Hariett Anderson (definita dalla stesso Bergman un regalo per il cinema) che è incentrata la pellicola. La ragazza, schizofrenica, "in continuo passaggio tra due mondi" (follia e realtà),come da lei stesso affermato, è ossessionata dall'immagine di una porta, oltre la quale crede debba manifestrasi la voce di Dio, un Dio di cui ella è convinta si unirà a lei e diventerà un tutt'uno con la sua anima.
A questo personaggio, il regista affianca, nell'evolversi del film, tre importanti figure: Minus, fratello di Karin, legato alla fanciulla da un rapporto quasi incestuoso cercando in esso un'affettività ancestrale mai donatagli dal padre, il marito, Martin, dalla fredda mente razionale sofferente e incapace di aiutare la moglie durante le sue acute crisi e il padre,David,tentato suicida,definito dal genero durante la famosa scena della gita in barca, "un essere perverso e insensibile", una persona che in ogni cosa ha sempre visto il suo io, non avendo idea di cio' che la vita potesse offrire, al di la' della scrittura.
Padre, fratello e marito, costituiscono dunque una triade di un inferno di strinberghiana memoria, personaggi quasi incapaci di provare sentimenti, indifferenti e atarassici, il cui torpore sara' risvegliato solo dal delirio finale della ragazza, la quale riuscirà a vedere il Creatore.
La manifestazione di un Dio bestiale (dalle fattezze di ragno) possessore e violentatore contrapposto a quelle di un Dio sublime di eterea bellezza ricercato dalla giovane donna, ribadisce il tema della doppiezza, dell'instabilità ma anche quello del contrasto tra amore e calvario/sofferenza. Attraverso il dramma di Karin, i protagonisti capiscono una semplice filosofia: Dio è amore e Amore è Dio. Di conseguenza, come affermato da Minus nella scena liberatoria finale col padre, anche Karin, poiche' è circondata dall'amore della famiglia, è anche una persona amata da Dio.
Religione,dramma e famiglia, unite a un sapiente uso del bianco e nero, si fondono gioisamente in questo film, vincitore del premio Oscar nel 1961, trasmettendo allo spettatore un senso d'angoscia e drammaticità. Forse, Polanski nel 1965, ai tempi di Repulsion, seppur mosso da scopi e intenti diversi, si ispiro' alla figura di Karin nella caratterizzazione psicologica di Carol Ledoux;entrambe dalle movenze allucinate, entrambe con un angelico quanto instabile e stanco sorriso.
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lucy
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venerdì 17 novembre 2006
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grande film
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visto di notte fà ancora più effetto
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francesco spaghetti
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sabato 15 aprile 2006
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non ho capito
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Non ho capito niente ma stava un film bellissimo pero un po bruto. Non voglio dire che la storia stava difficile da capire ma lo stava. E una buona idea di andare a verderlo ma non ci andate ! bacione.
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