Il segno del leone

Un film di Eric Rohmer. Con Jess Hahn, Jean-Luc Godard, Van Doude, Stéphane Audran, Christian Alers.
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Titolo originale Le signe du lion. Commedia, durata 100 min. - Francia 1959. Acquista »
   
   
   

Parigi maledetta cento volte Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


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mercoledì 16 giugno 2021

 Fulminante esordio tardivo di Rohmer, che, nel suo primo lungometraggio, realizzato a quarant’anni, con lo stile della nouvelle vague, firma un bianco e nero quasi neorealista, che richiama alla mente Umberto D e Ladri di biciclette, sospeso tra la storia esemplare di un racconto moralistico cinese per dimostrare la pochezza dell’individuo rispetto al fato ed il reportage documentaristico sulla vita dei clochard, che ha per protagonista la Parigi opulenta, distratta, crudele e benpensante degli anni ’60.
Rhomer filma con gli occhi di un barbone una Parigi, non lontana dagli entusiasmi per la Repubblica e dalle speranze di rinascita corale del secondo dopoguerra, ma già divenuta una delle tante metropoli fredde, indifferenti e ciniche dell’occidente industrializzato del boom economico.
Il protagonista, un’anima semplice, dalle velleità artistiche presto disilluse, vittima di un destino imperscrutabile che lo sballotta come una marionetta, un pupazzo di scena trasportato in carriola dal compagno di sventure per dare spettacolo alla brava gente in cambio di qualche spicciolo, si barcamena  fin dall’inizio in una vita senza senso, dominata dall’alternarsi del giorno alla notte, del Sole a Venere, simboli di un potere ineffabile e lontano che governa il mondo e determina a capriccio le sorti degli uomini.
Il lieto fine non è affatto un lieto fine ed ha in sé qualcosa di macabro e di inquietante. La scena in cui il clochard gioisce per l’eredità, creduta persa, che presto arriverà a cambiare la sua vita, trasformandolo in un ricco borghese, è identica alle sequenze iniziali della festa che l’uomo, l’artista fallito, il donnaiolo squattrinato, organizza a casa sua con i soldi chiesti in prestito ad un amico. E’ la ripetizione di qualcosa che è già avvenuto, è la fine di un ciclo e l’inizio di un altro che minaccia nuove sventure, simbolicamente presagite nel cognome di suo cugino, il suo stesso cognome, inquadrato sul cruscotto dell’auto finita contro un albero nell’incidente mortale che lo renderà ricco.
Parigi, invece, non muta il proprio stato, non alterna generosità e avidità, non mostra felicità o tristezza, rimane per sempre maledetta nelle parole pronunciate dal protagonista nel suo vagabondare da barbone, per la sua indifferenza, per la gente che la abita, fredda come la pietra dei palazzi sulle cui scalinate trova rifugio per la notte. Ripresa dall’alto la città è come una medusa tentacolare di cemento e condivide la stessa natura algida ed imperturbabile della costellazione del Leone, impietose entrambi ed indifferenti alla condizione umana.

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