carloalberto
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martedì 26 ottobre 2021
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un''opera giapponese travisata da hollywood
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Il capolavoro di Kurosawa è una storia simbolica in forma realistica, un inno poetico alle tradizioni del suo popolo, ispirata all’epopea mitologica giapponese dei samurai liberi da padrone, i Ronin, che seguono il codice d’onore del Bushido e combattono fino all’estremo sacrificio della vita in nome del valore assoluto della Giustizia e per questo difendono, senza chiedere alcuna ricompensa, se non un pugno di riso ed un alloggio di fortuna, gli inermi abitanti di un piccolo villaggio rurale dai soprusi dei briganti.
Uno schema narrativo semplice ma carico di significati, storicamente tramandati da secoli nella cultura orientale, per noi occidentali incomprensibili nella loro essenza, fraintesi, fin dall’inizio, confusi con il superomismo fordiano di Ombre rosse e travisati, in seguito, in banali remake western.
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Il capolavoro di Kurosawa è una storia simbolica in forma realistica, un inno poetico alle tradizioni del suo popolo, ispirata all’epopea mitologica giapponese dei samurai liberi da padrone, i Ronin, che seguono il codice d’onore del Bushido e combattono fino all’estremo sacrificio della vita in nome del valore assoluto della Giustizia e per questo difendono, senza chiedere alcuna ricompensa, se non un pugno di riso ed un alloggio di fortuna, gli inermi abitanti di un piccolo villaggio rurale dai soprusi dei briganti.
Uno schema narrativo semplice ma carico di significati, storicamente tramandati da secoli nella cultura orientale, per noi occidentali incomprensibili nella loro essenza, fraintesi, fin dall’inizio, confusi con il superomismo fordiano di Ombre rosse e travisati, in seguito, in banali remake western.
Straordinaria è l’interpretazione di Toshiro Mifune del tragicomico personaggio picaresco, simile al Brancaleone di Monicelli, il settimo ed improbabile aspirante samurai, figlio di due contadini uccisi dai briganti, che fa da tramite tra i due mondi opposti, tra il cielo e la terra, intercedendo presso gli eroi dell’etica iperuranica affinché si mostrino compassionevoli verso i poveri contadini costretti al delitto per sopravvivere.
Il protagonista del film tuttavia non è il personaggio di Toshiro Mifune, che rappresenta l’anima volgare del popolo, il villano che aspira a riscattarsi dalle proprie oscure ed umili origini imitando le gesta eroiche dei nobili samurai, di cui però rimane una divertente e tragica parodia, bensì il leader carismatico del manipolo di eroi, interpretato da Takashi Shimura.
L’anziano samurai è l’incarnazione dei dettami dell’etica confuciana e buddista. Non a caso, all’inizio del film, si rade e si veste come un monaco per salvare un bambino ostaggio di un ladro. E’ un esempio di saggezza, temperanza, offre il sakè all’aspirante samurai che lo tracanna, ma non lo beve, ardimento ed umiltà. Si rapporta con ognuno dei suoi compagni d’avventura diversamente e nel modo più appropriato ed adeguato al suo interlocutore, restando sempre sé stesso, senza venire mai meno ai suoi principi.
E’ guida spirituale, paternamente protettivo, per il più giovane, è fraterno amico per il suo vecchio commilitone, è leale compagno d’armi, non invidioso, del più abile e coraggioso tra i guerrieri del suo seguito. Pratica l’arte della guerra secondo gli antichi insegnamenti dell’omonimo libro di Sun Tzu e vince i barbari con la strategia tramandatagli dagli avi.
Kurosawa intona il finale al sentimento del mono no aware. Il vecchio samurai vince ma non esulta, è consapevole del suo destino. La sorte del guerriero è segnata. Anche in caso di vittoria, anche se sopravvive alla battaglia, la sua vita è condannata ad uno sterile vagabondaggio solitario, slegata dal ciclo delle stagioni, che rinnova la bellezza della natura sulla terra perpetuando nelle nuove generazioni la gioia di vivere, rappresentata, nell’ultima sequenza, dai contadini, che cantano ridendo sotto il sole mentre lavorano nei campi ad un nuovo raccolto. Sono essi gli unici vincitori, in armonia con il mistero del mondo e l’eterno ritorno di ciò che è destinato a svanire per nuovamente rifiorire.
