Paolo D'Agostini
La Repubblica
Non bisogna filmare la guerra in modo "poetico": l'orrore è inesprimibile". Lo dice il russo Aleksandr Sokurov a proposito del suo Alexandra.
Un'anziana donna affronta un viaggio molto disagiato per visitare il nipote Denis, capitano, e trascorrere due giorni e tre notti nel suo accampamento. In Cecenia. Il fronte è vicino ma non si vede. Il ragazzo mostra alla nonna l'interno di un carroarmato, la pulizia dei kalashnikov. È tutto quello che il film mostra di vita militare. Per il resto la donna s'intrattiene pietosa e burbera con i soldati: ragazzini che divorano le cose buone che la nonna regala loro. Si allontana anche dal campo, va al mercato del paese. C'è chi è diffidente, chi è ostile e finge di non capire il russo, ma ci sono le donne, una in particolare che la invita a casa sua a riposarsi, con le quali si crea immediata intimità: la semplice e universale comunicazione di tutte le madri, mogli, sorelle, nonne, figlie.
Non un filo di giustificazionismo, niente propaganda. Il grande ermetico della trilogia dei dittatori vira verso una lingua accessibile ed emotiva. Lo ricorderemo accanto ai grandi film contro la guerra di Kubrick, Renoir, Monicelli, Rosi.
Da La Repubblica, 30 maggio 2008
di Paolo D'Agostini, 30 maggio 2008