Prey

La famiglia Lemans è proprietaria di una grande azienda agricola e di tutti i territori ad essa adiacenti. Il capofamiglia Eric è un vecchio agricoltore con la passione della caccia che ha lasciato ai due figli David e Nicolas rispettivamente la gestione dei campi e la direzione dell'azienda, in cui lavorano anche la nipote Claire e il suo fidanzato Nathan. Dopo che un violento attacco da parte di un cinghiale nei pressi dei campi ha portato alla distruzione di una recinzione e al massacro di un'intera famiglia di cervi, i tre maschi Lemans partono a caccia della bestia. Alla battuta di caccia decide di unirsi anche Nathan, con il proposito di convincere Nicolas a permettere che Claire lasci l'azienda e cresca il figlio che aspetta da lui. Ma prima che il confronto possa aver luogo, emerge la verità su quello che sta avvenendo nei boschi e agli animali che vi abitano. Nell'horror contemporaneo, l'eredità della tradizione dei b-movie americani viene contesa fra estremo oriente e cuore europeo. Se nipponici e coreani hanno riformulato i meccanismi della tensione in funzione di fantasmi rancorosi e tecnologie assassine, da qualche anno la Francia va proponendo una nuova generazione di autori intenta a radicalizzare brutalmente tutti i luoghi comuni del cinema d'exploitation. In particolar modo quelli del conflitto fra interno e esterno, fra interiorità viscerale e alterità ignota e ostile, che dopo Them, Alta tensione, Martyrs e a À l'intérieur, trova nei boschi della campagna francese la dimensione primigenia per una nuova e spaventosa parabola sul rapporto fra uomo e natura. In quella foresta di simboli e di cliché di impossibile disboscamento qual è l'horror, Proie ha il pregio del tutto moderno di utilizzare un linguaggio brutale, ma veloce ed efficace. Il riferimento più evidente è a Boorman e a Un tranquillo week-end di paura, a parte il fatto che la regressione alla bestialità della famiglia Lemans non è affatto scandita e progressiva, ma si consuma in maniera filata, diretta, senza pause e senza respiro. Lo stile dell'esordiente Antoine Blossier tiene in considerazione tanto l'orrore materiale dello spargimento di sangue che quello più "testimoniale" della macchina a mano e della falsa soggettiva. Della caccia tragica mostra tutto e niente, collocandosi nelle viscere delle azioni ma cercando sempre di mantenere l'estetica del punto di vista. Dell'orrore evita ogni riferimento mistico e trascendentale, mostrandone solo l'aspetto più brutale e ferino, in un'unione fra dimensione originaria e sguardo contemporaneo che costituisce da sempre il cuore dell'horror. 