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No: Knoxville, Tennessee, il posto dov'è nato quarant'anni fa, non ha niente a che vedere con Fort Knox (che è nel Kentucky) però Quentin Jerome Tarantino ha lo stesso fama di uno che trasforma in oro tutto quel che tocca. Uno che i sogni nel cassetto, prima o poi, riesce sempre a realizzarli. Compreso lo sconcertante Kill Bill, che sembra gli frullasse in testa dall'adolescenza quando una mamma liberal e un po' fricchettona lo lasciava guardare film-spazzatura di kung fu e mafie gialle. Trovatene un altro - dicono i suoi tifosi - che a soli trent'anni non solo vince una Palma d'oro e un Oscar ma diventa pure un cult e con una gallina dalle uova d'oro intitolata Pulp Fiction potrebbe vivere di rendita finché campa. San Quentin dei miracoli che cento ne pensa (pubblicità, videoclip, telefilm...) e una ne fa, magari mettendoci sei anni come nel caso di Kill Bill. Sei anni di riflessione e silenzio durante i quali, talentuoso e furbacchione qual è, ha fatto montare la curiosità dei fan fino al punto di fusione. Ma anche sei anni in cui chi non lo ama l'ha dato di nuovo per finito, kaputt. Era già successo nel 1995 all'uscita dell'inclassificabile Four Rooms, film di cui firmò un episodio con Bruce Willis che disorientò gli aficionados. Almeno come Jackie Brown, due anni dopo, forse troppo raffinato per sfamare la massa di quei tarantiniani ingordi che al loro idolo chiedono solo teste esplose, freddure da rivendersi in panineria. Tarantino esalta e divide perché con quella faccia da vitellone americano è un baciato dalla fortuna senza complessi di colpa. Uno che nel 1994, durante la premiazione a Cannes, rideva sguaiato e alzava il dito contro chi fischiava il suo trionfo. Uno che nelle interviste continua a dire: “Mi considero davvero bravo”. Tarantino è l'esemplare di un'America felix lontana dai tormenti anni 70 di Coppola e Scorsese (a cui viene spesso avvicinato) ma beneficiaria delle conquiste ottenute all'epoca.
È figlio di una figlia dei fiori (o quasi), mamma Connie, che mollata dai compagno lo tirò su a dosi dl permissivismo e cinefilia. Pare che oltre ai B-movie gli facesse vedere anche film di serie A complicati e allora scabrosi come Conoscenza Carnale e Un tranquillo week end di paura. A 16 anni, quando lui decide di dire addio alla scuola, lo lasciano fare. Si iscrive a un corso di recitazione, ma gli sarà più utile lavorare come commesso in un negozio di video-noleggio. Grande abbuffata di classici: Brian De Palma e Sergio Leone i preferiti, ma anche il ribelle dei western Sam Peckinpah e il re del poliziesco francese Jean-Pierre Melville.
Magari pochi sanno che prima di buttarsi in regia Tarantino ha fatto anche di produzione per l'assistente per un video di ginnastica fel bigjim svedese Dolph Lundgren, il signor “Ti spiezzo in due” di Rocky 4. O che - secondo la leggenda - si sarebbe fatto le ossa lavorando come proiezionista in un cinema a luci rosse dal nome fin troppo scontato: Pussycat. O che il suo debutto da fimaker è stato un filmino amatoriale dal titolo Il compleanno dei mio migliore amico.
Nel 1992, invece l'esordio vero arrivò con Le iene. Ma in Italia non se ne accorse quasi nessuno. Solo più tardi, ringalluzziti dai guadagni di Pulp Fiction, i distributori lo rimetteranno in circolazione. Per molti la storia dì quei sei gangster ammaccati che portano i nomi dei colori, ma vestono solo di nero, rimane il miglior film di Tarantino. Mentre per la Miramax che lo produsse il preferito è sicuramente Pulp Fiction, se non altro perché costò 8 milioni di dollari e ne recuperò 120 solo negli Usa. Qualcuno, con troppa enfasi forse, disse che con quel suo cocktail di intelligenza ed esagerazione il film era riuscito a riavvicinare due generazioni: quella cresciuta col cinema e che guardava le immagini per pensare, e quella nutrita con la tv, che le guardava per non pensare. Genio o splendido gigione? Una cosa è certa: nel paesaggio cinematografico un po' asfittico degli anni 90 Tarantino un po' di sana confusione riuscì a portarla. A lui i dollari hanno portato invece la possibilità di fare quello che gli pare. Quando lo vediamo recitare nei suoi film o in quelli degli altri abbiamo l'impressione che, con acume e gusto, ci stia allegramente prendendo per i fondelli. Ma il marchio Tarantino è anche quello di un'industria che funziona. La sua società Band à part (dal titolo di un vecchio film di Godard) è un ben oliato ingranaggio multimedia. Capace di sfornare spot (quello della Nike con Ronaldo che palieggia in aeroporto? la regia era di John Woo) come clip musicali d'autore: MeG (il regista dei due Charlie's Angels cinematografici) ha cominciato girando video per gruppi come Sugar Ray, Smash Mouth e Offspring. Per non parlare della clip di La Vida Loca. Il tormentone di Ricky Martin. Nel curriculum c'è anche la regia di un episodio di Medici in prima linea. Da produttore ha siglato film come Dal tramonto all'alba di Robert Rodriguez, misteriose storie di arti marziali, una parodia di Guerre stellari a cartoon. Ha scritto le sceneggiature di successi come True Romance di Tony Scott e Natural Born Killer di Oliver Stone.
Come per tutti i “Fregoli”, afferrare chi sia il vero Tarantino è un'impresa. Nei film ci sono le sue ossessioni e i suoi feticci. Ma è soprattutto l'ironia onnipresente a renderne la personalità davvero imprendibile. Adesso con Kill Bill (che ne contiene a secchiate) si tornerà a discutere sulla violenza nel suo cinema. Innocua? Contagiosa? Perversa? Lui ha detto una volta: “Non faccio violenza da cartoon ma in maniera realistica” basta la sequenza di braccia che volano e occhi che schizzano per capire che non è vero. E che c'ha preso in giro un'altra volta.
Da Il Venerdì di Repubblica, 17 ottobre 2003
Kill Bill: Vol. 3Regia di Quentin Tarantino. Genere Azione, produzione USA, 2019. |
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Once Upon a Time in HollywoodUn film ispirato agli omicidi della setta di Charles MansonRegia di Quentin Tarantino. Genere Drammatico, produzione USA, 2018. Quentin Tarantino si esercita su uno dei casi criminali più celebri di fine anni Sessanta. |
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Inmate #1: The Rise of Danny TrejoLa vita della star più improbabile di Hollywood: Danny TrejoRegia di Brett Harvey. Genere Documentario, produzione USA, Canada, 2018. La vita e la carriera di Danny Trejo, dagli esordi al successo come protagonista di film che lo hanno reso un personaggio cult. |
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