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laurence316
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domenica 21 ottobre 2018
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un indimenticabile racconto di coraggio e speranza
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Riconosciuto come uno dei film più influenti, citati e imitati della storia del cinema (com’è ben noto, non da ultimo dal cinema americano), punto di partenza per qualunque trama che preveda il reclutamento di un gruppo in vista di una missione da compiere (non solo I magnifici sette, dunque, ma anche, ad esempio, Quella sporca dozzina, I cannoni di Navarone, Il mucchio selvaggio), I sette samurai è un imponente affresco (ma forse, meglio ancora, “una tragedia di smisurate dimensioni” [F. Di Giammatteo]), umanista e poetico, a tratti commovente, a tratti persino divertente (e ciò si deve soprattutto al personaggio di Kikuchiyo, interpretato da un irrefrenabile Mifune), che possiede l’indubbio fascino delle cose semplici e profonde.
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Riconosciuto come uno dei film più influenti, citati e imitati della storia del cinema (com’è ben noto, non da ultimo dal cinema americano), punto di partenza per qualunque trama che preveda il reclutamento di un gruppo in vista di una missione da compiere (non solo I magnifici sette, dunque, ma anche, ad esempio, Quella sporca dozzina, I cannoni di Navarone, Il mucchio selvaggio), I sette samurai è un imponente affresco (ma forse, meglio ancora, “una tragedia di smisurate dimensioni” [F. Di Giammatteo]), umanista e poetico, a tratti commovente, a tratti persino divertente (e ciò si deve soprattutto al personaggio di Kikuchiyo, interpretato da un irrefrenabile Mifune), che possiede l’indubbio fascino delle cose semplici e profonde.
Un’opera che fonde abilmente e armoniosamente filosofia e intrattenimento, in un amalgama ricco d’emozione e sentimento, ma anche di movimento e azione. Uno straordinario e indimenticabile racconto di resistenza e coraggio, speranza, sacrificio e solidarietà, incentrato sul confronto spesso non facile tra due culture, di entrambe le quali vengono esposte tanto le luci quanto le ombre, che agisce in definitiva come “un incitamento contro la rassegnazione e lo scoramento, visti come i due grandi nemici dell’uomo” (Mereghetti).
Meditazione sul “destino degli uomini e dei popoli” (Di Giammatteo), nonché malinconico riconoscimento dell’immutabilità di una certa condizione tipica di un’umanità perennemente costretta a soffrire e sacrificarsi (come dice il vecchio del villaggio), eppure resiliente e capace di rinascere (“Noi samurai siamo come il vento che passa veloce sulla terra, ma la terra rimane e appartiene ai contadini. Anche questa volta siamo stati noi i vinti; i veri vincitori sono loro,” dice ad un tratto Kambei), I sette samurai non è solo probabilmente il miglior film di Kurosawa, ma una grande epopea, inscritta in un preciso periodo storico e in un preciso contesto culturale eppure universale.
“Non abbia paura di accostarsi a questo classico il giovane spettatore; non ne tema il prestigio, la fama, l'importanza; non ne tema l'entità. Perché in esso non troverà la rigida grandiosità dell'epos fine a sé stesso, ma una storia unica e vibrante, la gioia dell'avventura, della solidarietà e dell'amicizia, e il dramma della guerra e dell'amore deluso: pur strettamente radicato nella storia e nella tradizione giapponese, e inserito in un filone popolarissimo nella terra del Sol Levante, I sette samurai, oggi e per sempre, parla al cuore di tutti” (A. Starace, movieplayer.it).
Malamente scorciato di quasi 50 minuti (per mere ragioni commerciali) dai produttori (preoccupati che il pubblico occidentale non fosse disposto a visionare le quasi 3 ore e mezza originali), e di altri 30 minuti per l’edizione italiana (ignobilmente doppiata), il film è stato finalmente ripristinato nella sua versione originaria a partire dagli anni ‘80 ed è disponibile con sottotitoli.
Ovviamente è questa la versione da preferire, per aver modo di apprezzare appieno la portata e la grandezza del 15° film di Kurosawa, ottimo successo di pubblico al tempo dell’uscita, Leone d’argento a Venezia (ex acqueo con La strada, Fronte del porto e L’intendente Sansho), dove il Leone d’oro è decisamente andato al film sbagliato, che ha aperto la strada (insieme a Rashomon, e ad altri film di autori quali Ozu e Mizoguchi) alla diffusione in occidente del cinema giapponese e al suo definitivo riconoscimento su scala internazionale.
