Little Big Soldier

Descrivere a parole le emozioni elementari e istintuali che suscita la visione di un (buon) film con Jackie Chan è sempre un esercizio piuttosto complesso. Si può solo provare a rendere l'idea su quel che il piccolo grande uomo del cinema hongkonghese è capace di regalare con una mossa del corpo, una schivata, una piroetta o una battuta ingenua ed esilarante che fa leva sulla componente più infantile e pura del pubblico. Negli anni la platea si è divisa tra chi l'ha discusso e snobbato e chi invece non può fare a meno di un'iniezione di sana stupidità, specie se al servizio di una fisicità senza precedenti. Per coloro che appartengono alla seconda categoria Jackie Chan è l'ideale continuatore di una lunga catena di saltimbanchi del cinema (risalendola si arriva sino a Buster Keaton) e in Little Big Soldier ritrova uno smalto che era difficile attribuirgli ancora, specie dopo alcune sfortunate trasferte hollywoodiane e dopo almeno un paio di eccellenti reinvenzioni/trasfigurazioni del suo personaggio (quasi irriconoscibile in New Police Story e Shinjuku Incident).
Little Big Soldier è un ritorno al Jackie classico, benché collocato in un contesto di cinese mandarino e al servizio di una trama che riporta alla violenza in nome dell'unificazione della Cina ("sotto un unico cielo", come recitava la morale dello spettacolare e propagandistico Hero). Ma poco importa la storia con la esse maiuscola, quando si vive di dettagli e di sequenze impagabili come quella di JC a cavallo di uno yak che travolge un muro o di JC codardo che infila - letteralmente - il dito nella piaga dell'amico-nemico generale Wei. È concentrandosi sul dettaglio, più che sul quadro generale, che Little Big Soldier emerge con chiarezza come il miglior Jackie Chan classico da un decennio in qua. Il geniale guitto è ancora tra noi. Non poteva esserci notizia migliore. 