Racconto di primavera

Film 1990 | Commedia 112 min.

Titolo originaleConte de printemps
Anno1990
GenereCommedia
ProduzioneFrancia
Durata112 minuti
Regia diEric Rohmer
AttoriHugues Quester, Anne Teyssèdre, Florence Darel, Eloise Bennett, Sophie Robin Marc Lelou, François Lamore.
TagDa vedere 1990
MYmonetro 3,00 su 7 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Eric Rohmer. Un film Da vedere 1990 con Hugues Quester, Anne Teyssèdre, Florence Darel, Eloise Bennett, Sophie Robin. Cast completo Titolo originale: Conte de printemps. Genere Commedia - Francia, 1990, durata 112 minuti. - MYmonetro 3,00 su 7 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento lunedì 28 novembre 2016

Primo lungometraggio del ciclo Racconti delle quattro stagioni che il regista si è prefisso di realizzare. In Italia al Box Office Racconto di primavera ha incassato 5,1 mila euro .

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Consigliato sì!
3,00/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA 3,00
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
Ancora una volta Rohmer riesce a trasformare i pensieri in immagini, offrendoci una parola 'vista'.
Recensione di Giancarlo Zappoli
Recensione di Giancarlo Zappoli

Jeanne, professoressa di filosofia temporaneamente priva di un'abitazione, conosce a una festa la giovane Natacha che la invita a casa sua dove vive con il padre e con la sua nuova compagna, quasi sua coetanea, che detesta. La professoressa si troverà in breve tempo a pranzare con loro parlando di filosofia ma dovrà anche veder crescere la tensione tra coloro che la ospitano.
Con questo film si apre un nuovo ciclo per il cinema rohmeriano. Sono ora le stagioni ad essere al centro ma non come metafore del senso della vita. Il regista tenta piuttosto di approfondire il rapporto che si viene a creare tra i personaggi, lo spazio in cui vivono e la luce e i colori che, nel momento in cui la vicenda si sviluppa, fanno essere il mondo che li circonda.
Fin dalla prima inquadratura Rohmer si prende la libertà della citazione che favorisce la contestualizzazione. Di Jeanne lo spettatore non sa ancora nulla ma la vede uscire da un liceo dedicato a Jacques Brel. È una sorta di dedica al cantautore belga i cui testi erano ricchi di ironia ma anche di malinconia e anche una specie di definizione del proprio lavoro: così come Brel non scriveva saggi ma canzoni lui parlerà di filosofia attraverso il cinema. Non bisogna andare a cercare i richiami stagionali in questo film se non attraverso qualche fiore e, come già anticipato, la natura che riprende luce in particolare nella casa di Fontainebleau.
La vera 'primavera' è legata, in modo molto più significativo, a una prospettiva di mutamento che si presenta dinanzi al percorso esistenziale di Jeanne, Igor e Natacha. Quando Natacha dice a Jeanne: "Parli semplicemente ma con sicurezza. Soprattutto quando parli dei tuoi pensieri. Sembra che la tua mente sia l'unica cosa che ti interessa" si ha l'impressione che Rohmer riferisca questa riflessione a se stesso e alla sua determinazione nel tentativo (riuscito) di trasformare i pensieri in immagini, di offrirci cioè una parola 'vista'. Nella discussione a tavola, tra un boccone e un sorso di vino, si trova ad emergere il bisogno del trascendentale cioè della condizione della conoscibilità degli oggetti che Natacha confonderà con il trascendente. Rohmer sembra divertirsi in modo particolare in questa scena nel mostrare come a Jeanne (e a lui) non interessino tanto le definizioni quanto piuttosto il loro essere; in quanto pensieri che si traducono in scelte di vita e di valori.

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Giancarlo Zappoli
venerdì 19 settembre 2003