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mencio
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lunedì 12 settembre 2016
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la murasaki non c'entra niente col film
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Un piccolo appunto alla recensione: il film non è ambientato nel periodo Heian, in cui i samurai erano ancora di là da venire come d'altronde anche gli archibugi, ma presumibilmente nel periodo Tokugawa di molto posteriore
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contrammiraglio
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venerdì 19 febbraio 2016
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avanti
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Questo film è ancora a vanti, quanto a tutto quello che riguarda la cinematografia; a parte i remakes dichiarati, tanto per fare un esempio, avreste mai pensato di trovarci anche ispirazione per........ Brancaleone? ;-)
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aristoteles
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sabato 15 agosto 2015
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i sette semplici eroi
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Ho visto la versione integrale che dura più di tre ore.
La semplicità di fondo che accompagna il film conduce lo spettatore a non annoiarsi nonostante l'elevato minutaggio.
La storia ci regala sette splendidi eroi ,piuttosto che guerrieri,nel senso che nella fase del reclutamento, si nota che non tutti i samurai accettano la missione.
Alcuni infatti inorridiscono causa ricompensa quasi inesistente se non per vitto e alloggio.
Un manipolo di uomini invece trasportati dal sentimento di una causa giustissima ,si ergono a difensori dei malcapitati di turno.
Splendido il lavoro di caratterizzazione dei samurai,nel senso che ognuno ha una propria distinta personalità sebbene si ragioni come un gruppo unito.
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Ho visto la versione integrale che dura più di tre ore.
La semplicità di fondo che accompagna il film conduce lo spettatore a non annoiarsi nonostante l'elevato minutaggio.
La storia ci regala sette splendidi eroi ,piuttosto che guerrieri,nel senso che nella fase del reclutamento, si nota che non tutti i samurai accettano la missione.
Alcuni infatti inorridiscono causa ricompensa quasi inesistente se non per vitto e alloggio.
Un manipolo di uomini invece trasportati dal sentimento di una causa giustissima ,si ergono a difensori dei malcapitati di turno.
Splendido il lavoro di caratterizzazione dei samurai,nel senso che ognuno ha una propria distinta personalità sebbene si ragioni come un gruppo unito.
Le scene dei combattimenti non sono limpidissime e spesso ,anche se i colpi non vanno a segno, si vede gente cadere a terra come colpita da mitragliatrici.
Forse,anche se ribadisco la semplicità di fondo,in questo senso il regista poteva fare qualcosina in più.
Resta comunque l'epicità indiscussa del tema principale che è il sacrificio per gli altri per una visione del mondo non egoistica, per la libertà.
Anche senza averne riconoscimento ,infatti, parte dei contadini non ne ha.
Da vedere e anche se del 1954 risulta attuale.
Asciutta ma convicente l'ambientazione.
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aldo marchioni
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lunedì 19 gennaio 2015
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forse un po' sopravvalutato
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Sono andato a vederlo in un piccolo cineclub con grandi aspettative: forse per questo mi ha, non dico deluso, sarebbe una parola grossa: ma mi aspettavo qualcosa di più.
Il taglio del film è decisamente "western": ed infatti, nel vederlo, in certi momenti mi sembrava di rivedere I Magnifici Sette (che, dei Sette Samurai, è remake dichiarato).
C'è qualche ingenuità, secondo me, come ad esempio l'uso dei gruppi di persone, il loro modo di muoversi insieme. E l'espressività di alcuni personaggi è francamente molto teatrale: ma, probabilmente, è lo stile giapponese, vedo lo stesso uso di espressioni esasperate nella produzione di cartoons giapponesi contemporanei.
Ciò detto, è indubbiamente un grande, anzi grandissimo film.
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Sono andato a vederlo in un piccolo cineclub con grandi aspettative: forse per questo mi ha, non dico deluso, sarebbe una parola grossa: ma mi aspettavo qualcosa di più.
Il taglio del film è decisamente "western": ed infatti, nel vederlo, in certi momenti mi sembrava di rivedere I Magnifici Sette (che, dei Sette Samurai, è remake dichiarato).
C'è qualche ingenuità, secondo me, come ad esempio l'uso dei gruppi di persone, il loro modo di muoversi insieme. E l'espressività di alcuni personaggi è francamente molto teatrale: ma, probabilmente, è lo stile giapponese, vedo lo stesso uso di espressioni esasperate nella produzione di cartoons giapponesi contemporanei.
