Senso

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Un film di Luchino Visconti. Con Massimo Girotti, Rina Morelli, Farley Granger, Alida Valli, Christian Marquand.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 115 min. - Italia 1954. MYMONETRO Senso * * * * - valutazione media: 4,17 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Raffinatezza d'artigianato per un bell'adattamento Valutazione 5 stelle su cinque

di GreatSteven


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martedì 25 settembre 2018

SENSO (IT, 1954) diretto da LUCHINO VISCONTI. Interpretato da ALIDA VALLI, FARLEY GRANGER, MASSIMO GIROTTI, HEINZ MOOG, RINA MORELLI, SERGIO FANTONI, CHRISTIAN MARQUAND, TINO BIANCHI
Venezia, 1866. Il Veneto non è ancora annesso al neonato Regno d’Italia e le truppe austriache sono di stanza nel capoluogo di regione per combattere i patrioti che tentano di respingerli, e con Garibaldi che ha appena ottenuto successi militari nei territori limitrofi le cose lasciano ben sperare per gli italiani. Alla vigilia della decisiva battaglia di Custoza, dopo una rappresentazione teatrale alla Fenice, un gentiluomo italiano, il marchese Roberto Ussoni, provoca una lite con un ufficiale austriaco, il tenente Franz Mahler, e sembra prospettarsi un duello all’ultimo sangue imminente. È solo grazie all’intervento del conte Serpieri che il peggio viene scongiurato, e il marchese pensa di tornarsene a casa tranquillo, ma poco dopo viene mandato in esilio. Una patrizia veneta, la moglie del conte, Livia Serpieri, viene blandita da Mahler e, la sera stessa dell’incidente, passeggia con lui per le calle della metropoli lagunare, e poco a poco se ne infatua. Credendosene ricambiata, gli promette eterno amore e di tornare a trovarlo anche quando il suo esercito, che è ormai sulla via della disfatta, si allontanerà dall’Italia, e lui finge di contraccambiare il suo amore per i suoi meschini interessi. Trascorrono alcuni mesi e Livia si reca nell’appartamento dove alloggiano i commilitoni di Franz e chiede sue notizie, ma poi lo rincontra nella sua villa di nascosto e, travolta dalla passione, gli consegna il denaro destinato ai patrioti italici. Poco dopo Franz  viene richiamato alle armi a Verona, dove si combatte una battaglia determinante per l’esito della guerra, la quale, come previsto, favorisce i padroni di casa e scaccia definitivamente gli usurpatori. Livia si reca anch’ella a Verona per rintracciare l’uomo amato, ma scopre che ha speso i soldi da lei donatigli in donne e alcol, e la deride per la sua dabbenaggine. Scoperto l’inganno  e sconvolta dal tradimento, e saputo pure che fu proprio Franz a denunciare Roberto Ussoni alla polizia, la nobildonna porta la lettera scritta di proprio pugno da Franz al suo ufficiale superiore, prova schiacciante della sua delazione e diserzione e dunque meritevole della condanna a morte. Livia si allontana rimettendosi il velo nero sul volto mentre Franz, scamiciato, viene condotto davanti al plotone d’esecuzione e fucilato dai suoi medesimi compagni d’armi. C’era il rischio di cadere in un accademismo scolastico che avrebbe appesantito le sequenze trasformandole in didascalie da noioso film storico atto semplicemente a rievocare un evento del passato ornandolo di qualche blandizia disdicevole. E invece Visconti ha preferito, trionfando moralmente e sul piano stilistico, dare un sapore di originalità al suo pezzo di bravura lungo due ore che racconta la storia di un uomo e una donna di differenti nazionalità e opposti sentimenti, ma uniti entrambi da un sentimento appena appena tangibile che però li unisce come due legami covalenti: la fugacità. Nel rendere al meglio l’evoluzione della loro travagliata relazione che comincia coi toni di un innamoramento unilaterale e finisce con le cadenze di un dramma amoroso che abbraccia appieno la tragedia nella sua versione più lacrimevole, il regista ha avuto man forte non solo dalla co-sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico, ma anche dai romanzieri e drammaturghi sia nostrani che stranieri che vi collaborarono, fra cui Carlo Alaniello, Giorgio Bassani, Giorgio Prosperi, Tennessee Williams e Paul Bowles. Col montaggio superbo di Mario Serandrei, la macchina talora immota e talora frenetica dell’efficiente Giuseppe Rotunno e il commento musicale di Anton Bruckner con la sua sinfonia n°7 in Mi maggiore, il capolavoro di Visconti assume a pieno titolo l’aspetto di un ritratto di ampio respiro dell’Italia post-risorgimentale che raccoglie ancora uno per volta i brandelli che le mancano per completare l’unione geografica, ricerca una sua identità culturale e passa attraverso le storie di personaggi solo in superficie anonimi per descrivere una vicenda che ha dell’epico nel senso maggiormente catartico del termine. Le interpretazioni di A. Valli e F. Granger (lei controllata e passionale al tempo stesso, lui più commisurato a seconda del momento scenico, ma entrambi egualmente eccellenti) rappresentano un tocco di classe che nemmeno con B. Lancaster, A. Delon e C. Cardinale Visconti raggiungerà con Il Gattopardo (1963), sempre incentrato sul tema del Risorgimento italiano e come Senso tratto da un testo letterario (il film in questione parte da un racconto di Camillo Boito, mentre quello che gli venne dietro nove anni dopo ha, com’è noto, quale fonte il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa). Girotti intinge al tempo stesso con eleganza e sfacciataggine un individuo ambiguo che, dietro i tratti gentili di un comportamento superficiale, nasconde una volontà di ferro ma anche un istinto inconsapevole e purtroppo autodistruttivo. Sublime il colore della Technicolor. Funziona inoltre la scelta intelligente di dare la precedenza alle sequenze calme rispetto a quelle belliche, con l’idea però di far risultare queste ultime più incisive proprio perché compaiono nella seconda metà della pellicola e per via del fatto che non insistono su una violenza fine a sé stessa, ma assolvono con do viziosità e piacere il loro compito istruttivo.

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