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L'hanno definito il più giapponese dei registi giapponesi. Figlio di un piccolo industriale, viene mandato a studiare in provincia, ma poco studia perché alla scuola preferisce le sale cinematografiche, dove divora tutti i film americani. Rientrato a Tokyo, dopo essere stato per breve tempo maestro in una scuola elementare, trova lavoro - il lavoro che gli piace - presso la società cinematografica Shóchiku, con la quale rimarrà sino alla fine, girando 54 film. Comincia con piccole commedie scacciapensieri, prosegue con film di maggiore impegno sociale, applicando i ritmi e le risorse della commedia alla vita degli umili, durante gli anni '30 e '40. La maturità arriva lentamente attraverso una serie di opere focalizzate sui problemi familiari. Negli anni '30 in patria è considerato un regista fra i maggiori. Nel dopoguerra la qualità dei racconti subisce un netto miglioramento dopo che è iniziata la collaborazione con lo sceneggiatore Kbgo Noda.
Fra gli anni '50 e '60 si collocano le opere più personali, quelle che impongono Ozu all'attenzione del mondo. E si precisa la sua posizione: «La mia filosofia quotidiana - dice - è questa: nelle cose futili seguo i capricci e le mode; nelle cose importanti seguo la morale; in arte seguo me stesso». La sua tecnica consiste nel piazzare la macchina da presa a meno di un metro da terra, nel tenerla fissa sui personaggi (niente panoramiche, niente carrelli), nel non osservare la regola del campo-controcampo (il raggio visuale non è, come di solito, di 180 ma di 360 gradi), nel rifiutare le dissolvenze e qualsiasi effetto speciale. È della famiglia - dei suoi drammi, dei suoi problemi - che solo si occupa. Viaggio a Tokyo (1953), storia dell'inutile e penoso viaggio dei vecchi genitori a Tokyo per far visita a figli troppo occupati o indifferenti. Tardo autunno (1960), gustosa commedia in cui i problemi gravi (una madre vedova che potrebbe risposarsi, una figlia che rifiuta il matrimonio, lo scontro con parenti e amici) si stemperano nell'ironia. Il gusto del sakè (1962), l'ultimo film del regista, è la desolata constatazione che l'egoismo dei vecchi condiziona le aspirazioni dei giovani (l'amore, il matrimonio, la vita indipendente) ma non serve a lenire la solitudine di chi ha pensato solo a se stesso. Sono conclusioni amare, di tre dei numerosi film di Ozu, il maestro giapponese al quale molto cinema occidentale (Wim Wenders in particolare, che a lui ha dedicato Tokyo-Ga) guarda con ammirazione. Il suo rigore serio, non ossessivo né inutilmente spartano, ha colpito tutti.
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995