Ciò detto, è indubbiamente un grande, anzi grandissimo film. Però Dersu Uzala mi era piaciuto di più.
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tomdoniphon
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sabato 28 giugno 2014
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"guerra e pace" ai tempi dei samurai
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Giappone, XVI secolo. Cinque samurai, scelti dal saggio Kambei (Shimura), accettano di difendere i contadini di un villaggio costantemente attaccato dai briganti. A loro si aggiunge un contadino fanfarone che vuole diventare guerriero. Quattro dei sette samurai moriranno per difendere il villaggio, ma assieme ai contadini batteranno i banditi. Il capolavoro di Kurosawa e del cinema giapponese, ed uno dei primi cinque-dieci film di tutti i tempi. Al centro de "I sette samurai" c'è il confronto tra due culture, quella contadina e quella dei samurai: la prima è rappresentata globalmente, la seconda più analiticamente; ciascuno dei sette samurai corrisponde ad un diverso carattere.
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Giappone, XVI secolo. Cinque samurai, scelti dal saggio Kambei (Shimura), accettano di difendere i contadini di un villaggio costantemente attaccato dai briganti. A loro si aggiunge un contadino fanfarone che vuole diventare guerriero. Quattro dei sette samurai moriranno per difendere il villaggio, ma assieme ai contadini batteranno i banditi. Il capolavoro di Kurosawa e del cinema giapponese, ed uno dei primi cinque-dieci film di tutti i tempi. Al centro de "I sette samurai" c'è il confronto tra due culture, quella contadina e quella dei samurai: la prima è rappresentata globalmente, la seconda più analiticamente; ciascuno dei sette samurai corrisponde ad un diverso carattere. Il personaggio interpretato da Mifune (interprete prediletto del regista, insieme a Shimura) lega le due culture per le sue origini contadine. Le scene di battaglia sono davvero indimenticabili, soprattutto per la straordinaria energia che sprigionano sullo schermo. Ma sono altrettanto appassionanti i momenti di quiete, tanto che il film può essere accostato al capolavoro di Tolstoj "Guerra e pace". Fonte di ispirazione per moltissimi registi (Coppola lo rivedeva continuamente durante le riprese di "Apocalypse now"), è davvero incredibile l'emozione che il film sa ancora oggi regalare allo spettatore di tutte le età. Da vedere e rivedere.
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lucaguar
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martedì 6 maggio 2014
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un inno all'umiltà
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Dopo aver visto "I sette samurai" è venuto spontaneo chiedermi perchè tale film sia da decenni considerato un caposaldo del cinema mondiale.
La risposta non può essere immediata, in quanto ritengo che questa pellicola vada considerata tenendo conto del contesto culturale che espone e che fa rivivere. Senza un minimo di conoscenza della cultura e della storia giapponese è infatti non solo superficiale ma anche irrispettoso giudicare a priori le intenzioni di quest'opera.
Che sia un film tecnicamente ben realizzato è chiaro: le ambientazioni, il montaggio in perfetto stile Kurosawa che ricorda e porta avanti la strepitosa innovazione di "Rashomon" (che ha ispirato generazioni di registi), la bellissima fotografia in bianco e nero e soprattutto la straordinaria bravura degli attori sono tutti elementi apprezzabili e di qualità.
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Dopo aver visto "I sette samurai" è venuto spontaneo chiedermi perchè tale film sia da decenni considerato un caposaldo del cinema mondiale.
La risposta non può essere immediata, in quanto ritengo che questa pellicola vada considerata tenendo conto del contesto culturale che espone e che fa rivivere. Senza un minimo di conoscenza della cultura e della storia giapponese è infatti non solo superficiale ma anche irrispettoso giudicare a priori le intenzioni di quest'opera.
Che sia un film tecnicamente ben realizzato è chiaro: le ambientazioni, il montaggio in perfetto stile Kurosawa che ricorda e porta avanti la strepitosa innovazione di "Rashomon" (che ha ispirato generazioni di registi), la bellissima fotografia in bianco e nero e soprattutto la straordinaria bravura degli attori sono tutti elementi apprezzabili e di qualità.
Per comprendere però, come dicevo sopra, la grandezza di questo film bisogna analizzarlo considerando la filosofia e la cultura giapponese, e nello specifico quella "samurai", rapportata alla visione e all'interpretazione personale che Kurosawa ne ha saputo dare.
