Il personaggio di donna bella ed esplicitamente sensuale, dominata da una tenace ambizione e da un cinico egoismo, la cui presenza è assai frequente nella letteratura e nel cinema americano, ha avuto in Betty Compson una delle più aderenti interpreti.
In verità, gli inizi non facevano presagire una tale caratterizzazione: di lontane origini norvegesi e avviata sin da bambina allo studio del violino, Betty aveva esordito quindicenne ad accompagnare le proiezioni di film muti a Beaver City nello Utah, dove era nata. Più tardi, prima da sola, poi assieme ad altri tre musicisti aveva girato per il West, esibendosi come violinista nei locali pubblici.
Fu un attore conosciuto per caso, un certo Bradbury, che le propose di fare del cinema e così, a diciotto anni, apparve in una delle «Christie Comedies», fílmetti della durata di una ventina di minuti che mandavano in solluchero le platee di provincia.
Capelli biondo-castani, labbra carnose, occhi di una chiarezza luminosa, un volto rotondetto, capace di assumere sia vezzi birichini che un cipiglio corrusco e - come ci informa un suo biografo - la protezione di due tra i registi di maggior talento della Hollywood di quei tempi, furono gli atout che permisero alla volitiva Betty di crearsi e di mantenere per lungo tempo una posizione di rilievo nello stardom americano.
Con Al Christie, Betty interpretò tra il 1915 e il 1918 oltre sessanta comiche in due bobine, passando poi definitivamente al lungometraggio. E qui incontrò il primo dei due registi che le consentirono di spiccare il volo più in alto: George Loane Tucker ne fece una perfetta «gangster's moll» in The Miracle Man (1919), un ruolo che riscosse ampie lodi dalla critica e le fruttò un lungo contratto con la Paramount, dove venne utilizzata da sperimentati registi come William Desmond Taylor (The Green Temptation, 1922) o Herbert Brenon (The Rustle of Silk e The Moman with Four Faces, 1923). Quando da Londra le offrirono mille sterline alla settimana,, Betty s'imbarcò immediatamente per l'Inghilterra e vi girò quattro film, tre diretti da Graham Cutts, uno da Maurice Elvey, ma tutti sceneggiati dal giovanissimo Alfred Hitchcock (che si ricorderà di lei, offrendole nel 1941 una divertente caratterizzazione in Mr. and Mrs. Smith).
Loane Tucker morì nel 1922 mentre la dirigeva in Ladies Must Live; a lui subentrò il secondo angelo custode, il regista James Cruze, che divenne suo marito nel 1925, dopo averla diretta in The Enemy Sex (1924), nella parte d'una ambiziosa chorus-girl, in Beggar on Horseback (1925) dalla fortunata commedia di Kaufman e Connelly, e nel costoso western The Pony Express (1925). Ormai lanciatissíma, Betty sarà una ballerina viennese in Love Me and the World is Mine (1928) di Dupont, di nuovo una pupa del gangster in Big-City (1928) con Lon Chaney, la compagna del rude Bancroft in The Docks of New York (1928) di Sternberg, la donna desiderata da Stroheim in The Great Gabbo (1929). Passata la quarantina, messa su un po' di carne, Betty passò gradualmente da protagonista ai secondi ruoli e, sempre in corsa dietro i dollari, accettò parti d'ogni genere, molto spesso in film realizzati alla Poverty Row, presso le case di produzione più miserabili.
Quando venne l'ora di ritirarsi - l'ultimo suo film è del 1948 - Betty si sposò con un ex-boxeur. Insieme crearono un'impresa tanto singolare quanto redditizia: una fabbrica di posaceneri «personalizzati».

Da Le dive del silenzio, Le Mani, Genova, 2001.