Titolo originale | Wo bu shi yao shen |
Anno | 2018 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Cina |
Regia di | Muye Wen |
Attori | Beibi Gong, Naiwen Li, Keith Shillitoe, Zhuo Tan, Chuan-jun Wang Yanhui Wang, Zheng Xu, Yu Zhang, Yiwei Zhou, Xinming Yang, Jiajia Wang, Bharat Bhatia, Fu Guanming, Chenfei Jia, Qianyi Ma, Hao Ning, Xiaozhi Ning, Qing Wei, Jian Wu, Zixian Zhang, Gengyou Zhu. |
MYmonetro | 2,84 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 4 luglio 2018
Il sociale a servizio di una pellicola che vuole far riflettere.
CONSIGLIATO SÌ
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Cheng Yong vive di espedienti e di piccole truffe: un matrimonio fallito alle spalle, debiti a profusione e un avvenire che definire incerto è un eufemismo. Finché un giorno si reca da lui Lu Shouyi, malato di leucemia, per proporgli di rivendere illegalmente, a un prezzo di molto inferiore al suo corrispettivo commercializzato in Cina, un farmaco prodotto in India, che può curare la malattia. Cheng all'inizio intravede una prospettiva di lucro nell'operazione, ma poi capirà l'importanza della causa e vedrà in essa un'occasione di redenzione.
Tratto da una storia vera, che ha aperto a molte discussioni in Cina, il debutto di Wen Muye ritorna sullo scandalo dei farmaci per la cura dalla leucemia venduti a prezzi esorbitanti.
Quasi un incrocio tra Schindler's List e Dallas Buyers Club, in cui un cinico traffichino, "neppure degno di essere definito un uomo" per la sua ex moglie, diviene il più improbabile degli eroi. Uno schema che funziona da sempre, e in particolar modo in tempi caratterizzati dall'appeal del lato più emozionale. Oggi cresce il bisogno di film che parlino al cuore più che al cervello, anche in Cina, a giudicare dalle cifre stratosferiche incassate dal film (450 milioni di dollari), che ha approfittato del cosiddetto "blackout" di film hollywoodiani (periodicamente imposto dal governo cinese per tutelare le quote di cinema locale). In questo senso Wen, benché al debutto, mostra di essere scaltro: la sua virata dalla commedia al dramma è tecnica antica e collaudata. Prima il pubblico ha modo di conoscere personaggi caricaturali e affezionarsi alla loro singolarità, così da empatizzare maggiormente quando il tono si fa tragico. Attore protagonista e coproduttore del film è Xu Zheng, un comico popolare, che connota da subito il film come veicolo di un messaggio di impegno civile travestito da farsa. Nella prima parte del film le battute e le gag si sprecano, mentre prevale un approccio populista, pieno di strizzate d'occhio a religione (il prete cattolico che aiuta a comunicare in inglese), erotismo (la principale aiutante di Cheng si esibisce in locali di lapdance) e sentimentalismo (la storia triste di "capelli gialli").
Il film di Wen Muye possiede quel tanto di critica al sistema sufficiente per coinvolgere lo spirito polemico di un popolo vessato dalle ingiustizie, ma lo annacqua in una salsa populista tale da renderlo tollerabile per il governo e per la sua censura. L'atto di accusa rimane chiaro, nonché basato su fatti avvenuti realmente, ma l'epilogo riscatta in parte l'autorità costituita, trasferendo il ruolo di villain interamente sulle spalle delle case farmaceutiche. Guidato dall'assunto che "la vera malattia che non conosce cura sia la povertà", come dice un personaggio del film in una delle battute più memorabili, Dying to Survive si conferma sostanzialmente in linea con il nuovo approccio del governo di Xi Jinping, che mira al consolidamento di una "società moderatamente prospera". Un obiettivo che riparte anche dal sacrificio di uomini comuni come Cheng Yong e dalla consapevolezza di essere individui e non dei semplici numeri o l'equipaggio sacrificabile di un sistema esoso.