Titolo originale | Malaria |
Anno | 2016 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Iran |
Durata | 100 minuti |
Regia di | Parviz Shahbazi |
Attori | Saghar Ghanaat, Saed Soheili, Azarakhsh Farahani, Azadeh Namdari, Siavash Asadi Behrooz Moosavi, Tara Saeedi, Siamak Adib, Ebrahim Amirkhani, Hossein Moghaddam, Alireza Ostadi, Mojtaba Tahmores. |
MYmonetro | 2,73 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 9 settembre 2016
Una ragazza finge di essere stata rapita per impossessarsi dei soldi del padre. Ma la sua famiglia fa di tutto per trovarla.
CONSIGLIATO SÌ
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Una ragazza fugge insieme al fidanzato verso Teheran. Pur di evitare la presenza del padre, violento patriarca che la preferisce reclusa, arriva a simulare un rapimento. Così facendo, spinge il genitore a recarsi a Teheran, dove in breve rintraccerà le generalità di Azi, il musicista squattrinato che ospita i due fuggiaschi, e cercherà di vendicarsi.
Al sesto film Parviz Shahbazi insiste sui temi a lui cari, con rinnovato pessimismo e un diverso approccio nei confronti della tecnologia. È la storia stessa ad essere raccontata come un mosaico di immagini riprese utilizzando diversi dispositivi mobili, al punto tale da rendere di difficile attribuzione la paternità delle stesse. Malaria gioca insistentemente sull'ambiguità di quello che lo spettatore sta guardando: potrebbe trattarsi di riprese oggettive, soggettive dei personaggi o addirittura riprese effettuate da uno dei personaggi del film.
Una modalità eterogenea di raccontare una storia che vorrebbe essere uno spaccato delle nuove generazioni in Iran, in cui la protagonista sfugge alla violenza e alla sopraffazione paterna fingendo un rapimento, per farsi catturare in realtà dallo spirito libertario della gioventù off di Teheran. Contrasti tra città e campagna, contrasti tra fondamentalismo e tolleranza. Il regista prova quindi ad alternare il tono drammatico a quello più comico, con alcune scene che giocano con ironia sulle contraddizioni del Paese. Finisce quasi per suonare come una nota stonata, quindi, la sterzata finale verso la tragedia, eccessivamente didascalica per generare empatia verso la drammatica situazione vissuta dalla ragazza.
Interessante l'individuazione di una filiazione patriarcale nella società iraniana che contamina anche le nuove generazioni, facendo calare il sipario sulle speranze residue di un prossimo miglioramento delle condizioni di libertà individuale. Un regime basato sulla paura non può che produrre personaggi figli della paura, che ragionano secondo la medesima logica. Da non sottovalutare il gusto per la composizione dell'inquadratura attraverso dei quadretti che incorniciano al meglio porte e finestrini del minivan di Azi, con l'automobile ancora una volta luogo centrale per il cinema iraniano nell'osservazione della variegata umanità che compone il tribolato Paese.