Prima parte
Jeanne, uscita dal liceo periferico presso cui insegna filosofia, si reca prima nell'appartamento parigino in cui vive con il suo fidanzato e poi raggiunge il proprio, che aveva momentaneamente prestato a una cugina. La ragazza non ha ancora lasciato la città e quindi Jeanne deve rinunciare a riprendere possesso dei locali. Si reca a una festa dove non conosce nessuno. È avvicinata da una ragazza molto giovane, Natacha, a cui rivela di essere momentaneamente priva di alloggio, considerato che non ama stare nell'appartamento del suo compagno quando lui è fuori città come sta accadendo in quel momento. La ragazza la invita a casa propria dove vive col padre, un funzionario del Ministero della Cultura, spesso via per lavoro. L'uomo si è separato dalla moglie e vive con Eve, una ragazza che è quasi coetanea di Natacha e che è detestata da quest'ultima. Natacha non aveva però un buon rapporto neppure con la madre.
Il mattino dopo, mentre Jeanne è sotto la doccia, sopraggiunge Igor, il padre di Natacha. I due sono imbarazzati ma ci pensa la ragazza a risolvere tutto: invita Jeanne nella loro casa di campagna. Qui la ragazza le racconta di un prestito di una collana a Eve che l'ha restituita ma nessuno sa più dove si trovi. Jeanne, dopo un altro tentativo andato a vuoto di rientrare a casa propria, torna di nuovo da Natacha e si ritrova a tavola a parlare di filosofia con Igor ed Eve. I quattro si danno appuntamento in campagna. Qui esploderanno le tensioni. Eve se ne va all'improvviso e Natacha resta fuori la notte con il suo ragazzo. Igor, rimasto solo con Jeanne, le chiede di potersi sedere vicino a lei, di poterle prendere la mano e di poterla baciare. I tre desideri verranno esauditi ma non potrà essercene un quarto.
Il giorno dopo Jeanne dichiara a Natacha di non credere alla storia legata al furto della collana. Sembra prodursi una frattura irrimediabile quando, del tutto casualmente, si scopre che la collana era finita dentro una scatola da scarpe. Ora tutto sembra chiarito e Jeanne può tornare nell'appartamento che condivide con il suo ragazzo.
«Nel 1781 - Mozart aveva allora venticinque anni - usciva a Berlino un'opera che andava a mettere d'accordo le due scuole e ad aprire un'era assolutamente nuova per la riflessione filosofica: la Critica del La ragion pura di Immanuel Kant. Che Mozart l'abbia ignorata mentre figurava nella biblioteca di Beethoven, a fianco delle opere di Schiller e di Schelling, non rende per nulla il secondo più "kantiano" del primo. Ricorderò, a questo proposito, la risposta di Goethe a Eckermann che gli chiedeva se dovesse leggere Kant: "Kant", disse in sostanza il saggio di Weimar, "ha così profondamente marcato la nostra epoca che tutti sono oggi kantiani senza saperlo". E, in aggiunta: "Dunque, è inutile leggerlo".
Si dirà che l'epoca di Mozart non aveva ancora avuto il tempo di essere marcata dal kantismo. Poco importa. Ho già detto che non mi faccio mettere in imbarazzo dalla psicologia: neppure dalla cronologia. Trovo piuttosto inutili queste "tavole sinottiche" che occupano le prime pagine di certe collezioni di classici scolastici. Non ho mai creduto all'influenza immediata delle diverse forme d'arte o di pensiero le une sulle altre. Tiziano, Rembrandt, Vélasquez sono kantiani, cioè moderni a modo loro. L'idealismo trascendentale ha potuto, presso qualche grande genio, trovare nell'arte la sua espressione implicita, prima di essere formulato esplicitamente, in termini di teoria filosofica» (Eric Rohmer, op. cit., 1996).
Quanto Rohmer afferma nel suo recente saggio getta una luce retrospettiva sul primo film della serie delle "Stagioni". Nel momento in cui chiude le "Commedie e proverbi" per aprire un nuovo capitolo, egli decide in qualche modo di avanzare tornando, quasi, alle origini. La riflessione filosofica riemerge prepotentemente collegando idealmente Racconto di primavera a La mia notte con Maud ma, e questo è ciò che più conta, facendo ruotare la contesa non più su Pascal, ma sul pensiero kantiano. Il filosofo di Königsberg è scelto quale "segno di contraddizione" con cui confrontare il quotidiano, quel quotidiano che, dalla sua comparsa sulla scena mondiale del pensiero, non può più essere letto senza fare riferimento alla sua opera.
Racconto di primavera nasce quindi con una dichiarazione d'intenti ben precisa che però, a quanto è dato di conoscere allo stadio attuale, è già stata oggetto di sistematizzazioni che riconducono la citata "varietà" alla più classica progettualità rohmeriana. In Racconto d'inverno troviamo, infatti, un ribaltamento di prospettiva quasi da manuale rispetto a Racconto di primavera. Se qui si tratta di un uomo che si rapporta a tre donne, là si tratterà di una donna (Félicie) che si confronta con tre uomini mentre, e in questo caso ci sembra di poter dire che si trovi una conferma ulteriore, in Un ragazzo, tre ragazze il gioco tra i ruoli torna a riproporre quello del film iniziale, con tutte le variazioni del caso. In Racconto d'autunno avremo ancora tre donne ma gli uomini saranno due e uno di loro sarà finalmente un personaggio decisamente positivo.
Fin dalla prima inquadratura Rohmer si prende il piacere della citazione contestualizzante. Jeanne, di cui ancora non sappiamo nulla, esce dalla scuola in cui è docente di filosofia: l'insegna ci informa che si tratta del Liceo Jacques Brel. Quale miglior "dedica" all'inizio del film che quella allo scomparso cantautore belga, autore di canzoni dall'ironia pungente ma, soprattutto, dall'intensa malinconia come Ne me quitte pas? Non possiamo certo annoverare Rohmer tra i cultori delle canzonette ma con questa indicazione sembra voglia sottolineare un percorso che sottende questo suo lavoro: così come Brel non scriveva saggi ma canzoni, così lui riflette sul ruolo della filosofia attraverso un film.
Il primo campo che va sgombrato per procedere a una lettura in profondità del film è quello di una ricerca di verosimiglianza, a partire dai segni primaverili. Il mondo di Rohmer è completamente "vero" e (al contempo) completamente "personale" e quindi libero da qualsiasi costrizione che comporti regole o vincoli a cui sottoporsi. Dalla precisa, minuziosa indicazione dei luoghi parigini in cui stava per "andare in scena" la Fornaia di Monceau a Racconto di primavera (per non parlare della Ville Lumière totalmente astratta in cui si muovono i personaggi di Incontri a Parigi) quello che il regista compie è un progressivo, cosciente e programmatico distacco da qualsiasi convenzione. Anche, in questo caso, da quella collegata a un'immagine stereotipa del "primaverile". Della stagione in oggetto c'è ben poco nel décor: qualche fiore e la natura che riprende luce in particolare nella casa di Fontainebleau. La "vera" primavera del film è legata, in modo molto più carico di significazione, a una prospettiva di mutamento che si apre dinanzi a Jeanne, a Igor e a Natacha. Ma il cambiamento, la nuova gemma che spunta sul ramo, deve fare i conti, in natura, con l'ordine ciclico del succedersi delle stagioni. Nella vita degli uomini, in quella di Jcanne in particolare, possibilità di apertura al nuovo e bisogno di solidità e di punti di riferimento si intrecciano fin quasi a confondersi, per poi tornare a distinguersi in modo molto preciso.

