Udaan

Film 2010 | Drammatico, 138 min.

Anno2010
GenereDrammatico,
ProduzioneIndia
Durata138 minuti
Regia diVikramaditya Motwane
AttoriRonit Roy, Ram Kapoor, Anand Tiwari .
TagDa vedere 2010
Distribuzioneda definire
MYmonetro 3,38 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Vikramaditya Motwane. Un film Da vedere 2010 con Ronit Roy, Ram Kapoor, Anand Tiwari. Genere Drammatico, - India, 2010, durata 138 minuti. distribuito da da definire. - MYmonetro 3,38 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento domenica 4 luglio 2010

Dopo una bravata a scuola, Rohan viene rispedito a vivere con un padre arrogante, violento e oppressivo. Un purgatorio personale che lo porterà a conquistarsi la libertà.

Consigliato sì!
3,38/5
MYMOVIES 4,00
CRITICA
PUBBLICO 2,75
CONSIGLIATO SÌ
Scheda Home
Critica
Premi
Cinema
Trailer
Semplice e commovente, un film perfetto per avvicinarsi alla complessità del cinema popolare indiano.
Recensione di Gabriele Niola
giovedì 20 maggio 2010
Recensione di Gabriele Niola
giovedì 20 maggio 2010

Espulso dal buon liceo che frequentava per una bravata con gli amici Rohan e' costretto a tornare nella cittadina industriale a vivere un padre che non si fa sentire da 8 anni. A casa la situazione e' pessima, il padre e' sostenitore di un'educazione rigida e fuori dal tempo anche per i canoni indiani, ha schiavizzato il fratellastro di 6 anni, che Rohan scopre tutto d'un tratto di avere, e costringe il ragazzo a studiare ingegneria per lavorare nella fabbrica di famiglia invece che fare il poeta come vorrebbe. Ma le oppressioni non finiscono qui. Insulti, botte, minacce, violenze mentali, angherie e privazioni verso Rohan e il fratello minore crescono al crescere delle piccole ribellioni, malefatte o semplicemente problemi posti dai ragazzi. La situazione dovrebbe cambiare ma le decisioni paterne verso il futuro dei figli non fanno che farsi piu' vessatorie.
Udaan significa "prendere il volo" (come canta una delle consuete canzoni che accompagnano il film), espressione ricorrente nella vita del regista, che non nasconde un po' di autobigrafismo in questo suo primo film con l'autorevolezza di chi sa che "i cliches esistono per un motivo". Quest'affermazione potrebbe ben adattarsi anche allo stile del film che, come gran parte del cinema piu' commerciale indiano, puo' apparire scontato, naive, semplicistico e banale ad un occhio occidentale, ma il problema e' solo nostro.
La forma attraverso la quale Vikramaditya Motwane racconta la sua storia di oppressione e liberazione giovanile passa attraverso tutte le piu' tipiche fasi dei racconti popolari e utilizza personaggi archetipi, estremi nelle loro azioni e nelle loro reazioni. Non c'e' la minima intenzione di cercare quella complessita' che il cinema adulto occidentale vuole raggiungere, anzi la semplicita' e la divisione manichea di ruoli e funzioni e' sono utilizzate come un grimaldello per raggiungere la comprensione universale.
Alcuni dei valori messi in campo non sono ben traducibili nell'universo nostrano. Il senso di appartenenza, la deferenza, il rispetto e l'onore come vengono intesi dalla parte piu' tradizionalista della societa' indiana possono apparire incomprensibili al nostro sguardo ma la forza di Motwane e' di cercare l'universalita' dei volti prima che dei fatti. Concentrandosi sui primi piani e sui movimenti dei corpi (i primi fondamentali quando in scena c'e' il padre, i secondi determinanti quando si muove il fratello piccolo) il racconto abbandona presto il suo scheletro popolare e scatena un'immedesimazione da cinematografo degli anni '50: autenticamente popolare con gusto.
Il padre e' cattivo e oppressore, il giovane ha alte aspirazioni, il fratello piccolo e' l'innocenza e lo zio l'ancora di salvezza in un intreccio melodrammatico classico. Ma semplicita' di racconto non vuol dire semplicita' di messa in scena e raccontare una storia dalla scansione e lo svolgimento consueti non significa farlo con trascuratezza. Udaan e' un racconto che ha piu' di una freccia al suo arco e riesce perfettamente nel suo intento di accumulare frustrazione nello spettatore lungo tutto il film per poi liberare la commozione nel finale. La lacrima scende quando deve scendere e l'animo ribolle di rabbia contro il cattivo della situazione quando il regista lo comanda, cose che in occidente ci arrivano solo dal cattivo cinema e che abbiamo dimenticato possano anche essere fatte con maestria.

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