Giuseppe Marotta
Per cucinare questa apprezzata e antica minestra cinematografica, volgarmente detta «Arrosto di pagani» o «Infedeli, gaudenti e persecutori alla griglia», pigliate anzitutto Mario Bonnard e spruzzategli nell'orecchio, mista a sale, pepe e noce moscata, la diceria secondo la quale egli sarebbe, dai tempi di Cinque a zero (1932), un regista. Il Bonnard, convenientemente arrosolatosi nella teglia di un copione unto di reminiscenze liceali e rimbombante di «Ave!» e di «Vale!», si affretterà a mettere sul tagliere migliaia di quintali di stoppa e di cartone, allo scopo ornamentale di ricavarne templi, suburre, statue, colonne, triclinii, circhi e prigioni, sulla falsariga di un classicismo risalente al 1910 e a Pastrone: ciò che darà al complesso intingolo in preparazione gli effluvi e gli aromi dei tartufi cinematografici più valutati dai buongustai dell'infima provincia d'ogni nazione. [...]
di Giuseppe Marotta, articolo completo (3254 caratteri spazi inclusi) su 1963