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Milly

Milly (Maria Carla Emilia Mignone) è un'attrice italiana, è nata il 26 febbraio 1905 ad Alessandria (Italia) ed è morta il 22 settembre 1980 all'età di 75 anni a Viterbo (Italia).

Suona solo per lei... o violino tzigano

A cura di Fabio Secchi Frau

«Suona solo per me, o violino tzigano, forse pensi anche tu a un amore laggiù sotto il cielo lontano». Ecco come entrò nella storia dello spettacolo Milly, cantante, ballerina, attrice teatrale e cinematografica che ormai è stata largamente (ahinoi) dimenticata da tutti, ma che prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale fu considerata una "diva" dall'Italia intera e fu notoriamente apprezzata anche negli Stati Uniti. Altissima, atletica, instancabile artista che, per la sua straordinarietà, incuteva sempre una certa soggezione fra gli addetti ai lavori, ma che aveva invece pochi vezzi. Il più singolare era quello di vestire costantemente di chiffon, senza dimenticare la passione per la sigaretta. Dire che la sua carriera fu sorprendente è dire poco... e infatti noi diciamo un pochino di più.
Suo padre se ne andò via di casa nel 1907, lasciando sua madre da sola ad accudire lei e i due fratelli: Salvatore detto "Totò" (che sarà poi la spalla del ben più celebre Totò, il re della risata italiana) e Mitì Mignone. Dopo aver trovato un posto come cassiera al teatro Fiandra, debuttò con i fratelli come trio di avanspettacolo dove lei canta, la sorella balla e il fratello suona. Un inizio arduo per i tre ragazzi che non sapevano niente del mondo dello spettacolo, ma che li portò, in pochi anni, al Trianon di Torino. Continuarono la loro carriera all'interno della Compagnia dei fratelli Schwarz con riviste come "Wunderbar" e "Al Cavallino Bianco" assieme ad artisti del calibro di Ottaviano Spadaro, Isa Bluette, i fratelli De Filippo e Umberto Melnati, poi nella rivista "Broadway" con Camillo Pilotto. Una volta sciolto il trio, fu soubrette della Compagnia Za Bum all'Excelsior di Milano, diretta allora dal regista Mario Mattoli (che sposerà poi la sorella Mitì), e si affermerà con un repertorio di canzoni allora considerate provocatorie, fra cui "Violino tzigano".
Fu proprio il cognato a spingere lei e suo fratello verso la carriera cinematografica, facendole conoscere il regista Mario Bonnard. Nella Cinecittà fascista, la Cinecittà di Franco Coop, Tina Lattanzi e Osvaldo Valenti, e sotto la direzione di Bonnard eccola debuttare di fronte alla cinepresa in: Cinque a zero (1932) e Tre uomini in frack (1933). Poi fu diretta dallo stesso cognato in quei film dei "telefoni bianchi" che la videro partner del grande Vittorio De Sica (l'allora sex symbol italiano) in: Tempo massimo (1934), Amo te sola (1934) e Musica in piazza (1936). Seguendo l'esempio di una delle sue amiche più care, la collega Clara Calamai («Non è più tempo di amori, ma di terrori»), spaventata dai primi orrori del fascismo e dalla guerra imminente, Milly abbandonò la carriera di attrice e lasciò l'Italia per andare a Parigi, dove si fermò due anni.
La conquista di Hollywood avvenne in maniera molto bizzarra. Il cugino di Mario Mattoli, portò con lui, in America (essendo figlio di un americano), il disco dove lei cantava "Violino tzigano". Messo in sottofondo, durante un party al quale partecipava il direttore del Rainbow Room - che era un night famosissimo al 54° piano di un palazzo di New York-, il proprietario del locale volle sapere a ogni costo chi fosse questa cantante e ammaliato dalla sua voce invitò Milly negli Stati Uniti. Era il 1949 e, con un inaspettato successo, Milly cantò oltre che al Rainbow Room anche al Blue Angel di New York, incantando l'America con la sua voce caldissima, le sue canzoni, i suoi vestiti ricercati in chiffon e i favolosi gioielli di cui amava ricoprirsi. E ricominciò a Hollywood la sua carriera di attrice lavorando in pellicole (inedite in Italia) come: The Girl from Scotland Yard e On Such a Night.