Il termine samurai significa letteralmente "servitore" e indicava la nobiltà guerriera, guerrieri valorosi ma con un senso dell'onore, del rispetto e soprattutto della cultura elevatissimi.
Penso che Kurosawa abbia colto nel segno. Il regista ci ha infatti mostrato il vero senso della cultura samurai, cioè il servilismo e l'umiltà.
I samurai ronin, assoldati e guidati da Kanbei Shimada, danno infatti segno di un'umiltà e di un'umanità straordinarie combattendo, rischiando (e alcuni perdendo) la vita per qualche pugno di riso, difendendo i contadini dai ripetuti attacchi dei briganti soprattutto per l'onore e per i valori profondi che essi avevano impressi nel loro essere.
Per sapere se la visione di Kurosawa sia un po' troppo "poetica" si dovrebbe conoscere più a fondo la cultura del Giappone di quell'epoca, ma ciò che è certo è la stupenda lezione che il film ci dona, intatta ai segni dei tempi, sulla gratuità e sul dono di se stessi agli altri.
I samurai non hanno nulla da guadagnare, anzi hanno moltissimo da perdere inoltrandosi in queste battaglie, ma c'è qualcosa di più profondo e importante del semplice tornaconto personale che li spinge.
Il senso di questo film è senza dubbio una luce luminosissima anche e soprattutto per il nostro tempo, caratterizzato da una società così malata e corrosa da un egoismo imperversante. Ciò sta a testimoniare che le grandi verità e le grandi opere vanno al di là del tempo.
Ho visto qui anche commenti negativi e voci "fuori dal coro": ci possono stare, il flm è complesso e non di facile vedibilità, ma lo spessore dell'opera è fuor di dubbio in quanto occorre considerare il senso profondo e i valori che essa esprime oltre a ciò che si vede e alle scene d'azione, che pure, a mio parere, sono ottime.
Una nota puramente personale non può non andare all'atmosfera straordinaria che mi dona ogni film di Kurosawa: anche stavolta il grande regista ha saputo trasmettermi un nobile e grandioso senso di pace e di serenità, nonostante i molti momenti di tensione del film splendidamente sottolineati da musiche gravi e inquietanti; è una dote veramente rara questa e che non ho ritrovato in nessuna altro regista. Ovviamente però l'arte è opinabile e ognuno sente secondo il suo essere e la sua sensibilità.
Veramente impressionante è poi come Kurosawa faccia rendere al massimo gli attori: anche ne "I sette samurai" le interpretazioni di tutti gli attori sono di altissimo livello, anche impreziosite dalla consueta teatralità kabuki; su tutti ovviamente i "soliti" Takashi Shimura e Toshiro Mifune, attori come se ne sono visti pochi nella storia del cinema.
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jacopo b98
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venerdì 21 febbraio 2014
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un epico capolavoro del cinema giapponese!
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Nel Giappone medievale dei briganti vogliono saccheggiare un villaggio. I contadini allora assoldano sette samurai per difendere il villaggio. La vittoria verrà pagata a caro prezzo. È il più grande capolavoro di Kurosawa, insieme allo splendido Ran, nonché uno dei più grandi film giapponesi (e non solo) della storia del cinema. È il più lungo film mai girato da Kurosawa, anche se, per la distribuzione, la produzione lo accorciò da 200’ a 140’, tagliando buona parte delle splendide scene di battaglia. Recentemente la versione originale è stata nuovamente distribuita in tutta la sua durata integrale. È la storia di sette guerrieri che si sacrificano per salvare il cuore pulsante della civiltà giapponese: i contadini.
