Morti di salute

Un film di Alan Parker. Con Matthew Broderick, Anthony Hopkins, John Cusack, Bridget Fonda, Colm Meaney Titolo originale The Road to Wellville. Commedia, durata 120 min. - USA 1994. - Penta Distribuzione uscita venerdì 12 maggio 1995.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Zemeckis si è occupato con La morte ti fa bella (1992) dell’ossessione americana per l’eterna giovinezza (via chirurgia plastica e misteriosi intrugli). E Alan Parker con Morti di salute (dal romanzo di T. Coraghessan Boyle) vuole satireggiare le manie salutistiche americane - e non solo americane, come può testimoniare il successo della celebre clinica di Bressanone...
WeIlville è la cittadina del Michigan dove, all’inizio del secolo (siamo neI 1907) è in pieno fulgore la clinica della salute del dottor John Harvey Kellog, inventore di molte cose, tra cui i fiocchi d’avena e la coperta elettrica, quella stessa che Nixon inviterà a spegnere durante la crisi energetica del 1973 (incoraggiando nel contempo gli americani a cucinare nelle vecchie padelle di ferro per ovviare alle carenze di questo minerale nella dieta quotidiana: che ne avrebbe detto il nostro dottore?).
Il dottor Kellog (e cioè Anthony Hopkins con due buffi dentoni da coniglio) è un nemico giurato della bistecca, un propugnatore dell’astinenza sessuale, un praticante dell’adozione di massa (peggio di Mia Farrow): e sarà uno dei suoi quaranta figli adottivi a combinargli un bel pasticcio, mandando in fumo tutta la sua grande “health farm”. Dove nel frattempo sono arrivati i coniugi Lightbody (il nome, programmatico, significa “corpo leggero”). Lei è Bridget Fonda, afflitta dal ricordo di un bambino perduto ma soprattutto fondamentalmente sessuofobica, lui è Matthew Broderick, anoressico (mangia soio pane tostato e acqua) ma soggetto a imbarazzanti e visibili risvegli dei sensi nei momenti meno opportuni.
Lei scoprirà - con orrore del dottor Kellog - i piaceri del “massaggio corporeo” di un altro ciarlatano, il dottor Spitzvogel (una scientifica forma di stimolazione clitoridea, se abbiamo capito giusto). Lui, dopo essersi fatto martirizzare per un po’ dai metodi tedescheggianti del dottore - docce violente, clisteri, faticacce -, e mentre gli ospiti della clinica gli muoiono intorno come mosche per gli eccessi della terapia, riscopre la vita. E nel frattempo l’alleanza tra un aspirante industriale dei fiocchi d’avena (John Cusak) e il figlio matto di Kellog, George (Dana Carvey) fa precipitare la vicenda verso il disastro.
È un disastro nel complesso il film. Alan Parker, sempre portato ad avere la mano pesante, qui ci dà dentro senza freni, in un’esplosione scatologica che non assomiglia neanche da lontano alla provocazione ferreriana di La grande abbuffata (1973), ma si limita a essere un catalogo di sgradevolezze un po’ schifose senza diventare la grande satira del salutismo cui aspirerebbe.
In questo guazzabuglio ben impaginato - la ricostruzione d’epoca è piacevole, i costumi molto belli - restano un piccolo gioiello i due flashback che raccontano l’infanzia di George: due apologhi sull’inutilità dell’educazione autoritaria e sull’ostinazione infantile assolutamente geniali ed esilaranti.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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