Benvenuti in paradiso

Irene Bignardi

L’ordine esecutivo 9066, emesso il 19 febbraio 1942, decretava che tutti i residenti sul territorio degli Stati Uniti di origine giapponese, non importa quale fosse la loro lealtà o l’antichità della loro presenza nella grande “patria di schiavi fuggiaschi”, erano nemici: e che come tali andavano rinchiusi in campo di concentramento.
Fu, quella, una delle tante pagine dolorose della tragedia planetaria che va sotto il nome di Seconda guerra mondiale. E non è un caso se a disseppellirla non è stato un regista americano ma il permanentemente indignato inglese d’America Alan Parker, che già si era occupato del problema razziale in America con il generoso anche se un po’ manicheo Mississippi Burning.
Con Benvenuti in Paradiso il trattamento sfiora il melodramma, ma solo se non si vuole vedere tutto il carico di rispetto, di dolore e di emozioni che sottende il film, e che è stato sollecitato in Parker - ha raccontato il regista - da una fotografia trovata per caso, dove si vedeva una famiglia giapponese-americana spossessata dei suoi beni e avviata a un campo di concentramento.
La storia di Benvenuti in Paradiso è raccontata in flashback dopo la fine della guerra da una mamma alla sua bambina, mentre aspettano il ritorno del padre che la ragazzina non ha mai conosciuto. E il flashback ci porta a otto anni prima, quando Jack Mc Gurn (Dennis Quaid), irlandese, rappresentante di una minoranza operaia sempre ai limiti della legalità e della provocazione all’ordine costituito, approda in California, nella Little Tokyo di Los Angeles, e finisce per andare a lavorare come proiezionista nella sala di proprietà della famiglia Kawamura, specializzata in melodrammi giapponesi.
Il cinema è un modo per conoscere gli altri, suggerisce un po’ ottimisticamente Alan Parker (è anche, purtroppo, un modo per radicare gli stereotipi). Jack impara a conoscere e ad amare il mondo giapponese attraverso le canzoni che sente e risente dalla cabina, mentre Lily (Tamlyn Tornita), la deliziosa figlia dei Kawamura, canta insieme ai suoi fratelli le canzoni della tradizione americana.
E un’illusione che il 7 dicembre 1941 viene distrutta dal trauma di Pearl Harbour - un doppio trauma per chi
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996