Sentieri selvaggi

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Un film di John Ford. Con John Wayne, Natalie Wood, Ward Bond, Jeffrey Hunter, Vera Miles.
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Titolo originale The Searchers. Western, durata 119 min. - USA 1956. MYMONETRO Sentieri selvaggi * * * * - valutazione media: 4,34 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Wayne ex soldato e ricercatore incallito nel West. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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lunedì 5 maggio 2014

 
SENTIERI SELVAGGI (USA, 1956) diretto da JOHN FORD. Interpretato da JOHN WAYNE – JEFFREY HUNTER – VERA MILES – WARD BOND – NATALIE WOOD § Nel 1868 la guerra di secessione americana è terminata e il soldato sudista Ethan Edwards fa ritorno a casa del fratello, venendo accolto con tutti gli onori e l’orgoglio della famiglia. Qualche giorno dopo, partecipa con un gruppo di coloni ad una battuta contro gli indiani Comanches. Nel frattempo la famiglia del fratello viene trucidata, e viene solo risparmiata una delle due nipotine di Ethan, che è rapita dai Comanches. Col giovane Martin, l’avventuroso e sconsiderato protagonista si mette alla sua ricerca, che durerà ben dieci anni, e vedrà i due ricercatori ritornare a casa più volte, sconfitti e delusi. Alla fine trova la ragazza, nel frattempo cresciuta e divenuta moglie del capotribù. Edwards è sul punto di ucciderla, ma alla fine accantonerà i colpi di testa e la ricondurrà alla sua legittima dimora e al suo originario nucleo famigliare. Il film è uno dei capolavori western dell’intera storia del cinema, e il merito va soprattutto all’accoppiata Ford-Wayne, che regala situazioni pienamente riuscite grazie all’abbinamento di una regia attenta e meticolosa con la recitazione che vede impegnato Marion Mitchell Morrison (questo il vero nome dell’attore) in uno dei personaggi più controversi della sua totale carriera, animato da isterismo, nervosità e negatività come non era mai capitato all’eroe del cinema d’avventura. Il rapporto di Wayne con questo carattere tanto razzista, ipocondriaco, maniacale e spregiudicato fu talmente viscerale che l’attore diede al proprio figlio, nato in quei giorni, il nome Ethan. La critica ufficiale considerò sempre il western come un genere minore e troppo popolare, ma in una delle più recenti liste stilate dai critici mondiali Sentieri selvaggi figura al quarto posto. Rispetto ad altri masterpieces precedenti di J. Ford, come l’eccezionale Ombre rosse e il fulminante Sfida infernale, questa pellicola appare più orientata ad assumere i caratteri del western revisionista, che tende a inquadrare gli indiani da una prospettiva positiva che non li ritrae più come feroci avversari e spietati barbari, tanto che il suo versante intellettuale e spurgato dal mito lo rende appetibile anche agli spettatori di palato più pretenzioso e pretendente, e si differenzia dai predecessori per una morale più rassicurante e meno manichea. Abbiamo a che fare, comunque, nel bene e nel male, con un grandioso e sensazionale film che aggiorna i precedenti temi fordiani e ne aggiunge altri, completando un quadro magnifico e splendidamente apprezzabile. John Wayne e Jeffrey Hunter (personaggio leale, rispettoso ma non privo di dubbi e asperità) percorrono in lungo e in largo il Far West, fra le dune sabbiose e le radure scabre, sotto la neve, passando fra indiani, banditi, piccoli e grandi paesi, guidati da notizie e voci circolanti. I frequenti ritorni a casa sono caratterizzati da cicliche amarezze e sfinimenti, ma poi la coppia vincente riparte e continua a cercare la ragazza, faticando ad oltranza per la propria identità e coerenza. Simpatico il personaggio di Mosè, con la sua sedia a dondolo e la sua ingenuità candida e spiritosa, mentre W. Bond si staglia sullo sfondo dei personaggi per austerità, severità, rigore e potenza interpretativa. Brava anche N. Wood, in uno dei suoi primi ruoli importanti che la consacrò come effettiva star hollywoodiana dalla recitazione pulita, discreta e appassionata. La regia di Ford, allora sessantunenne, si distingue per la puntigliosità animata e l’assoluta mancanza di piattezza stilistica che converte lo spessore narrativo in bellezza scenografica (da ammirare la solita, eppure sempre stupenda, Monument Valley) e versatilità espressiva.    In altre parole, un genio del cinema che con la sua scomparsa ha lasciato un vuoto che difficilmente sarà colmato da un imitatore tanto bravo, ingegnoso e creativo.

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