Eroe per caso

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Un film di Stephen Frears. Con Andy Garcia, Dustin Hoffman, Geena Davis, Joan Cusack, Kevin J. O'Connor.
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Titolo originale Hero. Commedia, durata 115 min. - USA 1992. MYMONETRO Eroe per caso * * * 1/2 - valutazione media: 3,50 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

La leggenda di un Dustin Hoffman mattatore rompi-scatole durante la lavorazione del film non ha impedito che Eroe per caso sia una delle commedie più riuscite, funzionanti e memorabili di questi ultimi anni.
Merito molto dello scrittore e sceneggiatore David Webb Peoples, che ha scritto Blade Runner (con Hampton Fancher) e Gli spietati, e che con Laura Ziskin e Alvis Sargent ha steso il copione a orologeria di questa commedia che riesce a essere insieme sofisticata, cattiva, geometrica ma anche popolare e calda.
Il tocco geniale di Peoples & Co. sta nel fatto che ribaltano, se non la struttura, la fiducia e lo stato d’animo della commedia popolar-populista alla Frank Capra, alla Wellman, alla Preston Sturges, pur facendo finta di imitarla. La differenza è forse semplicemente che mentre Capra, Wellman e Sturges ancora un po’ ci credevano, un amabile cinismo è la veste mentale degli autori di Eroe per caso.
Bernie dunque - interpretato da un magnifico Dustin Hoffman che, capricci o non capricci sul set, resta un attore monumentale - è un piccolo imbroglione capace di sfilare i soldi dal portafoglio del suo stesso avvocato mentre sta arringando per lui.
La sua filosofia di vita si riassume nell’aurea massima: vola sempre basso e non fare nulla per gli altri. Ma l’istinto è istinto: una sera buia e tempestosa Bernie ha la debolezza di cedere all’invocazione di aiuto che proviene da un aereo in fiamme appena precipitato, salva cinquantaquattro passeggeri e sparisce nel nulla con la borsetta di Geena Davis, lasciandosi alle spalle come unico indizio un mocassino numero quarantaquattro e mezzo.
Geena è una star del piccolo schermo (la sua rete si chiama Channel Four, come il gruppo inglese in cui Frears si è fatto le ossa da regista), ossessionata a tal punto dalla mistica dello scoop che mentre un suo intervistato sta per buttarsi dal quindicesimo piano non fa nulla per trattenerlo (“Non sarebbe professionale”) e raccomanda invece al suo cameraman di “panoramicare”. Naturale che decida di lanciarsi alla caccia dell’angelo del volo 104, facendo offrire dalla sua stazione televisiva allo sconosciuto salvatore il premio di un milione di dollari.
L’America ha notoriamente bisogno di eroi, la rete tv di Geena di una buona storia edificante e molta gente di un milione di dollari. Ecco infatti che mentre Bernie si occupa dei suoi problemi legali, si fa avanti, perché casualmente in possesso dell’altro mocassino, un barbone (Andy Garcia), che arriva a prendersi i soldi e a conquistarsi l’amore di un paese avido di buoni sentimenti.
Al vero eroe - un piccolo mascalzone che ha ceduto per debolezza alle tentazioni dell’eroismo - il film oppone così il finto eroe John Bubber, che è un imbroglione sì ma sa incarnare il ruolo - altrettanto indispensabile oggi, si direbbe - di eroe dei media. Tanto che, per l’intensità con cui gli si rivolge, arriva a risvegliare un ragazzo dal corna profondo.
Insomma, possiamo essere tutti eroi se ci dimentichiamo per un attimo di noi stessi e se ce ne danno l’occasione. Ma ciò non significa che lo spirito di fondo del film sia per questo meno amarognolo e pessimista sulla umana natura. Frank Capra è la vera vittima di questa storia. L’ha ucciso non tanto la brillante sceneggiatura di Peoples quanto la cultura della mediocrazia, l’arroganza della società del consenso e del sentimento pilotato.
Tra una battuta al vetriolo e una al veleno di questa commedia nera, impietosa, senza indulgenze, brillano un Dustin Hoffman d’eccezione, un Andy Garcia non da meno, e una frenetica Geena Davis, che “pensa di essere una persona, ma è solo una cronista” (e invece...). È l’America, ma per una volta ricorda da vicino anche casa nostra.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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