Il monello

   
   
   

Un vagabondo e un discolo in giro per i quartieri. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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mercoledì 24 settembre 2014

IL MONELLO (USA, 1921) diretto da CHARLES S. CHAPLIN. Interpretato da CHARLES S. CHAPLIN – JACKIE COOGAN – EDNA PURVIANCE – HENRY BERGMAN – TOM WILSON – LILLITA MACMURRAY – MAY WITHE – RAYMOND LEE – CHARLES RIESNER – JULES HANFT – JACK COOGAN SR. – FRANCK CAMPBEAU § Una giovane abbandonata, vittima di un perfido seduttore, affida il figlioletto alla pietà altrui. Lo raccoglie Charlot, povero vetraio e vagabondo dal gran cuore che, fra mille sacrifici e astuzie, riesce ad allevare il bambino sottraendolo all’orfanotrofio. Per aiutare il padre adottivo, il monello rompe i vetri. Intanto la madre del piccolo, che ha fatto carriera come cantante ed è diventata ricca, è alla ricerca del pargolo e promette un lauto premio a chi glielo riporterà. Il padrone dell’ospizio sottrae il bimbo a Charlot e va a riscuotere la ricompensa lasciando Charlot affranto. Ma il buon girovago riuscirà alla fine a ricongiungersi al piccolo e alla madre, che lo hanno fatto ricercare. Primo lungometraggio di Chaplin, estesamente autobiografico per quanto riguarda la sua infanzia povera nei quartieri popolari di Londra. Nella sua miscela di patetico e di comico (anche grottesco) quante generazioni di bambini ha fatto ridere e piangere? La sequenza del sogno è risolta da Chaplin, con rischio calcolato, in un incantevole stile naif dai trucchi artigianali. Tenero, umoristico, realistico, lirico. Straordinario esordio del piccolo, grande attore J. Coogan (1914-1984). Un successo che dura da novantatre anni. Non si riscontrano significative cadute di ritmo e i tempi comici sono assolutamente e pienamente rispettati, suddividendo il divertimento non in compartimenti stagni e isolati l’uno dall’altro ma in blocchi narrativi che seguono l’avvicendarsi scorrevole e fluido della storia che mantiene compatta la materia della sceneggiatura, composta dallo stesso Chaplin, che si occupò inoltre del montaggio, delle musiche, della produzione e del soggetto. Fotografia in superba filigrana di Roland Totheroh. Scenografia di Charles D. Hall, che ricostruisce i sobborghi britannici con autentica sincerità e puntiglio rigoroso, senza lasciare nulla all’immaginazione né errori da malgiudicare da parte dei critici troppo severi e meticolosi. Oltre all’interpretazione del protagonista, impeccabile come in tutte le altre sue valorosissime opere per serenità, professionalità, metodo e abnegazione, anche gli altri attori brillano di luce propria nell’incarnare personaggi complessi ma pur sempre gradevoli: Coogan si adatta con disinvoltura nella parte del giovanissimo discolo che scampa a varie disavventure e trova nel vagabondo un genitore putativo che sa amarlo, rispettarlo e cullarlo a dovere; E. Purviance, una delle attrici feticcio di Chaplin (che fra l’altro tenne nel suo libro-paga per tutta la vita dopo che ella fallì nel tentativo di farsi una carriera da attrice drammatica), incanta con la sua femminilità procace ed elementare nel rappresentare una donna non del tutto sconfitta dalla vita e anzi capace di ergersi con forza e prendere risoluzioni vincenti di fronte alle avversità che le si parano innanzi; H. Bergman, altro grande ammiratore di Chaplin e suo inossidabile compagno di scena (di ben ventuno anni più vecchio di lui), è un ipocrita e fedifrago guardiano del dormitorio, che tenta di sottrarre al protagonista i soldi per il ritrovamento del fanciullo. Le scene da ricordare: Charlot che trova il neonato avvolto in fasce dopo che è stato lasciato in strada da due malviventi automobilisti; la cura del bambino quando è ammalato, con la presenza del dottore che gli prescrive la giusta terapia; la sfida contro il bulletto, che porta poi Charlot a malmenare il suo robusto fratello che gli aveva promesso di picchiarlo se il suo parente le avesse prese dal monello; la sequenza onirica in cui compaiono gli angeli, fra cui c’è anche L. MacMurray, seconda moglie dell’attore/regista; la colluttazione con i camionisti dopo la fuga sui tetti (in cui Chaplin si mette perentoriamente alla prova con le sue eccezionali doti acrobatiche) e il bacio in bocca col bambino, spezzacuori e strappalacrime insieme; il finale allegro e consolatorio in cui il trio principale si ricongiunge ed entra nel locale di lusso. Il monello venne prodotto dalla Charles Chaplin Production e fu girato a partire dal luglio 1919, in un periodo che non fu particolarmente felice per l’attore/regista, a causa dell’insistente e infedele moglie Mildred Harris e alla morte del figlio appena nato, scomparso dopo tre giorni di vita a causa di evidenti malformazioni fisiologiche e fisiche. L’opera rischiò di finire sotto sequestro unitamente ai beni di Chaplin nella causa di divorzio intentatagli dalla moglie: Charles, previdente, consegnò in custodia una copia dei negativi al fratello maggiore Sydney, terminò il montaggio della pellicola spostandosi in incognito (per quanto la sua popolarità lo consentisse) in diverse località, fra alberghi e studi tecnici. Seguendo ciò che il grande genio del cinema scrisse nella sua autobiografia, egli notò J. Coogan all’Orpheum Theatre di Los Angeles, un locale vaudeville dove stava recitando il padre di questi. Il giorno seguente, parlando con gli altri membri della sua troupe della performance di Coogan, gli venne in mente il soggetto di questa pellicola e scritturò Coogan. Quando la lavorazione del film cominciò, Jackie si rivelò perfetto: Chaplin trovò spontaneo, naturale e decisamente plasmabile alle sue indicazioni il bambino. Distribuito dalla First National Pictures, il film venne presentato a New York il 21 gennaio e successivamente il 6 febbraio 1921, venne esportato nei vari paesi del mondo. Costato 650mila dollari, ne incassò complessivamente 2 milioni e mezzo, classificandosi al secondo posto tra le pellicole di maggiore incasso del 1921, giusto dietro a I quattro cavalieri dell’Apocalisse. Nel 2011 è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, tra i film ritenuti culturalmente, storicamente o esteticamente significativi. Tutti pregi e vanti di cui questo capolavoro può senza ombra di dubbio fregiarsi a pieno titolo. Fu rieditato nel 1971 dall’autore che eliminò alcune brevi scene e vi aggiunse una partitura musicale di sua composizione. Restaurato con tecniche fotochimiche e digitali dall’Immagine Ritrovata di Bologna e della Dyte.

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