Titolo internazionale | The Captain |
Anno | 2017 |
Genere | Drammatico, Guerra, Storico |
Produzione | Germania, Polonia, Portogallo, Francia |
Durata | 118 minuti |
Regia di | Robert Schwentke |
Attori | Max Hubacher, Milan Peschel, Frederick Lau, Bernd Hölscher, Waldemar Kobus Alexander Fehling, Samuel Finzi, Wolfram Koch, Eugenie Anselin, Hendrik Arnst, Sebastian Rudolph, Max Thommes, Rike Eckermann, Jörn Hentschel, Alexander Hörbe, Ferdinand Dörfler, Harald Warmbrunn, Stefan Feddersen-Clausen, Kordian Rekowski, Sebastian Grempka, Damien Rabjastajn, Sascha Alexander Gersak, Jakub Sierenberg, Damian Ul, Marko Dyrlich, Blerim Destani, Michael Bornhütter, David Scheller, Britta Hammelstein, Wieslaw Hormanski, Stefan Kolosko, Laurean Wagner, Annina Polivka, Samia Muriel Chancrin, Linda Schönherr, Annika Meier, Shannon Staller, Ingo Günther, Jan Georg Schütte, Haymon Maria Buttinger, Hossein Rahmani Manesh. |
Tag | Da vedere 2017 |
MYmonetro | 3,27 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 6 agosto 2018
Durante la seconda guerra mondiale un disertore si sostituisce al suo capitano e convince altri soldati a unirsi a lui. Il film è stato premiato agli European Film Awards,
CONSIGLIATO SÌ
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Un soldato in fuga. Diciannove anni, tanta inesperienza, altrettanta paura, più un'innata voglia di sopravvivere. Scappa da una squadra nazista che lo rincorre a colpi di fucile. Siamo nella Germania del 1945, la guerra sta per finire, ma lui non lo sa. Quando trova un'uniforme nazista da indossare nulla sarà più come prima e lui sarà il primo a comportarsi come i suoi stessi persecutori.
È maledettamente interessante, il nuovo film di Robert Schwentke, cineasta tedesco che, dopo una serie di divertissment e blockbuster, (vedi la saga Divergent) sentiva probabilmente l'esigenza di tornare in Germania e affondare le mani nel periodo più fangoso del suo Paese.
Lo fa in modo originale e raffinato, senza retorica, scegliendo di raccontare una storia vera attraverso il volto fresco di un ragazzo per indagare quel crinale sospeso tra follia e banalità del male che ha segnato la storia.
Rigoroso ed elegante da un punto di vista formale, con un bianco e nero che scava i volti e rende ancora più cupe scelleratezze per nulla risparmiate allo spettatore, The Captain - preentato in anteprima al Bari International Film Festival - mette in scena un paradosso. Pervaso da una sorte di sindrome di Stoccolma, il sopravvissuto protagonista riesce a indossare letteralmente i panni del carnefice. E scopre un mondo. Un mondo fatto di potere e relativi abusi, crudeltà gratuite, violenze basate su principi esaltati di presunta superiorità.
L'attore Max Hubacher spicca nel traformarsi continuamente, assumendo sembianze sempre diverse. Nella prima, memorabile, scena è solo un ragazzo che corre a perdifiato tra campi e boschi in cerca di salvezza mentre i suoi aguzzini gli sparano addosso. Da quando indossa l'uniforme diventa qualcosa che anche dal volto lascia trasparire del diabolico, con un ghigno che a tratti non può non ricordare l'inarrivabile Christoph Waltz di Bastardi Senza Gloria.
È un film sulla degenerazione del potere, che lorda, stordisce e contagia chiunque lo possieda. Anche le vittime possono diventare carnefici, i peggiori carnefici, pare suggerire Schwentke, che per questo suo escape movie a tinte noir si serve intelligentemente dell'inconfondibile fotografia di Ballhaus (lo stesso di Quei bravi ragazzi, Dracula di Bram Stoker, I colori della vittoria, The Departed etc).
Colpisce l'estetica e l'etica del branco che mette in scena, la sferzata di critica sociale, l'ironia feroce nella scena del processo (sbrigativo) in cui, in sostanza, si giustifica tutto in nome dello scopo finale. Seduce, infine, la struttura ad anello che - lo spettatore scoprirà come e perché - ripropone ancora una fuga del protagonista, questa volta in mezzo a una serie sterminata di cadaveri nella scena visivamente ed emotivamente più potente del film. Fuga che si fa metafora di un'evasione dalla giustizia, al prezzo di tutti quei corpi che l'hanno scontata e subita sulla loro pelle. Cosa resta? Una distesa di scheletri, secondo l'antica legge dell'homo homini lupus che a nulla porta se non a rovine e distruzione.