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Giancarlo Zappoli
venerdì 19 settembre 2003

Seconda parte
Jeanne è una donna che ha due case, come la Louise di Le notti della luna piena, ma in realtà, nel momento in cui la conosciamo, non ne ha alcuna. La prima, quella in cui vive con Mathieu, è vissuta come luogo del disordine. La seconda, che le appartiene, le viene in qualche misura negata dalla presenza, peraltro consentita da lei stessa, della cugina. È un mondo "altro" quello che si è temporaneamente inserito nel suo microcosmo sconvolgendone i ritmi così come, di lì a poco, il caso la porterà a introdursi in un universo sconosciuto con il quale ripeterà più volte di non volersi immischiare. Una piccola annotazione, prima di proseguire il discorso, è necessaria. Rohmer talvolta si diverte a costruire delle microstorie che potrebbero (perché no?) divenire a loro volta centrali, se solo il regista-demiurgo lo volesse. Quella di Gaëlle è una di queste. La cugina in cerca di lavoro a Parigi, con un innamorato molto più giovane di lei che fa il militare e il cui entrare in scena è causa di imbarazzo (così come, specularmente, lo sarà l'arrivo di Igor nella propria casa), potrebbe tranquillamente trasformarsi in un personaggio rohmeriano a tutto tondo.
Ma torniamo al tema posto sin dall'inizio, da quel bisogno di "mettere ordine" che Jeanne ha, a quei gesti di sistemazione di indumenti che, dopo poco, tornano su se stessi ricollocando tutto nella posizione iniziale. in questa sequenza è posto già il fondamento della costruzione della problematica kantiana in associazione con un tema che verrà sviluppato in Racconto d'inverno. Quest'ultimo è riconducibile all'assenza/presenza di un personaggio. Come e più di Charles, la cui presenza nell'assoluta irreperibilità è almeno segnata da una fotografia e dalla fisicità della piccola Elise, Mathieu condiziona l'esistenza di Jeanne e attrae l'interesse dello spettatore proprio grazie alla sua immaterialità scenica. Non c'è, non si vede, si scorgono il letto sfatto, i suoi indumenti gettati qua e là, ma sta all'origine della crisi profonda che la donna sta vivendo. Jeanne ha bisogno di un giudizio sintetico a priori su cui fondare il proprio senso della vita. Il territorio occupato dal suo compagno è da lei identificato come spazio non proprio in cui affermerà di «vivere nel disordine» vivendo «da sposata senza esserlo». Un disordine che si fa empirico mentre Jeanne vuole sfuggire alla tentazione di risolvere i problemi metafisici con categorie che valgono solo in ambito esperienziale. Nell'incontro con Natacha, in cui il Caso rohmeriano fa il suo ingresso, Jeanne sì sente dire dalla ragazza, poco tempo dopo averla conosciuta: «Parli semplicemente, ma con sicurezza. Soprattutto quando parli dei tuoi pensieri. Sembra che la tua mente sia l'unica cosa che ti interessa». Sembra quasi che Rohmer rivolga a se stesso
questa battuta, intento com'è, ancora una volta ma con determinazione, se possibile, ancora maggiore, a trasformare i pensieri in immagini. Ci riesce, con grande abilità, di lì a poco. Natacha mostra l'appartamento alla nuova amica e quando giungono in cucina Jeanne nota le colonne che un giovane architetto (per il quale la madre della ragazza aveva provato qualcosa di più di un interesse professionale) ha realizzato. Esse costituiscono la «delimitazione di uno spazio che costringe la gente a girarci attorno, proteggendo così il posto dove si mangia». Si tratta di ordine, ma di un ordine così astratto e improduttivo da aver prodotto un "disordine" nell'esistenza dell'allora dodicenne Natacha che aveva letto la rottura con il padre come conseguenza del litigio che la madre aveva avuto con l'architetto dopo aver visto la realizzazione del progetto. La donna aveva, in quell'occasione, abbandonato la famiglia. Le colonne (l'ordine irrazionale che ha in sé il disordine) sono inamovibili, perché penetrano a fondo nel pavimento.
