Le ceneri di Angela

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Un film di Alan Parker. Con Robert Carlyle, Ciaran Owens, Emily Watson, Pauline McLynn, Joe Breen.
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Titolo originale Angela's Ashes. Drammatico, durata 145 min. - USA, Gran Bretagna 1999. MYMONETRO Le ceneri di Angela * * * - - valutazione media: 3,45 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Alan Parker è un brillante regista a corrente alternata. Può fare cose molto belle come "The Commitments", belle come "Evita" o insensate come "Morti di salute". In ogni caso nessuno gli può negare un grande mestiere e una speciale bravura nel dirigere i ragazzi. Eppure, anche se il libro pullula di ragazzi e del loro modo di vedere e di parlare, doveva capire che Le ceneri di Angela era un romanzo da lasciar perdere, o, perlomeno, che arrivando sullo schermo avrebbe perso in maniera drammatica. Il romanzo quasi autobiografico di Frank McCourt, il signore di Limerick, Irlanda, che con questo primo libro scritto a sessant'anni ha vinto il Pulitzer e dato inizio a una fortunata carriera letteraria (ma il secondo suo libro non è stato accolto altrettanto bene) ha infatti una "voce", un tono, un gergo tutto suo, irriproducibile. Ed è un tono ironico, allusivo, allegro, a contrasto con la terribile storia di povertà che racconta, un tono che ha fatto amare il romanzo dagli Usa al Giappone e dato inizio a quella che si chiama "la caccia ai McCourt", la ricerca dei luoghi veri in cui si è svolta la storia della famiglia. Ma il tono e l'ironia si perdono nel passaggio allo schermo. E la cosa non è indifferente, perché di fatti, nella storia di Angela e dei suoi figli, ce ne sono pochi: la famiglia ritorna da Brooklyn a Limerick, di cui è originaria, muoiono tre bambini e una bambina (il film riduce un po' il numero), il babbo è sempre disoccupato e si beve ogni penny che passa da casa, poi scompare, la mamma se la fa con un brutto individuo, Frank cresce, sopravvive all'educazione cattolica, trova dei lavoretti, mette da parte dei soldi, ritorna a Brooklyn. E diventerà Frank McCourt. Si parte con una citazione letterale dal libro ("Quando ripenso alla mia infanzia mi chiedo come ho fatto a sopravvivere. Era, naturalmente, un'infanzia infelice: le infanzie felici non val la pena di raccontarle. Peggio delle solite infanzie infelici ci sono le infanzie infelici irlandesi. E ancora peggio le infanzie infelici irlandesi e cattoliche") e precipitiamo in un mondo iperrealista di povertà (Dickens incombe, ma il suo humour viaggiava più lontano), in un teatrino d'epoca tutto grigioverde (ma la fotografia di Michael Seresin è molto bella), in un racconto paratattico (Alan Parker e Laura Jones, la sceneggiatrice di Jane Campion, hanno lavorato di addizione e di ripetizione). L'Irlanda è notoriamente piovosa. Limerick è, si dice, la città più piovosa d'Irlanda. E su Limerick, nel film, piove sempre, ettolitri ed ettolitri di pioggia. Piove su Emily Watson, più contenuta del solito in un personaggio che è una "tinca" (non fa altro che fumare, da qui "le ceneri" di Angela). Piove su Robert Carlyle, che non è convincente per un minuto nel suo ruolo di perdente ubriacone. Piove sui ragazzini McCourt e su Frank nelle sue varie età - tutti bravi, carini, commoventi, ma senza un briciolo della salutare durezza che hanno nel libro e che i loro omologhi avrebbero avuto, quarant'anni dopo, in "The Commitments". Non piove, chissà perché, la sera dell'eclissi. Risplende il sole sulla statua della Libertà quando finalmente Frank, con un piccolo imbroglio moralmente giustificabile, parte per l'America, e ci lascia con il rimpianto di aver visto un onesto film (di due ore e mezzo) che non lascia traccia.
Da La Repubblica, 12 dicembre 2000

di Irene Bignardi, 12 dicembre 2000

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