Titolo originale | Moja Krew |
Anno | 2009 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Polonia |
Durata | 90 minuti |
Regia di | Marcin Wrona |
Attori | Eryk Lubos, Luu De Ly, Wojciech Zielinski, Krzysztof Kolberger, Malgorzata Zajaczkowska . |
Tag | Da vedere 2009 |
MYmonetro | 3,50 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 14 ottobre 2009
Il ring non è l'unico luogo in cui si lotta, Igor lo scopre quando gli viene impedito di combattere. Si lotta per trovare serenità, per tenerla stretta e infine per gli altri.
CONSIGLIATO SÌ
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Come molti personaggi che abbiamo visto al cinema Igor conosce solo la violenza, quello è il suo modo di relazionarsi con il resto del mondo, non a caso (o forse proprio per quello) fa il pugile. Quando gli comunicano però che non può più combattere gli tocca cominciare a vivere e lottare per se stesso senza dover utilizzare la violenza delle mani ma dovendo subire quella delle parole e di un fato avverso, in una spirale di prove sempre più dure cui la vita lo sottopone.
Spesso il cinema riflette sulla violenza del vivere e la violenza come stile di vita, perché spesso questa è l'unica realtà per molti strati della popolazione. Il cinema della violenza nella vita quindi è anche cinema di bassifondi, di disperati che cercano un riparo da tale disperazione senza sapere che quella violenza inevitabilmente non lo fornisce e il pugno facilmente diventa metafora di un bisogno o di una richiesta d'affetto. Tutto questo è presente in My Flesh, My Blood ma con una grandissima classe e una straordinaria efficacia. Basta vedere subito come Igor approcci la sua ex moglie, un tentativo di riconquistarla che sembra l'inizio di una rissa, o come si sfoghi con il suo migliore amico dopo che questi gli ha concesso un immenso favore.
Il cinema polacco ha da sempre un'identità ben definita e storicamente è tra i più floridi di talenti, capace di contaminarsi con efficacia. Marcin Wrona sembra guardare a Jacques Audiard per il suo ritratto di violenza, affetto e comunicazione ma sa seguire una strada personale fatta di ampi spazi, di fiducia nella forza delle immagini (davvero sincera la scena dell'atto sessuale sulle coperte rosse) e di un cinema smaccatamente sentimentale che tuttavia non rinuncia alla virilità.