“… ma ecco che si avvicina con un salto siamo nel duemila
alle porte dell'universo importante è non arrivarci in fila
ma tutti quanti in modo diverso” Telefonami tra vent’anni (Lucio Dalla)
Parafrasando la bella canzone di Lucio Dalla, che si rivelerà l’emozionante tema musicale del film, agli anni duemila e all’età matura i quattro amici d’infanzia protagonisti dello splendido Il nome del figlio ci sono arrivati, senza dubbio, in modo diverso.
Cresciuti nell’ambiente borghese e aristocratico della famiglia ebrea dei Pontecorvo hanno scelto e percorso strade differenti, pur restando legati da una amicizia tutto sommato sincera.
Sandro (Luigi Lo Cascio) è diventato un professore universitario, intellettualoide e moralista, ma anche precario e frustrato, ridicolmente affetto da social network. Ha finito col sposare proprio Betta Pontecorvo (Valeria Golino), anch’essa insegnante e di sinistra, un po’ repressa e dedicata a tempo pieno ai loro due bambini. Completamente diverso è il fratello di Betta, Paolo Pontecorvo (Alessandro Gassmann), immobiliarista di successo, spaccone e impulsivo, del tutto estraneo alla tradizione politica progressista della sua famiglia. Paolo aspetta un figlio dalla compagna Simona (Micaela Ramazzot-ti), un’attrice televisiva un pò ingenua e coatta, scrittrice di romanzetti erotici, incredibilmente vendutissimi, l’unica estranea al gruppo “storico” degli amici d’infanzia. L’ultimo è Claudio (Rocco Papaleo), musicista jazz, eccentrico e snob, che tutti credono gay solo perché single e gentile nei modi.
Il film si svolge nell’arco temporale di una cena, convocata da Paolo nella casa, gremita di libri e di ricordi, di Betta e Sandro, per festeggiare l’attesa del bambino e annunciarne il nome.
Proprio l’annuncio del nome del figlio, in realtà uno scherzo maldestro di Paolo, scatenerà un confronto veemente e una reazione a catena in cui ognuno rinfaccerà agli altri fatti passati, con invettive e recriminazioni che faranno emergere rivelazioni imprevedibili. Il ritorno alla regia, a sette anni dall’al-trettanto bello Questione di cuore, della cineasta romana Francesca Archibugi si rivela una commedia riuscitissima, brillante e coinvolgente, impeccabile nella forma e ricca di contenuti.
Qualcuno aveva storto il naso, prima di vederlo, perché si tratta di un remake di un film francese (Cena tra amici) di qualche anno fa. In realtà non è proprio così, chiamarlo remake è sbagliato, pri-ma di tutto perché la pellicola transalpina a sua volta si è ispirata a una piéce teatrale (Le prenom). Inoltre, la Archibu-gi e lo sceneggiatore Francesco Piccolo hanno svolto un lavoro di scrittura straordinario, rielaborando i dialoghi e “italianizzando” i vari personaggi. Ne esce uno spaccato antropologico agrodolce e graffiante. L’iniziale dicoto-mia destra-cialtrona-ma-simpatica contro sinistra-idealista-ma-snob lascia ben presto spazio all’umanità e ai sentimenti dei personaggi, esuberanti ma senza scadere mai nel macchiettismo. L’interpretazione corale dei cinque attori principali è semplicemente memorabile. L’accoppiata Lo Cascio-Gassmann, già vista in I nostri ragazzi, è straordinaria per intensità e coinvolgimento, non meno bravi Valeria Golino e Rocco Papaleo. Formidabile anche Micaela Ramazzotti nel personaggio forse più difficile, essenziale per garantire equilibrio e respiro alla storia. Tra l’altro nella scena finale è filmato il vero parto della sua seconda figlia, Anna. La regia della Archibugi è impeccabile, efficace l’utilizzo dei diversi flash-back che ci fanno conoscere il passato e l’infanzia dei protagonisti, ma anche alcune trovate registiche davvero origi-nali come la telecamera nell’elicotterino telecomandato dai bambini con la quale questi osservano gli adulti. Proprio lo sguardo curioso ma distaccato dei bambini, elemento tipico dei film di Francesca Archibugi fin dal suo esordio con Mignon è partita, dà il senso del tramonto di un’epoca storica che oramai appartiene al passato, la società italiana è profondamente cambiata.
Se la nostalgia del passato e delle ideologie rischia di far emergere la parte peggiore (e ridicola) dei cinque prota-gonisti, a riportare la serenità ci pensa l’amicizia, la capacità e la voglia di condividere sentimenti e ricordi.
La vita continua, si rinnova, il testimone passa ai figli, per dirlo con le parole di Lucio Dalla “… aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce, aspettiamo senza avere paura, domani ... e se è una femmina si chiamerà futura”.
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