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María Corda

María Corda (Maria Antonia Farkas) è un'attrice ungherese, è nata il 4 maggio 1898 a Dévà (Ungheria) ed è morta il 2 febbraio 1976 all'età di 77 anni a New York City, New York (USA).

Croce e delizia di Alexander Korda, sposato in Ungheria poco prima di abbandonare il paese a seguito della caduta della Repubblica dei Consigli, in cui lei e il marito erano stati coinvolti, Maria Corda, che aveva scelto il cognome dal motto ««sursum corda» aveva frequentato una scuola di danza e svolto anche una breve attività teatrale prima di esordire sullo schermo in alcuni film della casa cinematografica budapestina «Corvin», per la quale lavorava come regista il suo futuro marito.
Nel 1919, diretta da Korda, Maria appare in quattro film, tra cui Fehér Rozsa (La rosa rossa), sulle lotte tra Sciiti e Sunniti in Medio Oriente, e Ave Caesar! un film violentemente antiasburgico. Lasciata l'Ungheria, mentre il marito trova lavoro in Austria con la Sascha, Maria se ne venne in Italia dove, scritturata dalla Do.Re.Mi. di Lucio D'Ambra, fu protagonista di tre film diretti da Alfredo De Antoni, Totote, Sogno di unta notte d'estate a Venezia e La vita e la commedia (tutti realizzati nel 1921), in coppia con Alberto Capozzi. I film vennero giudicati opere piuttosto sdolcinate, ma i due protagonisti, in special modo la Corda «suggestiva e formosa attrice», vennero elogiati e ritenuti ben affiatati.
Nel corso degli anni Venti, Maria fu in continuo andirivieni tra l'Austria e la Germania, quasi sempre diretta dal marito, affrontando con disinvoltura i ruoli più disparati: commedie brillanti, Der Tänzer meiner Frau (1925), Eine Dubarry von Heute (1926), Madame wünscht keine Kinder (1926), drammi mondani, Das unbekannte Morgen (1923), Jedermann's Weib (1924), fu Dalila in Samson und Delila (1922), Maria Vetsera in Tragödie im Hause Habsburg (1924).
Nel 1925 tornò in Italia per uno stravagante film di Amleto Palermi intitolato L'uomo più allegro di Vienna. «L'arte di Maria Corda - scrive Dino Terra su "Il Tevere'' - ha un campo spazioso per manifestarsi e rifulgere degnamente accoppiata all'arte di Ruggero Ruggeri, suo compagno nel film». Tutto il contrario invece per Gli ultimi giorni di Pompei (1926). La sua interpretazione della schiava cieca viene considerata «operettistica e sgradevolmente sdolcinata».
Prima di seguire il marito negli Stati Uniti, Maria se ne andò a Londra per Tesha (1928), scabrosa storia di una russa con un figlio illegittimo che ebbe qualche noia con la censura ed uscì con un certo ritardo, ma fu molto ben accolta dal pubblico. A Hollywood, Korda riusci ad imporla al rispetto della critica, dirigendola con mano maestra in The Private Life of Helen of Troy (1927) e in Love and the Devil (1929). Comunque è onesto riconoscere che il successo di Maria Corda fu certamente dovuto più alla sua splendida allure che alle sue qualità artistiche. «Maria Corda è una bella donna - scriveva Angelo Spada nel 1922 - modellata con tutte le regole dell'arte e starebbe bene anche nuda su un plèuto Marmoreo, nell'arco di una villa del Rinascimento. Buona attrice se non le si chiedono preziosismi e sforzi drammatici, è una statua che si anima e si riscalda fino al calore umano, ma non bisogna chiederle più di 35° al termometro artistico».
Nel 1930 divorziò da Korda e si ritirò a vita privata: fino alla fine dei suoi giorni s'è divisa tra New York e la Costa Azzurra, godendosi allegramente i ricchi alimenti che le erano stati assegnati.

Da Le dive del silenzio, Le Mani, Genova, 2001.

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