Tornata in Italia, intrecciò delle relazioni sentimentali con lo scrittore Cesare Pavese, Mario Soldati e nientemeno che con il Re Umberto di Savoia. Si esibì al Lirico di Milano, facendo il pienone con "Stramilano esseti-errea-emmei-ellea-enneo" e diventando l'icona di quegli italiani che si volevano sbarazzare dei tempi bui del dopoguerra. Si consacrò anche attrice intellettuale al Piccolo Teatro con il ruolo di Jenny Delle Spelonche ne "L'opera da tre soldi" di Brecht, sotto l'occhio costante di Giorgio Strehler che la plasmò, trasformandola da attrice a diva. Dopo la parentesi teatrale, tornò al cinema (ma solo in ruoli di secondo piano), voluta fortemente da: Raffaele Matarazzo, Pietro Germi, Renato Castellani e ancora Mattoli. Le richieste continuarono anche negli anni Sessanta, il primo a richiamarla davanti alla cinepresa fu Alberto Lattuada che la impose nel cast de I dolci inganni (1960) con Jean Sorel, Catherine Spaak, Christian Marquand e Marilù Tolo. Poi ci fu il Mario Bava de I tre volti della paura (1963) e lo sceneggiato "La famiglia Benvenuti" (1968-1969). Non abbandonò la musica, nonostante l'età fu ancora capace di creare suggestioni e di richiamare con il timbro e le inflessioni della voce un mondo di ricordi. Sotto la regia di Filippo Crivelli e accompagnata dal pianista Roberto Negri, fu la star dello spettacolo "Milanin Milanon" e in altri recital. Nel 1965, cominciò la sua carriera televisiva a "Studio Uno" di Antonello Falqui con Mina, Paolo Pannelli e le gemelle Kessler, dove portò un repertorio di canzoni legate alla sua giovinezza, riuscendo a ricreare una parentesi piacevole per un pubblico giovane e meno giovane.
Con l'età, si farà artista scrupolosa e donna riservata e minuta. Passò da "L'istruttoria" di Peter Weiss al Piccolo Teatro per la regia di Puecher nel 1966 a "L'amore e la guerra", un recital di canzoni e poesie dove duetta con Achille Millo. Giuseppe Patroni Griffi la inserì nel cast collettivo di Metti una sera a cena con Adriana Asti, Florinda Bolkan, Annie Girardot, Nora Ricci, Tony Musante e Jean-Louis Trintignant, anche se la sua interpretazione migliore rimane quella legata al film Il conformista di Bernardo Bertolucci, nel ruolo di una madre morfinomane. L'ultimo film della sua carriera fu un film tv francese, ma diretto dal monumentale Jean Renoir ne "Le petit théatre de Jean Renoir".
Il 7 dicembre 1972, il Comune di Milano, nella persona dell'allora sindaco Aldo Aniasi, conferì a Milly la medaglia d'oro di benemerenza civica. Nel 1979, è al Derby di Milano e poi a Berlino con uno spettacolo di due ore composto da settanta canzoni sempre per la regia di Filippo Crivelli e accompagnata dal piano di Roberto Negri. Il 3 agosto 1980 è a Palermo con il suo recital e poi a Berlino il 9 settembre. Tornata per un brevissimo lasso di tempo a Milano, morirà la notte fra il 22 e il 23 settembre, a Nepi. Nel 2002, l'attore Gennaro Cannavacciuolo le dedica lo spettacolo "L'uomo è fumator... Stasera Milly". Cosa resta di questa artista duttile, che riuscì a sfuggire ai paraocchi della dittatura fascista anche in campo artistico? Personalmente un grande insegnamento e le sue parole che ancora ruotano nella memoria, quando durante un'intervista con Adriano Fazzoletti affermava con voce roca: «Allora, come oggi, si ricominciava sempre daccapo... ed era una vita un po'... dura». È naturale che poi, di fronte a queste parole, come gli americani prima di noi, urliamo: «I love Milly».

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