Così come Jeanne ha due case, anche Natacha cerca un equilibrio tra l'abitazione parigina (in cui dichiara di trovarsi bene) e quella di Fontainebleau, che vuole difendere dalle intrusioni di Eve, la giovane compagna del padre, in quanto luogo in cui una madre amata e odiata la teneva sulle ginocchia da piccola. La ricerca di protezione "vera" (il muro di pietra della casa di campagna che "difende dai curiosi") trova in Jeanne un'importante alleata («Gli entusiasmi nel settore dei sentimenti li tengo per me», dirà quest'ultima cercando di difendersi dal crudele bisturi dialettico con cui Natacha cercherà di scavare nella reale consistenza dell'amore da lei dichiarato per Mathieu). Natacha la vuole sostanzialmente usare per eliminare la presenza di Eve che sente come rivale con cui non riesce a competere (Jeanne: «Gli impedisci di essere felice con una donna». Natacha: «Se lui amasse te ne sarei felice. Ma non accadrà mai») perché troppo legata a un'apparenza rivestita di una falsa cultura. La prima battuta che le sentiamo pronunciare a tavola, e che coincide con il suo ingresso "fisico" in scena, è rivolta a Jeanne, ed è estremamente indicativa: «Però può anche non continuare a insegnare». È lei che sarebbe pronta a "insegnare" che cos'è il meglio nella vita. Anche lei vuole laurearsi in filosofia, ma la sua filosofia se la tiene per sé. È il Rohmer, tuttora insegnante, che parla per
bocca di Jeanne quando le fa affermare, a difesa di una scelta didattica che coinvolga gli studenti: «La filosofia che insegno serve per completare e arricchire la loro, non per sostituirla. È difficile ma appassionante. E non approvo quelli che, per renderla più accettabile, si servono di stupidaggini come i luoghi comuni dei giornali, la psicoanalisi o le scienze sociali. No. Io l'affronto di petto, fino in fondo. E loro ne sono incuriositi».
È proprio nella discussione a tavola, tra un boccone e un sorso di vino, che emerge il bisogno del trascendentale, cioè della condizione della conoscibilità degli oggetti che Natacha confonde con il trascendente, facendo segnare un punto a favore di Eve che, subito dopo, sarà posta in crisi dall'esemplificazione del giudizio sintetico a priori. Non sono le definizioni quelle che contano per Jeannel Eric ma è il loro essere in quanto pensieri che si traducono in scelte di vita e di valori. Trascendentale, per Kant, è ciò che il Soggetto mette nelle cose nell'atto stesso del conoscerle, è l'affermazione di una suddivisione di ruoli in cui l'oggetto ruota attorno al Soggetto e non viceversa. Rohmer va alla ricerca di un percorso delle idee nella realtà e riesce anche a esemplificarlo con il "giallo" della collana. Se Natacha, ritenendo colpevole Eve del furto, con il conseguente tentativo di spingere Jcanne tra le braccia di Igor, aveva elaborato una sorta di giudizio analitico a priori, nel momento in cui l'oggetto ricomparirà "casualmente" vedrà vanificarsi tutti i suoi ragionamenti. Il giudizio sintetico a posteriori, proprio dell'empirismo, verrà a sostituirsi al precedente. Rohmer (e Jeanne con lui) sono impegnati in una "detectio" ben più pervasiva: unire l'apriorità, quindi l'universalità e la necessità, con la fecondità e, pertanto, la sinteticità: trovare cioè la possibilità del giudizio sintetico a priori fondativo della scienza. È una ricerca destinata a non chiudersi su se stessa, così come il metodo di insegnamento di Jeanne. Dinanzi alle richieste di Igor (l'avvicinamento, il contatto fisico, il bacio) Jeanne può replicare con delle risposte affermative che però non consentono di andare oltre. Jeanne ha bisogno di comprendere, di andare a fondo, di superare la superficialità di un Igor che vuole "interpretare" i suoi pensieri. In tutto questo riemerge il suo bisogno di ritrovare il luogo in cui rimettere ordine, consapevole che quest'ultimo sarà nuovamente dissolto (dall'arrivo di Mathieu).

