City of Ghosts

Roberto Nepoti

Complice-vittima di una frode assicurativa, il truffatore Jimmy Cremmins (Matt Dillon) segue la pista di Marvin (James Caan), suo mentore e padre putativo, che ha preso i soldi ed è scappato in Cambogia. Su indicazione dell'equivoco Kaspar (Stellan Skarsgard) Jimmy giunge a Phnom Penh, dove incontra un intero campionario di tipi poco raccomandabili di produzione nazionale ed estera: pseudo-hippies strafatti di stupefacenti, picchiatori locali a pagamento, invalidi menagrami, malfattori francesi. Il luogo in cui tutti si danno convegno è l'albergaccio di Emile (Gérard Depardieu), regno di pitoni e scimmie ladre. Tutti sembrano avercela con Jimmy; salvo Sok (Sereyvuth Kem), un ciclo-tassista locale che gli diventa subito devoto, e Sophie (Natascha McElhone), un'archeologa esperta nel restauro di statue del Buddha di cui l'avventuriero s'innamora, ricambiato. L'arrivo in Cambogia è promettente: girato per intero "on location", il film (il primo dopo Lord Jim) restituisce con sudata efficacia il senso di spaesamento semi-onirico che quei luoghi inducono nel visitatore occidentale, la sua difficoltà d' adattarsi a un genere di "realtà" molto diversa da quella cui è abituato. Poi le situazioni cominciano a ripetersi più e più volte e il film si avvita su se stesso, fino a un sottofinale che improvvisamente prende a moltiplicare i colpi di scena: non tutti sorprendenti, per la verità; se è vero che, in più di un caso, lo spettatore mangia la foglia molto prima del protagonista. Epilogo all'insegna del pulp, con un'ecatombe di morti ammazzati. Malgrado i cinque anni spesi per scrivere la sceneggiatura e l'aiuto della valida penna di Barry Gifford, collaboratore di David Lynch, il film fortissimamente voluto da Matt Dillon non è granchè. La storia aspira un po' a Joseph Conrad, un po' a Graham Greene; invece si blocca al livello di un film d'avventure esotiche stile Hollywood del tempo che fu, una "serie B" di gusto vecchiotto realizzata, anziché in studio, nei luoghi autentici dell'azione. Il vero problema, però, è che il regista esordiente non sa bene dove posizionare la macchina da presa: così contenta di metterla un po' dove capita, soffermandosi di preferenza su se stesso. Per uno che ha avuto la fortuna di recitare nei film di Francis Coppola e Gus Van Sant è troppo poco: se al momento giusto fosse stato più attento a quel che facevano loro, oggi saremmo tutti più soddisfatti. Da La Repubblica, 07 giugno 2003


di Roberto Nepoti, 07 giugno 2003