Vivere in fuga

   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Al deludente Sono affari di famiglia del 1989, che prometteva divertimento e star (e ha mantenuto solo le star), è certamente da preferirsi il film meno facile e più fuori genere Vivere in fuga, realizzato da Lumet nel 1988 e che il titolo originale Running on Empty, Girare a vuoto, racconta molto bene.
Chi gira a vuoto è una famiglia singolare, composta da f una madre sensibile e tenera (Christine Lahti), un padre
burbero e ragazzone (Judd Hirsch) e da due ragazzini. Sono loro che aprono il film. Il più grande torna a casa. Ha avvertito un segnale di pericolo, fa uscire il fratellino dalla porta posteriore, corre ad avvertire i genitori, saltano tutti sulla station wagon sempre pronta con l’essenziale, e ricominciano a vivere in fuga.
Perché per la famiglia Pope il pericolo è la legge. I genitori sono due terroristi. O meglio, lo sono stati: due figli dei turbolenti e gloriosi anni sessanta, pacifisti, militanti contro la guerra, che un brutto giorno hanno organizzato un attentato dinamitardo contro una fabbrica governativa produttrice di napalm. Non sempre, però, la fortuna aiuta gli audaci e i progetti innocentemente criminali. Un custode che non doveva esserci è rimasto gravemente ferito. L’Fbi li ha messi nella lista dei super ricercati. Ora i Pope vivono in un simulacro di normalità, rischiando ogni giorno di dover partire, di dover cambiare nome, identità, colore dei capelli, mestiere, iscrivendo i ragazzi in scuole nuove dove restano qualche mese, senza mai poter continuare. E se papà e mamma continuano a restare fedeli ai loro ideali, i ragazzi accettano con difficoltà una vita difficile, che li separa dalle abitudini, dagli affetti, persino dalla possibilità di crescere. Come capita al maggiore, Danny,
che ha, al pari della madre, uno straordinario talento musicale e che, nella sua continua fuga, non può svilupparlo come dovrebbe...
Abbie Hoffman, l’ex leader del Movement, in un intervento su “Première”, ha dichiarato che la politica, nei rari momenti del film in cui viene discussa, è talmente piena di cliché da risultare imbarazzante (cosa che peraltro succede in qualsiasi film, libro e simili: forse è accettabile, si fa per dire, solo in presa diretta). Eppure, continuava Hoffman, il ritratto della vita underground è dolorosamente reale. E hanno un sapore straordinariamente reale gli sforzi di Annie, la madre, per creare una fittizia normalità; gli scontri tra le generazioni; il padre che ha insegnato ai figli a negare il principio di autorità e che si trova costretto ad applicarlo per tenere insieme una famiglia che le necessità della vita clandestina minacciano di frantumare; l’incontro, dopo vent’anni, tra la figlia Annie e il padre ricco borghese, prima rinnegato poi capito, e che ora a sua volta capisce; la nostalgia, commentata da uno struggente ballo in famiglia al suono di Fire and Ram di James Taylor, per una stagione piena di ideali che si sono scontrati con il principio di realtà, ma che, non pentiti, Annie e suo marito non vogliono rinnegare.
Vivere in fuga non è un film per nostalgici, però, ma un film per chi è curioso e stanco del cinema convenzionale su temi convenzionali. Lo illumina una straordinaria attrice (Christine Lahti), lo riempie un giovane attore (River Phoenix), così appassionato e intenso da rendere toccante, anticonvenzionale e appassionata la storia d’amore adolescenziale impossibile tra il ragazzo in fuga e una sua compagna che appartiene al mondo regolare. Di solito non sono molto interessanti le storie personali degli attori. Ma a quanto sembra un amore vero è nato tra River Phoenix, figlio di girovaghi dalle abitudini non dissimili da quelli dei Pope, e la giovane, intensa Martha Plimpton che nel film èla sua ragazza; e si sente. Quanto a Lumet, il suo malinconico, lucido revisionismo e la sua rivisitazione critica degli ideali e degli errori di quei formidabili anni gli consentono di raccontare anche un’altra storia: l’ennesima versione del sogno americano, con un lieto fine dal retrogusto amaro. Danny si staccherà dagli altri per seguire il suo talento e il suo amore. E la vicenda dei Pope, il loro vivere in fuga, si rivela anche come storia esemplare di un paese di sradicati, dove l’unica via di scampo è l’affermazione individuale.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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