Krieg

Film 2017 | Drammatico, Thriller +13 93 min.

Anno2017
GenereDrammatico, Thriller
ProduzioneGermania
Durata93 minuti
Regia diRick Ostermann
AttoriUlrich Matthes, Barbara Auer, Jördis Triebel, Thomas Loibl, Lili Epply Samuel Schneider, Felix von Bredow, Stephan Szasz, Lucas Reiber, Robert Finster, Carmen Gratl, Theresa Waas.
RatingConsigli per la visione di bambini e ragazzi: +13
MYmonetro 3,05 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Rick Ostermann. Un film con Ulrich Matthes, Barbara Auer, Jördis Triebel, Thomas Loibl, Lili Epply. Cast completo Genere Drammatico, Thriller - Germania, 2017, durata 93 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 - MYmonetro 3,05 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 8 settembre 2017

Un dramma familiare complesso con elementi del thriller che attraverso un'insolita elaborazione del lutto si apre ad una lotta all'ultimo sangue.

Consigliato sì!
3,05/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 3,10
CONSIGLIATO SÌ
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Cinema
Trailer
Un dramma raccolto nei silenzi e negli sguardi, che scardina le convinzioni e fa emergere le fragilità di chi osserva a distanza di sicurezza.
Recensione di Olivia Fanfani
venerdì 8 settembre 2017
Recensione di Olivia Fanfani
venerdì 8 settembre 2017

Arnold Stein non trova pace. Da quando il figlio è partito per il fronte, arruolandosi come volontario, ha perso tutto. Invano lui e la moglie Karen hanno tentato di dissuadere Chris dall'andare a combattere una guerra che con la Germania non ha niente a che fare. Il giovane è partito lasciando i genitori e la fidanzata Sandra a doversi confrontare con un dramma che squarcia con violenza la zona di comfort da dove percepivano il confitto. La notizia della sua morte, poi, trascina Karen in un infausto vortice di alcol e depressione. Arnold decide allora di lasciare il lavoro d'insegnante e trasferirsi in un rifugio isolato tra le montagne, con l'unica compagnia del suo cane. Una vita da recluso che rifugge il dolore e la ruvidezza del mondo sarà per lui occasione per diventare uomo d'azione. Un'altra guerra lo attende, una guerra silenziosa, senza esclusione di colpi, contro uno sconosciuto deciso a sfidarlo.

Adattamento dell'omonimo romanzo di Jochen Rausch, Krieg è il racconto di un effetto domino.

Rimasto solo al mondo, Arnold elabora il lutto improvvisandosi guerriero in uno scontro spietato a un nemico invisibile. Con un ultimo grido d'animale, la rabbia e il rimpianto spingono l'uomo a combattere una guerra sua personale, povera di significato, per difendere quel poco che gli è rimasto al mondo.

Affidando la struttura ad un alternarsi di flashback e sguardi sul presente, il regista racconta il dolore della guerra attraverso gli occhi smarriti di un uomo rimasto solo a covare rancore.

Metafora del territorio di guerra dove ha perso la vita Chris (un Afghanistan mai dichiarato apertamente ma suggerito dai continui richiami ai nemici "barbuti") le montagne incontaminate del rifugio di Arnold fanno da sfondo alla desolazione della sua perdita. In una parabola ascendente, il dolore dell'uomo diventerà una rabbia indomabile che riversa contro il suo vicino, una sorta di vendetta al vuoto di senso del conflitto che gli ha strappato il figlio.

Al suo secondo lungometraggio, Ostermann si dimostra consapevole dell'impossibilità di dire qualcosa di definitivo sull'argomento. La dimensione dove i ricordi si accavallano al presente del protagonista è chiara rappresentazione del passaggio dalla frustrazione per non essere riuscito ad evitare la morte del figlio, al dolore per la distruzione della sua famiglia. I dogmi etici vengono posti per sottrazione d'immagini e parole, con richiami ad una guerra mai mostrata, se non quando Arnold decide di passare all'azione contro l'eremita antagonista, nascosto tra le montagne.

Con inquadrature azzardate e un uso sistematico della camera a mano, il film assume i connotati della condanna universale al conflitto in tutte le sue declinazioni. Un dramma raccolto nei silenzi e negli sguardi, che scardina le convinzioni e fa emergere le fragilità di chi osserva a distanza di sicurezza senza mai farsi carico delle proprie responsabilità.

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