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Un gioco pericoloso.
Recensione di Giancarlo Zappoli

Primo lungometraggio del ciclo Racconti delle quattro stagioni che il regista si è prefisso di realizzare. Natasha ha invitato per le vacanze l'amica Jeanne, che è professoressa, per buttarla tra le braccia del padre, perché la ragazza non può sopportare la fidanzatina del genitore. Il gioco di gruppo è reso molto realisticamente secondo il costume del grande regista francese. Pregevole.

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RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
domenica 27 marzo 2011
fedeleto

Dopo aver terminato la serie dei racconti morali, rohmer inizia un nuovo ciclo ovvero :I RACCONTI  DELLE STAGIONI.La storia si ambienta a parigi dove un professoressa di filosofia,prestando la casa ad una cugina rimane senza tetto momentaneamente,ma l'incontro con natasha e le giornate passate insieme riempiranno quel vuoto  facendo iniziare una primavera piacevole,peccato che appena [...] Vai alla recensione »

STAMPA
RECENSIONI DELLA CRITICA
Lietta Tornabuoni
La Stampa

A settant’anni Eric Rohmer, l’amico delle ragazze, inaugura una nuova serie, ha un nuovo titolo per le sue storie: dopo Sei racconti morali e Commedie e proverbi, Racconti delle quattro stagioni. Il primo è questo Racconto di primavera, d’impianto teatrale: un andirivieni d’appartamenti e d’affetti che esprime bene l’instabilità e la leggerezza giovanili.

Roberto Escobar
Il Sole-24 Ore

I miei film - dice Eric Rohmer - sono fatti per essere «ripensati». Non vogliono colpire l'impressione immediata. Chiedono del tempo, almeno una notte per sognarci sopra. Ecco una regola d'oro, non solo per il suo cinema. Un film - o un libro - deve poterci lavorar dentro. Dobbiamo lasciargli la parola, quasi mettendo tra parentesi il nostro giudizio, la voglia di ridurre l'emozione che ce ne è venuta [...] Vai alla recensione »

Luigi Paini
Il Sole-24 Ore

Jeanne, Natacha, Eve e Igor, tre appartamenti a Parigi e una bella casa in campagna, dalle parti di Fontainebleau: ecco gli "ingredienti" usati da Eric Rohmer per confezionare Racconto di primavera. Due personaggi (Jeanne e Natacha) e due case (la dimora parigina della seconda e quella immersa nel verde e nei fiori) hanno assoluta predominanza nell'economia del racconto.

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