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Bastardi senza gloria, revisione alla sua maniera del nazismo, è campione di incassi in America. Alla vigilia dell'uscita in Italia, il regista racconta una lavorazione lunga e piena di dubbi. Perché «i film devono essere come dico io». Altrimenti? «Smetto».
«È italiana. Le è piaciuto Brad Pitt in versione Enzo Girolami». Senza aspettare risposta (Enzo Girolami Castellari è il regista del film italiano a cui si è ispirato), Quentin Tarantino si lancia in una lunga e sussultante risata che riproporrà più volte durante l'incontro. È sovraeccitato, felice. Dopo la trionfale accoglienza al Festival di Cannes, il suo Bastardi senza gloria ha conquistato, due settimane fa, il pubblico delle sale americane, incassando 37,6 milioni di dollari nei primi settegiorni,dieci in più rispetto alle previsioni, oltre la metà del costo del film. Merito, in parte, proprio di Brad Pitt, che nel filai è Aldo Raine, capo di un gruppo di soldati ebreo-americani inviati nella Francia occupala a seminare il terrore tra le fila naziste, tra teste scalpale o spaccate con la mazza da baseball e svastiche incise sulla fronte dei sopravvissuti. In questo film lungo due ore e mezzo, diviso in cinque capitoli (in sala dal 2 ottobre), c'è non solo l'omaggio al cinema di genere bellico, ma anche l'ambizione di riscrivere la storia: in Bastardi senza gloriaAdolf Hitler e i capi del Terzo Reich vengono sterminali dentro un cinema della Parigi occupata durante la premiere di un film di propaganda nazista. Un colpo di scena che ha suscitato reazioni contraddittorie, e attacchi in Israele.
«Quello che posso dire è che ho concepito la mia storia come una vendetta in salsa kosher per l'Olocausto. Non volevo fare un'opera alla Schindler List, ho puntato su un film divertente, d'azione» dice Tarantino. «E, comunque, sono convinto che molti giovani ebrei abbiano pensato alla vendetta, io l'avrei fatto. Avrebbero voluto sparare quei colpi in faccia a Hitler come Eli Roth nel film. E, lavorando sul set a Berlino, mi sono reso conto che eliminare il Fürher è stato il sogno di tre generazioni di tedeschi. Io l'ho realizzato al cinema».
Ucciso con una revolverata in faccia. Poi bruciato vivo.
«Esatto. Perché nel mio film è il cinema stesso, grazie al rogo delle pellicole, a distruggere il nazismo. In senso letterale, appunto».
È venuto come voleva? «Bastardi senza gloria» ha avuto una gestazione di dieci anni.
«Alla virgola. All'inizio della mia carriera, ai tempi delle Ieneero angosciato dall'idea di non sapere nulla di effetti speciali e scenografie. Avevo la mia visione del cinema, ma non ero certo di saperla tradurre sullo schermo. Per fortuna al Sundance Festival feci una risolutiva chiacchierata con Terry Gilliam che mi spiegò: non devi saper fare queste cose, il tuo compito è circondarti dei migliori professionisti del settore e spiegare loro, esattamente, quello che vuoi».
Quanto è stata importante la scelta del cast?
«Le dico solo che a un certo punto stavo pensando di rinunciare al film. Non trovavo l'attore giusto per interpretare il colonnello Hans Landa. Avevo già allertato i produttori, quando mi sono imbattuto nel fantastico Christoph Waltz, capace di recitare meravigliosamente in quattro lingue. E, ovviamente, Brad Pitt. Il suo Aldo Reine è un soldato del Sud degli Stati Uniti che combatte il nazismo come ha fatto con il Ku Klux Kan. Quanto a EH Roth, beh, non potevo togliere la soddisfazione a un giovane ebreo di Boston di sparare in faccia a Hitler».
Nel suo film, il cinema salva il mondo. Nella realtà, vista la sua giovinezza turbolenta, si può dire che il cinema le abbia salvato la vita?
«Non so se mi abbia salvato la vita, certamente me ne ha dato una. Dedicarmi al cinema, a farlo, a guardarlo, può essere la vita. Nel mio caso, una vita meravigliosa».
Il momento più esaltante?
«Quello in cui il pubblico vede il film. Uscendo in macchina dal Palais di Cannes, dopo undici minuti di standing ovation all'anteprima, ho detto ai produttori: ci siamo ammazzati per finire il film in otto mesi, abbiamo rischiato e sputato sangue e sapete una cosa: dopo questa serata vi dico che ne valeva la pena».
Lei ha bisogno di sentirsi amato dal pubblico.
