Swirl

Bastu ha una cascata di capelli argentei e un sorriso pieno di luce e rughe che raccontano sul suo volto un'intera vita. Passata al fianco del marito che non c'è più, anche se il suo fantasma continua a farle visita in una dimensione sospesa tra realtà, visione e sogno. Come quella ritratta da Helvécio Marins Jr e Clarissa Campolina nel loro primo lungometraggio, Swirl, presentato a Venezia 2011 nella sezione Orizzonti. Un viaggio nell'esistenza semplice di questa originale donna brasiliana ottantunenne che sembra conservare la freschezza di spirito di una ragazzina, mentre aspetta in silenzio ciò che ancora la vita può offrirle. All'interno del suo villaggio immerso nel sartão brasiliano, usato come set dai due registi per esplorare consuetudini e cambiamenti di un luogo in evoluzione. Raccontati nei dialoghi tra Bastu e i suoi nipoti, specchio della convivenza tra tradizione e modernità, come nelle antiche nenie popolari maestre di vita che intona la protagonista, cui fa eco a ritmo di samba la musica suonata dalle nuove generazioni. Pronte a lasciare il villaggio per costruirsi la chance di un qualche futuro.
Tutto questo viene portato sul grande schermo da Helvécio Marins Jr e Clarissa Campolina mescolando il linguaggio del documentario con quello dei filmini amatoriali, affidandosi alla quotidianità lenta e saggia dell'anziana protagonista e al suo girovagare come un "girimunho", ovvero un mulinello, metafora della vita. Un girovagare che diventa strumento per raccontare l'interno del Brasile a partire da personaggi che non sono frutto di immaginazione creativa di sceneggiatori e gente del mestiere, ma persone reali che vivono a São Romão. Con le loro piccole storie, le loro case semplici e piene di memoria adibite a set per la pellicola, senza spostare nulla. Neanche il minimo dettaglio.
In questo trova un suo fascino Swirl, sebbene risenta purtroppo di una lungaggine e una lentezza che si trascinano nella monotonia. In mancanza di una storia e di una narrazione che possano reggere i novanta minuti del film, per il quale ne sarebbero stati sufficienti la metà senza appesantire il pubblico. Che al termine della proiezione si porta comunque dietro la morbida cantilena di Bastu e la musicalità della lingua portoghese, per la quale sarebbe del tutto innaturale ipotizzare un doppiaggio della versione originale. Piccolo privilegio da festival. 