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Audrey, la classe e il marketing

Restaurata e proposta nelle grandi sale, mezzo secolo dopo.
di Pino Farinotti

In foto Audrey Hepburn nei panni di Holly Golightly.
Audrey Hepburn (Andrey Kathleen Ruston) 4 maggio 1929, Bruxelles (Belgio) - 20 Gennaio 1993, Tolochenaz (Svizzera). Interpreta Holly Golightly nel film di Blake Edwards Colazione da Tiffany.

lunedì 28 novembre 2011 - Focus

È l'alba, la strada è deserta, lei arriva con un taxi, scende, ha in mano un sacchetto di carta con dentro un croissant, cammina verso una vetrina. "Lei" è Audrey Hepburn, la vetrina è quella di Tiffany. Ho scelto questa sequenza perché è uno dei momenti più alti e importanti del cinema. È un sortilegio, il primo motore di una serie infinita di significati. Il film è Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany's). A mezzo secolo dalla sua uscita la produzione lo ha rieditato, ne ha restaurato la copia e lo ha distribuito nelle grandi sale.
La riproposta nelle grandi sale non è un meccanismo molto praticato. La distribuzione "affannosa", la continua evoluzione del mercato e del gusto, che va pilotato, di fatto impedisce le riproposte. Ci vuole davvero un titolo importante, legislatore, intangibile perché la distribuzione lo prenda in considerazione. Qualche anno fa l'iniziativa riguardò Jules e Jim, riproposto dopo oltre trent'anni. Non se ne accorse nessuno. "Colazione" è qualcosa di diverso. È certo uno dei titoli più importanti del cinema di sempre, è la somma di tutti i codici che un film può proporre, al massimo livello: storia, interpreti, musica, estetica. Poi ci sono le eccezioni, che si chiamano mistero, sortilegio, modelli. E alla fine quello che, oggi, è il codice più importante, il marketing.

Nessuna
Breakfast at Tiffany's nasce come meglio non avrebbe potuto, sull'impianto di un best seller del mondo firmato da Truman Capote, scrittore figlio d'America per eccellenza. Poi la musica, affidata a Henry Mancini, che compose la colonna e soprattutto "Moon River", canzone-sortilegio, eterna. E poi il regista, Blake Edwards che si sarebbe accreditato, con le Pantere rosa, Hollywood Party, Victor Victoria e altro ancora, come il principe della commedia americana.
Ma a comandare, appunto, è Audrey. Nessuna diva, donna, modello, del Novecento l'ha superata, neppure affiancata. In un pezzo precedente ho scritto:
"Oggi, se entri in una profumeria, o in una boutique, o anche in un ipermercato, oppure in un negozio di quadri e illustrazioni, non puoi non imbatterti nell'immagine della Hepburn, la Holly Golightly di "Colazione": tubino nero di Givenchy, guanti neri lunghi, bocchino, diadema, collana di perle con fermaglio importante, capelli raccolti, eye-liner di quell'epoca. E il sorriso seduttivo-Holly&Audrey. Forse solo Marilyn presenta quel segnale di divismo eterno. In chiave opposta naturalmente. Ma quel film aggiustò qualcosa che c'era ancora da aggiustare. Audrey era sempre stata un delicato gioiello da proteggere, senza sesso. I suoi partner, Astaire, Bogart, Grant, Cooper, avevano tutti l'età per esserle padri. La mondana Golightly amata dal giovane scrittore, diventava un modello con un suo erotismo. Era particolare, era da scovare, ma il sesso c'era. Così il prodotto diventava prezioso-completo. Certo la Hepburn non sarebbe mai stata la Monroe, tuttavia il simbolo era stato rotto e arricchito."

Classe
L'avvento di una diva del genere, che si era imposta soprattutto grazie a una classe infinita, scelta, acquisita e rilanciata da un facitore di divi eterni, che non sbagliava un colpo, come Andy Warhol, derubricò altre icone che si erano accreditate come donne-divine del secolo, come Greta, Marlene e Rita. Ma c'è di più. Nessuna delle grandi protagoniste del cinema, della televisione delle passerelle di oggi assomiglia a Audrey. Lei non si fa "assomigliare", è un unicum non riproducibile. Quando nel '96 Sydney Pollack rifece Sabrina e diede a Julia Ormond il ruolo di Audrey, il risultato fu quasi grottesco, anche se la Ormond dichiarò più volte che non si era messa in competizione con un fenomeno esclusivo come la Hepburn, tuttavia il confronto nasceva in automatico, e qualcuno scrisse che la Ormond sarebbe stata una perfetta, carina domestica della vera Sabrina.
Significa che comunque bisogna attingere all'originale e l'originale continua a comandare, a prevalere nonostante le regole, impietose del mercato. E nonostante l'estetica, il trucco, l'abbigliamento e quasi tutti gli altri segnali si siano evoluti, e non certo in meglio.

Terremoto
Fa testo la vicenda di Tiffany, il leggendario gioielliere. L'avvento di Holly-Audrey fu talmente violento da determinare un terremoto di marketing che forse i titolari di quel marchio hanno, nel tempo, maledetto. Forse. Le signore ricche che si facevano accompagnare da mariti o amanti da Tiffany nella Fifth Avenue sapevano che non sarebbero uscite da quel negozio senza un gioiello da qualche migliaio di dollari, tre zeri bene che andasse. Holly Golightly da Tiffany, col suo amico scrittore povero, spende dieci dollari per un'incisione. Escono con in mano la confezione che porta quel marchio mitologico. Tiffany venne invasa da giovani che andavano a New York per quell'attestato. E così la catena magnifica dovette rivedere le strategie del marketing. A Milano, in via della Spiga, dove c'è Tiffany, le vetrine che si susseguono sono quelle di Dolce&Gabbana, Hermes, Prada, Cavalli e altre. In quei negozi ci possono essere momenti vuoti, senza clienti, coi commessi immobili in attesa. Ma da Tiffany i commessi sono sempre impegnati. E i clienti sono spesso dei giovani. Coppie che spendono pochi euro, ma escono felici col sacchetto firmato.

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