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Nel Giappone medievale dei briganti vogliono saccheggiare un villaggio. I contadini allora assoldano sette samurai per difendere il villaggio. La vittoria verrà pagata a caro prezzo. È il più grande capolavoro di Kurosawa, insieme allo splendido Ran, nonché uno dei più grandi film giapponesi (e non solo) della storia del cinema. È il più lungo film mai girato da Kurosawa, anche se, per la distribuzione, la produzione lo accorciò da 200’ a 140’, tagliando buona parte delle splendide scene di battaglia. Recentemente la versione originale è stata nuovamente distribuita in tutta la sua durata integrale. È la storia di sette guerrieri che si sacrificano per salvare il cuore pulsante della civiltà giapponese: i contadini. Poveri, ignoranti, eppur estremamente furbi. Nei sette samurai si identificano le sette virtù (e difetti) della civiltà dell’epoca: il coraggio, ma contemporaneamente la disillusione, ecc. ecc. E visivamente è la più alta celebrazione del cinema tradizionale giapponese, fatto di lunghe battaglia, di personaggi al contempo buffi eppure serissimi. Ne è un esempio il memorabile personaggio di Kikuchiyo, interpretato da un eccezionale Toshiro Mifune, che qui si riconferma a pieno diritto come uno dei più grandi interpreti della storia del cinema (il più grande tra i giapponesi, senza dubbio). Completamente girato in un bianco e nero che alterna l’oscurità delle scene notturne alla superba chiarezza di quelle diurne (memorabile se splendida luce della scena finale in cui i contadini arano i campi). Grande successo in patria, Leone d’Argento a Venezia e due nomination agli Oscar: costumi e scenografia.
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dante cruciani
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sabato 30 marzo 2013
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l'epica di kurosawa
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Ho letto la recensione dell'utente Claudus, che ha assegnato un voto minimo al film, adducendo come motivazione il fatto che le azioni narrate in questa pellicola siano patetiche e poco spettacolari, asserendo di preferire il cinema d'azione di Tarantino (nella fattispecie "Kill Bill"). Sotto un certo punto di vista concordo con lui : forse i combattimenti sostenuti dai samurai di Kurosawa sono tutto meno che spettacolari; guerrieri che barcollano e cadono nel fango avvinghiati con gli avversari, fendenti menati a vuoto,ecc. Ma è proprio questo che rende il fim un capolavoro ; provate a pensare all'Iliade di Omero e ad immaginarvi - riprodotti fedelmente in chiave visiva - i duelli ivi descritti: sono tutto meno che ciò che siamo abituati a definire spettacolare : guerri che barcollano, colpiscono alla cieca, in mancanza di meglio prendono a selciate l'avversario , colpiti in testa "girano come trottole".
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Ho letto la recensione dell'utente Claudus, che ha assegnato un voto minimo al film, adducendo come motivazione il fatto che le azioni narrate in questa pellicola siano patetiche e poco spettacolari, asserendo di preferire il cinema d'azione di Tarantino (nella fattispecie "Kill Bill"). Sotto un certo punto di vista concordo con lui : forse i combattimenti sostenuti dai samurai di Kurosawa sono tutto meno che spettacolari; guerrieri che barcollano e cadono nel fango avvinghiati con gli avversari, fendenti menati a vuoto,ecc. Ma è proprio questo che rende il fim un capolavoro ; provate a pensare all'Iliade di Omero e ad immaginarvi - riprodotti fedelmente in chiave visiva - i duelli ivi descritti: sono tutto meno che ciò che siamo abituati a definire spettacolare : guerri che barcollano, colpiscono alla cieca, in mancanza di meglio prendono a selciate l'avversario , colpiti in testa "girano come trottole". Non è il genere di cose che fa presa sul pubblico come una sequenza tarantiniana dove Uma Thurman volteggia e fa piroette sopra un nugolo di avversari tranciando in un colpo otto braccia e due arterie, dico bene ? La stessa cosa dell'Iliade avviene in Kurosawa: egli non cerca la spettacolarità, bensì trasmette allo spettatore il dramma della lotta, il vero epos omerico, il duello realistico con i suoi alti e bassi, i momenti in cui gli eroi sentono di non farcela e si chiedono se valga ancora la pena di lottare; laddove probabilmente la Sposa non ha mai perso grinta nel proseguire la sua missione vendicatrice. Un film come questo lascia l'amaro in bocca, è vero; e allora ? Il cinema non è solo evasione e privarlo delle prerogative che vengono concesse all'epica e alla letteratura - il dramma, il realismo, la catarsi, la bellezza della tragedia- mi pare una grande ingiustizia.
"I sette samurai" è stato il capostipite di un immenso filone cinematografico che si è preso la briga di raccontare le imprese degli sconfitti e dei disperati : alcuni di quei films sono tra i miei preferiti ("I soliti ignoti") , altri mi sono piaciuti di meno ("I magnifici sette") , ma questo posssiede senz'altro il fascino ancestrale di essere l'origine di tutto, l'incipi virginale. Tra spade, fango e pioggia.
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