«È essenziale. Per me il film è finito solo nel momento in cui lo vedo con il pubblico. E per pubblico non intendo una massa indistinta della quale cerco di indovinare i gusti. Il pubblico sono io. Per questo comprendo cosa piace e cosa fa arrabbiare».
E per quanto riguarda i critici?
«Nessuna animosità. Se non avessi fatto il regista avrei fatto il critico. Una volta parlavo tanto di cinema, ora preferisco scrivere recensioni, che non pubblico. Magari lo farò, in un libro. Scrivere mi chiarisce le idee, rafforza la mia estetica, mi fa capire quel che funziona in un film».
Inglourious Basterds somiglia a un film europeo?
«Nel mio cinema ho sempre pescato a piene mani e senza vergogna nella cultura pop americana, ma l'influenza europea c'è. Jackie Brownda questo punto di vista, è un film francese. Kll BiIl è stato influenzato dagli spaghetti western e dal cinema d'azione di Hong Kong.»
E questo film?
«A parte il titolo mutuato dal bel lavoro del mio amico Enzo G. Castellari, mi sono ispirato a Quella sporca dozzina e ho visionato molti film di guerra, quelli di propaganda, termine che non amo. Grandi autori come Jean Renoir con Questa è la mia terra, Jules Dassin con Nazi AgentDouglas Sirk con La pazzia di Hitler. Per questi registi il nazismo non era un fantasma del passato, ma una minaccia viva e reale. Molti lo hanno sperimentato sulla propria pelle. lo non riesco nemmeno a immaginarlo, un mondo in cui Jean Renoir non è libero di vivere in Françia».
Ci sono anche molti riferimenti al cinema italiano.
«Sempre. Castellari, le musiche di Morricone. Ma anche piccoli riferimenti, come il soldato Fenech, lo trovo un nome fantastico anche se ovviamente non c'entra niente con la splendida Edwige. E mi ha divertito spacciare i miei rozzi soldati per cineasti italiani. Il momento in cui Brad, strizzato nello smoking bianco, si ritrova a balbettare nella vostra lingua è in assoluto la scena in cui il pubblico si diverte di più».
Verrà in Italia per la promozione del film, ma anche per recitare un cammeo nel film di Castellani con Franco Nero...
«Sono molto impegnato, ma vorrei essere sul set di Enzo. Anche se quando mi sono rivisto sul set di Sukjyaki Western Django del mio amico Takashi Miike ero così grasso che sembravo Bud Spencer. Ma se devo fare un'eccezione, la faccio per Enzo e Franco Nero e per il cinema italiano, cui tengo molto. Anche se c'è chi non ci crede....».
Allude alla polemica partita dalla sua considerazione sul cinema italiano «deprimente»?
«Già, una frase tolta dal contesto. Io esprimevo solo il dispiacere per la fine di un'industria come la vostra, che è stata una gloria per il cinema mondiale. Ammiro registi come Olmi, Bellocchio, Moretti, Garrone: Gomorra è un film fantastico. Ma mi manca il cinema di genere: il giallo, il poliziottesco, l'horror. Un Paese è forte solo quando possiede il giusto equilibrio tra industria e film d'arte. In Italia oggi l’industria è legata alle miniserie tv Anche Hollywood è industria, ma nella quale può trovare spazio anche un artista come me».
È vero che progetta il prequel di Ingloudvus Basterds?
«Potrei farlo, ma devo riflettere bene perché, a 46 anni, non ho ancore molte cartucce a disposizione. Non voglio essere uno di quegli autori che si mette dietro la macchina da presa a ottant'anni. La vita di un regista nasce e muore con la sua filmografia e non ho intenzione di abbassare la mia media con qualche stanca pellicola senile. Ancora qualche anno e mi ritiro. Farò il romanziere».
Da Il Venerdì di Repubblica, 11 settembre 2009
Kill Bill: Vol. 3Regia di Quentin Tarantino. Genere Azione, produzione USA, 2019. |
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Once Upon a Time in HollywoodUn film ispirato agli omicidi della setta di Charles MansonRegia di Quentin Tarantino. Genere Drammatico, produzione USA, 2018. Quentin Tarantino si esercita su uno dei casi criminali più celebri di fine anni Sessanta. |
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Inmate #1: The Rise of Danny TrejoLa vita della star più improbabile di Hollywood: Danny TrejoRegia di Brett Harvey. Genere Documentario, produzione USA, Canada, 2018. La vita e la carriera di Danny Trejo, dagli esordi al successo come protagonista di film che lo hanno reso un personaggio cult. |
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