Ha dimostrato in Harakiri, premio speciale della giuria a Cannes nel 1963, di non essere indegno dei migliori maestri nella confezione di un film in costume, e particolarmente di un film-spada. Ma la vena di polemica sociale è assai pronunciata in questo regista, e Harakiri risulta una delle più vigorose demistificazioni del mondo dei samurai, del loro codice d'onore e della tecnica del suicidio feudale (con allusione indiretta ai moderni kamikaze) che siano state prodotte dal cinema giapponese. I precedenti film di Kobayashi erano tutti moderni, e d'intonazione critica: come La stanza dai muri spessi (1953) sui criminali di guerra, Io ti comprerò (1956) sul mercato dei giocatori di baseball, Fiume nerd (1957) sulla corruzione fiorita attorno alle basi americane. Poi venne la trilogia La condizione umana (1958-'61) la cui prima parte, debitamente mutilata, è nota anche in Italia col titolo Nessun amore è più grande (le altre due parti si chiamano Strada per l'eternità e Preghiera di soldato): accusa alla disumanità della guerra voluta dalle caste militari nipponiche, e in particolare al trattamento inflitto ai prigionieri cinesi nei campi di concentramento stabiliti dagli occupanti in Manciuria. Dopo Harakiri, Kobayashi ha sentito il bisogno di darsi un poco alla fiaba, girando impeccabilmente - un po' sulla linea del Mizoguchi di Ugetsu monogatari - alcuni orripilanti racconti di fantasmi in Kwaidan (Storie spaventose), nuovamente premiato dalla giuria al festival di Cannes nel 1965.