My Little Eye

Un film di Marc Evans. Con Kris Lemche, Stephen O'Reilly Horror, durata 95 min. - USA, Gran Bretagna 2002. MYMONETRO My Little Eye * 1/2 - - - valutazione media: 1,70 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Roberto Nepoti

La Repubblica

Mentre le news cinematografiche ci annunciano allarmanti reality-show in formato grande schermo, arriva dalla gran Bretagna un film di fiction - My little eye -che porta alle estreme conseguenze la logica del programma televisivo "Grande Fratello". L'interesse primario dello show ("chi andrà a letto con chi?") si ribalta nella domanda "chi dei partecipanti morirà per primo?". I cinque ragazzi (due femmine, tre maschi) che hanno accettato di vivere per sei mesi in una grande casa isolata dal mondo sono entrati, infatti, nella logica di un altro grande fratello: quello della Decima vittima, il celebre intrigo fantascientifico dove la gente si ammazza per intrattenere il pubblico. Soltanto, senza esserne informati: perché gli organizzatori hanno promesso loro un milione di dollari a testa se resteranno in gioco l'intero periodo, ma non hanno aggiunto di averne fatto le star di uno spettacolo "snuff" per scommettitori sadici, ovviamente illegale e diffuso soltanto tramite Internet. Abbastanza sadico anche lui, il regista Marc Evans ci mostra gli ultimi giorni dei malcapitati nell'ambiente claustrofobico della casa, mentre i viveri si esauriscono, sostituiti da pistole e altri inviti al suicidio, affiorano vecchi sensi di colpa, i nervi si tendono e saltano, tutti sospettano di tutti e a una ragazza può accadere di svegliarsi con accanto un martello insanguinato. Piuttosto interessante dal punto di vista sociologico (perché, in un'epoca in cui ciascuno rivendica appassionatamente la libertà di manovra, tanti sono disposti a farsi chiudere in piccoli lager? solo per il danaro?), My Little Eye lo è meno da quello psicologico (le motivazioni dei personaggi restano approssimative) e linguistico. Prevedibilmente, i cinque protagonisti sono inquadrati con telecamere sparse qua e là, in immagini sporche, sgranate e malamente colorate, per imitare la bassa definizione del medium e mettere lo spettatore reale (al cinema) nella posizione dello spettatore virtuale (in Internet). Da La Repubblica, 10 maggio 2003


di Roberto Nepoti, 10 maggio 2003

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