Tutto l'amore che c'è |
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Un film di Sergio Rubini.
Con Sergio Rubini, Gérard Depardieu, Margherita Buy, Damiano Russo, Francesco Cannito, Marcello Introna, Michele Venitucci.
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Commedia,
durata 93 min.
- Italia 2000.
MYMONETRO
Tutto l'amore che c'è
valutazione media:
3,52
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Roberto Nepoti
La Repubblica
Quasi certamente la sindrome di Peter Pan è una patologia che alligna con particolare virulenza nel mondo del cinema: i nostri registi, in ogni caso, non riescono proprio a fare a meno del bel tempo perduto della gioventù. Ci si è messo anche Sergio Rubini con Tutto l'amore che c'è, storia di ragazzi e ragazze in un paesino pugliese che pare il remake del Radiofreccia di Luciano Ligabue ambientato nel Sud anziché nel Nord della penisola a forma di stivale. Vedi gli anni Settanta, le radio private, le educazioni sentimentali, il mix di commedia e episodi tragici, i personaggi di contorno e via elencando. Un gruppo di ventenni perlopiù nullafacenti (salvo suonare in una piccola band), grandi frequentatori di bar e infaticabili teorizzatori sui rapporti con le femmine, è sconvolto dall'arrivo di tre sorelle, figlie di un ingegnere monzese inviato in Puglia per l'apertura di una nuova fabbrica. Emancipate, acculturate, sessualmente disponibili, Gaia e le sorelle affascinano gli amici intrecciando relazioni con due di loro (gli unici del gruppo con la fidanzata): il bel Nicola (Michele Venitucci) e Vito, studente di ingegneria. Osservati attraverso gli occhi dell'adolescente Carletto (Damiano Russo), figlio di un impiegato con l'anima del drammaturgo (Sergio Rubini) e di una casalinga accanitissima fumatrice (Margherita Buy), gli avvenimenti hanno un tono perlopiù dolceamaro, venato della inevitabile nostalgia per il tempo che fu. Qui e là, però, giungono a reclamare la loro parte il dramma (un tentativo di stupro) e la tragedia (un incidente stradale). Non sono quelle drammatiche le parti migliori del film; anche perché Rubini le sottolinea con enfatici montaggi paralleli immettendo scarti troppo vistosi rispetto al tono generale, che è cordiale e leggero. Restano appena suggeriti, sullo sfondo del presepe generazionale, i temi politico-sociali: la disoccupazione, l'ennesima truffa della fabbrica sovvenzionata dalla cassa per il Mezzogiorno, destinata a non entrare mai in attività. Anche il finale - protagonista il personaggio semiautobiografico di Carletto - ribadisce che il tono della rappresentazione in equilibrio tra pessimismo e ottimismo non è affatto casuale, ma il risultato di una precisa scelta di Rubini (sceneggiatore assieme a Domenico Starnone). Resta invece tutto da spiegare il senso della presenza nel film di Gérard Depardieu, grande attore mortificato nell'abominevole "cammeo" di Molotov, strano soldato veterocomunista che compare a dorso d'asino brandendo una bandiera rossa.
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