In The Cut

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Un film di Jane Campion. Con Meg Ryan, Mark Ruffalo, Kevin Bacon, Jennifer Jason Leigh Thriller, durata 120 min. - USA 2003. MYMONETRO In The Cut * * - - - valutazione media: 2,24 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Il torbido sesso di Meg Ryan nel cuore oscuro di New York

di Natalia Aspesi La Repubblica

Ragazze sui trentacinque, sole, a New York. Con un lavoro interessante, e una gran voglia di sesso: che sia Sex and the City la serie televisiva americana (da noi su Canal Jimmy) più porcella e carina degli ultimi anni? Purtroppo no, è In the cut (stesso titolo nella versione italiana, intraducibile), della mitica regista neozelandese Jane Campion, torbida versione cinematografica di un angoscioso thriller erotico del 1995, uscito in Italia tre anni dopo col titolo allusivo, Dentro, e appena ristampato da Guanda. Autrice Susanna Moore, una bella ex-modella oggi ultracinquantenne, anche lei, come l'altra bella quasi cinquantenne Campion, fissata su storie di donne inquiete, sul sempre sfuggente appagamento sessuale femminile, sulla incomunicabilità (ahi!) tra donna e uomo. Cos'è una donna, dice il poliziotto Rodriguez, se non "un buco, due tette e un cuore che batte. Delle tette si può fare a meno. Anche del cuore che batte". Una storia abbastanza simile, completa di finale horror, l'aveva scritta vent'anni prima Judith Rossner, e il suo romanzo, In cerca di Mr. Goodbar, era diventato nel 1977 un film, protagonista, scopona sfortunata, Diana Keaton.
Forse saremo stanche d'orrori e di tragedie, o semplicemente di serial killer che stuprano ammazzano e smembrano ragazze, fortunatamente più nei film che nella realtà: ma questa volta, che peccato, viene naturale, tra l'opera artistica e quella commerciale, scegliere senza esitazioni la seconda. Di qua c'è la New York dei bei locali e delle serate eccitanti, delle ragazze spiritose e belle che scrivono su Vogue e fanno pubbliche relazioni per grandi alberghi, vanno pazze per la moda e fanno l'amore con allegria, disinvoltura e smemoratezza, con uomini dall'aria profumata e sofisticata che regalano diamanti. Di là c'è Downtown con i sordidi topless bar e una folla di afroamericani ciccioni e biechi, ragazze sudate coi capelli sporchi che insegnano scrittura creativa a maschiacci di colore di aspetto criminale e frequentano poliziotti rustici e incolti: se poi vedono uno che potrebbe tagliar loro la gola, subito ansimano e con faccia dolente lo assaltano arzille pretendendo sporcaccionate che gli americani (e forse i nostri cattotalebani come il terrorizzante Socci) considerano estreme.
Pettinata come, nel 1970, Jane Fonda in Una squillo per l'ispettore Klute, capelli e lunga frangia dritti e castani, la povera Meg Ryan, solitamente tanto graziosa e romantica, deve aver pensato, con un ruolo così deprimente, mi prenderò certo un Oscar: tutto è possibile, ma a parte le porcherie che sussurra e le masturbazioni recitate con una certa schizzinosità, l'espressione del suo bel viso è una sola: attonita, lacrimosa, mai un briciolo di soddisfazione neanche mentre ci sta.
Lei è Frannie, professoressa musona che si fa toccare dagli studenti con la scusa che sta scrivendo un libro sullo slang dei bassifondi giovanili: nel sotterraneo di un tetro bar, andando alla ricerca di un gabinetto, scorge la sagoma di un uomo seduto che ha tra le gambe la testa di una rossa dalle unghie laccate di blu, impegnata a farlo gemere (scena essenziale ma tagliata nella versione americana): malgrado la distanza e il buio, la professoressa, occhio voglioso di falco, scorge un minuscolo tatuaggio sul di lui polso: lo stesso che vedrà su quello del poliziotto Malloy, che essendo Mark Ruffalo, è la cosa più interessante del film, uno dal fascino più erotico di Russell Crowe.
Come in tutti i thriller di questa terra, Malloy è incaricato di cercare l'assassino della rossa e di altre donne, ammazzate e "disarticolate come polli", si premura di spiegare all'incantata Frannie. La quale sembra pensare soprattutto a quella cosa là (la fa anche al telefono, se richiesta), ed è attratta dal peraltro magnifico poliziotto perché immagina sia l'assassino, perché niente la manda in deliquio come il senso del pericolo. Dice, nel romanzo scritto in prima persona, "Io che non volevo appartenere a nessuno. Io che non volevo essere tenuta ferma, io che non volevo essere messa sotto, né che ciò che era chiuso venisse aperto e il cuore infranto". Joan Fontaine in Il sospetto (1941), Glenn Close in Doppio taglio (1985), Al Pacino in Seduzione pericolosa (1989), Michael Douglas in Basic Instinct (1992) erano convinti che la persona amata fosse assassina, Frannie insomma non è la prima in questo genere di masochismi. Nel frattempo l'amata sorellastra Pauline (Jennifer Jason Leigh) vive ciabattando sopra una specie di bordello rumoroso, in un disordine allucinante e, sempre spettinata e disperata, agogna incontri sessuali ravvicinati di ogni tipo: Frannie ne troverà la testa recisa sotto la doccia e fatta su nella plastica, come un mazzo di fiori. È chiaro che il serial killer si sta avvicinando alla frastornata professoressa, o le è addirittura già molto vicino.
Il film ha un happy end sia pure sanguinolento: evidentemente Campion e Moore, che ha partecipato alla sceneggiatura, non se la sono sentita, per fortuna, di attenersi al finale del libro che nel '95 era quasi intollerabile per efferatezza agghiacciante, e adesso con tutto quel sangue è molto Tarantino (Kill Bill) e Kitano (Zatoichi), cioè non più impressionante di un cartone animato. Si capisce perché Nicole Kidman, che aveva acquistato i diritti del romanzo e doveva essere la protagonista, abbia deciso di rinunciare, restandone coproduttore: non certo per il sesso, il nudo, il ruolo antipatico (era svestita sul palcoscenico di Blue Room, in film come Eyes wide shut, e La macchia umana, ed era molto cattiva in Dogville), ma perché deve aver capito che malgrado la grande finezza e bravura della regista, qualcosa non quadrava.
Campion gira in modo magnifico con la camera a mano, rivela una New York torva, miserabile e funerea eppure dolce e poetica nella pioggia di petali di fiori dagli alberi, nei lampi di sole sulle case, nei suoi colori e nei suoi bui: ha il talento visivo di sempre, il cuore femminile e la capacità di rivalsa di sempre. Le sue protagoniste, da quella meravigliosa del suo primo film "Sweetie", a tutte le altre, in Un angelo alla mia tavola, in Lezioni di piano, Ritratto di signora, Holy Smoke, raccontano i disagi, i desideri, le fragilità, il coraggio, il bisogno d'amore, la solitudine delle donne in modo esemplare e inquietante. Campion ha detto che In the cut "è una meditazione sul mito dell'amore nella società moderna". Ma questa volta Frannie un po' l'ha tradita, è andata troppo in là nella desolazione lunatica, nella fame fisica, nel destino privo di una vera speranza. Forse siamo noi che non ce la sentiamo più di sprofondare in questo deserto, e magari crediamo o c'illudiamo che l'amore sia anche felicità.

Da La Repubblica, 17 dicembre 2003


di Natalia Aspesi, 17 dicembre 2003

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