I quattrocento colpi

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Un film di François Truffaut. Con Jean-Pierre Léaud, Albert Rémy, Claire Maurier, Patrick Auffay, Georges Flamant.
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Titolo originale Les 400 coups. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 93 min. - Francia 1959. - Cineteca di Bologna uscita giovedì 25 settembre 2014. MYMONETRO I quattrocento colpi * * * * 1/2 valutazione media: 4,61 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Peripezie di un giovinastro ribelle. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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martedì 23 aprile 2019

I QUATTROCENTO COLPI (FR, 1959) diretto da François Truffaut. Interpretato da Jean-Pierre Léaud, Albert Rémy, Claire Maurier, Patrick Auffay, Georges Flamant, Jeanne Moreau, Jean-Claude Brialy, Jacques Demy, François Truffaut
Antoine Doinel è un ragazzo adolescente particolarmente inquieto e disubbidiente. Incompreso dalla madre irascibile e bigotta, che lo ha avuto da un amante, e dal patrigno a lei sposato che lo sopporta appena malgrado tenti con quel poco di pazienza solidale che ha di impartirgli l’educazione, combina guai a raffica, prende pessimi a scuola e molto spesso, invece di frequentarla, se ne va a spasso con un amichetto. Tenta anche di scappare di casa un paio di volte, ma il tentativo fallisce e, com’è prevedibile, il rapporto coi familiari peggiora in modo vertiginoso. Un giorno, colto in flagrante mentre cerca di rubare una macchina da scrivere, finisce in riformatorio, dove vige una disciplina ancor più ferrea del clima tesissimo che Antoine respirava in famiglia. Da qui fugge, nel bel mezzo di una partita di calcetto, per realizzare il suo spasmodico desiderio di vedere il mare, mai visto prima d’allora. Eccezionale lungometraggio di debutto di F. Truffaut che, premiato a Cannes, contribuì con esso a lanciare la Nouvelle Vague francese. Primo film della serie con Antoine Doinel protagonista, la quale – caso unico nella storia del cinema – segue un personaggio dalla fanciullezza alla maturità. Non a caso, infatti, il regista aspettò che Léaud crescesse per fargli interpretare i successivi episodi. Una delle opere cinematografiche con lo sguardo maggiormente tenero e lucido sull’infanzia scapestrata, tema assai ricorrente nel repertorio di Truffaut. La Parigi in cui il ragazzino si muove rappresenta l’ambiente in cui fermentano i germi di una rivolta sempre covata e mai soddisfatta, avente come autore un vagabondo disperato e solitario che vorrebbe solo essere amato, ma non fa che andare incontro a pasticci, incidenti e delusioni per il suo odio verso le persone in generale, le sue manie di grandezza patetiche, la sua esuberanza travisata da un’inclinazione pronunciata verso la delinquenza giovanile e la pressione esercitata su sé stesso per non farsi schiacciare dal mondo degli adulti, inquadrato come un universo di esseri enormemente malvagi il cui unico scopo sembrerebbe quello di distribuire punizioni a mitragliate. Si ha anche a che fare con una capitale francese che sta risvegliandosi, ed è già quasi al termine di questo risveglio, dalla Seconda Guerra Mondiale ed è alla ricerca di una sua identità che la riporti ai passati apogei, un po’ come Antoine, il quale attraversa ambienti e luoghi che immancabilmente gli rigettano ostilità per comprimerlo in un angolo come un pugile suonato e ferito, quando egli non ha che la vivacità di un adolescente qualsiasi di esprimere le proprie emozioni e di crescere nella serenità, sebbene la sua incorreggibile monelleria gli sia solo d’intralcio. Dal canto loro, la madre (Maurier) e il patrigno (Rémy) raffigurano i pilastri di una borghesia mediocre e assai ignorante che cerca di scrollarsi da dosso le origini contadinesche per avvicinarsi al benessere degli anni ’50 che ravvivò l’economia dell’epoca, senza però i metodi razionali né la convinzione strutturale di come si passa da un ceto sociale a uno superiore evitando i disguidi (le ripercussioni) sulla prole. Loro complici nell’abbruttimento dell’infanzia, esercitato in maniera involontaria ma pur sempre con fervore deciso, sono figure impersonate nel film come il professore di letteratura, i vari capitani di polizia, il direttore dell’istituto di correzione, i vicini pettegoli e, perché no?, addirittura gli stessi compagni di scuola di Doinel, ignari di emarginarlo mentre intervengono al suo fianco con motteggi e comportamenti antisociali. Il protagonista è dunque un povero prodotto avvelenato di una collettività conciata piuttosto male che mira ad espandersi in senso positivo e va da tutt’altra parte. Cinepresa molto mobile, fotografia in Dyalscope e bianconero di Henri Decaë. Peccato solo che la traduzione del titolo dal francese perda tutto il mordente dell’originale: infatti, in francese, faire le quatre-cents coups corrisponde pressappoco al nostro "fare il diavolo a quattro", condurre dunque una vita disagiata e dissipata.

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